pensieri centrifughi sul bene e sul male

A volte mi chiedo come sia possibile venirne fuori. E’ come se si volesse affermare continuamente il prevalere del male, sempre e comunque, sul bene. Non parlo di Religione, forse nemmeno di Filosofia. Il Male e il Bene non come categorie astratte, ma come comportamenti umani precisi, Male e Bene nel senso dell’evoluzione di una specie. A volte mi ritrovo a pensare nel mio intimo se non fosse la fine della Babilonia rastafariana. La fine di quel mondo perverso che ha ucciso e soggiogato. Non mi conforta. Non mi sento tra gli eletti. Ma posso mai rassegnarmi all’idea che la nostra è solo una fine di animali che non hanno saputo adattarsi? Nemmeno.

Difficilmente è opinabile che il mondo esisterebbe senza di noi, ma altrettanto difficile è accettare la possibilità che l’Uomo si stia distruggendo da sé. Il giusto è nel mezzo. Nell’altalenarsi oscuro delle molteplici sfaccettature dei comportamenti umani ascrivibili alle due categorie di prima, il Male e il Bene. Il male di sé stessi sugli altri, il Bene per sé e gli altri. E’ implicito che ogni comportamento può avere ricadute in un senso o nell’altro. Sono però condizioni da considerare lontani dalla propria coscienza. Anche per troppo bene si può involontariamente fare del male. Scendiamo ancora più a fondo.

Se non riconducibili a categorie astratte come la Religione o la Filosofia, non si parla di bene e di male assoluti. IL bene o il male assoluto è un concetto inesatto a causa della sua impossibilità a compiersi. C’è sempre dunque alla base una tensione verso l’uno o l’altro. Quindi è necessario anche valutare le conseguenze in piccoli o grandi dispiaceri o benessere provocato nelle nostre azioni, come multiformi e varie possibilità del nostro atto, individuale e collettivo.

Siamo giunti ad una soglia – al di là delle definizioni temporali – da dove non è possibile tornare in dietro. Arrivati qui, siamo ad un punto nel quale ci si impone obbligatoriamente delle riflessioni e la possibilità di valutare delle scelte in loro conseguenza.

Siamo inopinabilmente arrivati ad una tendenza a far prevalere ogni aspetto negativo dell’Umano essere su quegli altri che potrebbero anche comportare un maggiore Benessere, essere entità che muovono verso il bene per sé e gli altri. Come traduco? Non è possibile ad esempio che non si riesca a concepire in alcuni di noi il fatto che si perseguono fini contrari allo stare al mondo. Ruberie, inganni e scelte egoistiche sono elementi archetipi riconducibili alla gran parte del genere umano, compensato dall’atteggiamento contrario, quale onestà, umanità ed etica. I politici che non vogliono cambiare, la società che non si vuole aprire, le istituzioni che non vogliono migliorare. Ogni forma di consorzio umano, ogni forma di organizzazione, spesso parte con gli elementi negativi intrinsechi.

Il macellaio non fa lo scontrino, l’ONU non interviene per dirimere controversie. Il politico, l’imprenditore, come il macellaio o il libero professionista, l’Uomo come la donna, il cittadino come l’associato, spesso portano avanti i rapporti umani e le dinamiche soggettive verso uno stato di conflittualità sempre aperto. Sempre in accezione negativa, sempre in autodifesa. Fino ad arrivare alla tensione estrema del farsi del male da sé, che è la forma più esemplare di disprezzo verso la specie, E’ qui interviene la tendenza di cui sopra.

Le alternative sono nette, anche se non esistono nemmeno qui azioni oggettivamente assumibili come assolutamente positive o assolutamente negative. O l’Uomo si ferma. D’istante. In questa stasi comprendere le reali differenze (causate dalla molteplicità degli aspetti umani) e portarci verso un livello antropologicamente tollerabile di adattamento. O l’Uomo continua verso questa direzione a passo spedito, fino ad arrivare ad un collasso di sé stesso, e non del mondo.

Non esiste stasi plastica.

Non c’è distruzione assoluta. 

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E se fosse il welfare a dettare l’agenda politica?

Mi era già capitato di postare un contributo nella Categoria Memoria futura riferito al periodo precedente le elezioni del 2019, puoi vedere questo post di qualche giorno fa.

Comunque, in questi ultimi anni, un pensiero che circola frequentemente è che domina l’economia della finanza rispetto a quella reale. Forse come oggi, allora scrivevo “Problema e causa dell’attuale crisi”. La soluzione sarebbe in un nuovo modello che ritorni alla prima. Osservando il mondo da una particolare angolatura mi sono ripetutamente chiesto, ma questa poi da cosa è determinata? Di seguito ripropongo alcune definizioni e un modello, azzardando anche un paio di soluzioni per la questione welfare che, nel 2013 ed oggi in tempi di Coronavirus mi sembra uguale. Questi sono pensieri che chiunque avesse un minimo di onestà intellettuale può riprendere in azioni concrete di politica. Per l’azzardo accademico chiedo scusa, ma recentemente ho un’ispirazione a briglie sciolte! Buona lettura.

Notate Bene: VI avviso: è lungo, ma credo ne valga la pena.

“L’economia reale si basa sulla necessità degli individui di adeguarsi a degli standard di qualità di vita dignitosi; essi sono riconducibili al consumo di beni e servizi che,nel caso di modelli sostenibili dell’economia, non devono dettare un modellofordista di produzione e consumo, bensì lì dove possibile ridimensionare la propensione consumista dei moderni tessuti sociali. Occorre ricercare attraverso i beni e i servizi un livello dignitoso di standard della qualità di vita, e a seconda delle nostre necessità, propensioni ed esperienze questi standard possono subire variazioni determinando le nostre necessità di consumo. Se oltre ai beni, necessariamente e per grande parte prodotti in scala,considerassimo anche i servizi e gli elementi di consumo del “benessere”,avremmo che molta dell’economia sarebbe di piccola scala, perché concentrata sulle nostre vite e sul territorio. Questa necessità economica avrebbe quindi nel settore sociale, welfare, buona parte dei suoi riscontri, determinando meccanismi virtuosi ad ogni livello, ebbene si, partendo dall’economia, quella che ad ora ci ha rovinato. Ma occorre fare un passo in dietro  e ragionando di welfare sono necessarie alcune definizioni.

Stringendo il campo di analisi, dal “welfare” toucour considerato,possiamo estrarre un singolo aspetto: le disabilità. Per persone disabili si intendono soggetti chepresentano una menomazione fisica o patologia che compromette le funzioni“regolari” di vita, sia sul piano sensoriale, fisico, psichico e fisiologico. Non approfondendo oltre, possiamo dire che le persone disabili sono soggetti che in ogni caso possono avere, grazie a norme di diritto, condizioni economiche, supporto tecnico e tecnologico le medesime opportunità di vita di chiunque (art. 3 Cost. It.). Quando la disabilità è importante, queste opportunità si trasferiscono a chi vive loro accanto. Quindi dal punto di vista economico, i disabili sono soggetti consumatori e potenzialmente produttori di beni e servizi, dal punto di vista sociale soggetti portatori di diritti e pari opportunità, dal punto di vista politico, soggetti portatori di legittimi interessi degni di avere e “pretendere” rappresentanza. Un numero su tutti, amo’ d’esempio: in Italia, secondo recenti dati CENSIS (Censis, stima 2012, NDA) , le persone con un grado di disabilità sono circa 7 milioni! Ora concentriamoci sulle dicotomie e loro dinamiche prendendo questi 4 elementi, appunto, disabilità, economia, società, politica, azzardando una proposta per venire fuori dalle crisi strutturali di questa porzione di welfare.

Disabilità-economia

come affermato le persone disabili sono soggetti che necessitano, per vari motivilegati alla propria esistenza, di un elevato grado di consumo, oltre che di beni e servizi generici, anche di specifici utili alla soluzione e superamento degli ostacoli connessi alla disabilità. Es.: tutori per la mobilità, sintesi vocali, particolari alimentazioni e cure, impianti ausiliari protesici, ecc.;quindi i disabili sono gran consumatori, senza necessariamente badare alla crisi, perché senza quei consumi non potrebbero normalizzare la propria esistenza. Poi sono anche attori attivi di processi produttivi, potenzialmente concorrenti sul mercato del lavoro, se non addirittura creatori di outputeconomici. La defezione sta nella totale disapplicazione delle normative e in una scarsa cultura d’impresa, che nel nostro Mezzogiorno preferisce sottoporsi alle sanzioni previste dalla legge, piuttosto che adempierne gli obblighi. Esempi:centralinisti, massofisioterapisti, tecnici di consulenza e trascrizione di intercettazioni audio, musicisti sono solo alcune professioni di “vantaggio”,antiche e moderne, che i ciechi sono formati con percorsi specialistici, se non addirittura favoriti.

Disabilitàsocietà

nel corpo sociale complesso, quale quello italiano, dove si vive una continua mutazione e rimodulazione delle istanze, le disabilità giocano da un trentennio un ruolo fondamentale. Moltissime realtà associative e programmi sociali, ad ogni livello, sono loro dedicati, se non gestite da persone disabili. Alcuni esempi: campagne di sostegno alla ricerca e ai programmi di riabilitazione, adeguamenti strutturali per obblighi di legge di locali pubblici e pubblici servizi, la richiesta diprecisi servizi gestiti spesso dal volontariato.

Disabilitàpolitica

Quientriamo su un terreno molto scivoloso. La disabilità, nelle culture latine, ha visto accrescere l’interesse della politica, particolarmente negli ultimi 25anni. Ma spesso ai buoni propositi, per noi italiani, non sono seguite leazioni di policy che ci si aspettava. Anzi spesso, quelle istanze poste come sigillo della garanzia di uno Stato di diritto, sono stati disattese, violate,sbeffeggiate dalla “casta” politica, ad ogni livello:

Data la definizione e loro esemplificazioni di queste dicotomie, resta da considerare che nei confronti delle persone disabili l’economia (almeno come disabili/consumatori) si adegua rapidamente; la società vive di alcuni ritardi culturali, dove la scarsa considerazione di aspettative dei disabili stessi portano spesso ad alimentare pregiudizi e cattive abitudini. La politica,infine, si dimostra tardiva nell’assimilazione e gestione del bene comune di questa risorsa sociale, preferendo gli equipaggiamenti militari al benessere degli individui che dovrebbe “amministrare”. Piccola nota al margine, che magari racchiude tutt’e tre le storture, è che la politica spesso si fregia e usa le disabilità come passerella o trampolino di lancio di velleità, che a riflettori spenti dimostrano la loro pochezza morale.

Soluzioni?

Bravo Alessandro!!! Ma come ne veniamo fuori?

Dal punto di vista economico sicuramente mettendo a regime le leggi e conservando quegli strumenti che ci permettono di essere attori passivi ed attivi dei processi economici. Farci sguazzare nei servizi, possibilmente facendoceli produrre.

Per la società chiaramente occorre rimodulare le fondamenta culturali delle disabilità, attraverso efficaci campagne sociali,che discostino la nostra immagine dai soggetti portatori sani di compassione,dandoci di fatto quella “dignità sociale” che è sinanco affermata nella Carta dei diritti delle persone disabili dell’ONU e che vede l’Italia fortemente disattenderla, ma non giuridicamente, bensì dal punto di vista culturale.

Per la politica? Che queste sante e benedette quote di rappresentanza siano di fatto restituite ad una logica, dando spazio e voce al 12/15% della popolazione italiana, tra persone direttamente interessate e loro familiari, che non misembrano una fetta trascurabile. Parliamo di milioni di voti. E sono buono,perché escludo le persone disabili straniere, dove altri sono ancora i diritti da affermare. Vi renderete conto che includerci nei processi attivi ad ogni livello è tutto vantaggio della collettività? I principi cardini di ciò sono due: uno riconducibile all’oggettività della questione, ovvero un corpo socialee un tessuto territoriale fruibili dai disabili lo sono per tutti. Come per le donne, le persone disabili o loro portatori di interessi possono esprimere sensibilità che, mi pare superfluo dire, gran parte della casta non esprime. Nell’osservare le liste e recandovi alle urne, ricordatevi di questo ragionamento, non fermandovi alla forma, ma indagando sulla sostanza.”.

NB: articolo scritto l’11-01-2013.

Le quindici politiche per avere il mio voto.

Tra virgolette, per Memoria Futura un post risalente al periodo precedente le elezioni del 2013, che le introducevo come delle “istanze”. Si trattava di quindici proposte per motivare il mio voto, che avevano più l’idea di provocare, che quello reale di riscuotere ascolto, che ovviamente non ci fu, nonostante la meticolosa operazione di segnalazione nel mio profilo twitter con il @ dei maggiori esponenti di sinistra dell’epoca, quali Renzi, Bersani, Puppato e altri. Riesumare questo vecchio post mi da la possibilità di poter oggi ripercorrere, proposta per proposta, un interessante percorso per vedere cosa si è fatto da allora e, generalmente, negli ultimi anni nel nostro Paese vedere le policy per ognuno di questi punti. Ma passiamo alle proposte del 2013, che le ritengo valide ancora oggi.

“Inevitabile è, ad un mese dalle elezioni, che oltre a farci propinare i loro programmi, qualcuno avanzi anche delle istanze. Le mie sono queste. In premessa, però, ci sono tre cardini fondamentali che occorre considerare per le proposte che seguono: primo, occorre assolutamente riabilitare lo stato; secondo, è necessario sovvertire l’andazzo dell’economia, riportando in augeuna sua dimensione reale a discapito di quella finanziaria; terzo, ogni altra politica sarà efficace nel momento in cui si darà un duro colpo alla malavita organizzata, ma ci vuole coraggio. Il mio voto lo conquistate parlando di questo.

Per il rapporto dello stato con i cittadini:

  • 1 sbloccare fondi per i creditori dello Stato;
  • 2 riscrivere i codici riferiti a disabilità, relazioni economiche e relazioni con la PA;
  • 3 demilitarizzare la spesa pubblica;
  • 4 riformare la politica e le istituzioni in senso sostenibile;
  • 5 investimenti pubblici e politiche di agevolazione per investimenti privati sulla riqualificazione, bonifica e manutenzione del territorio.

Per l’economia reale:

  • 6 favorire la ricerca tecnologica, gli spin-off e le start up innovatrici;
  • 7 potenziare il welfare mediante un trasferimento di compiti all’associazionismo, adeguatamente retribuito;
  • 8 favorire microeolico e micro-fotovoltaico;
  • 9 potenziare i servizi di mobilità effettivamente necessari al paese;
  • 10 puntare sul turismo in linea con i principi di Lanzarote (Carta del Turismo sostenibile, NDA) e uniformare il settore verso il sistema turistico Italia;
  • 11 pensare a misure di inclusione lavorativa per giovani e donne

Per la lotta alla carenza strutturale di legalità:

  • 12 migliorare le carceri e pensare a pene alternative per i reati minori;
  • 13 depenalizzare l’uso della cannabis, promuoverne l’uso farmaceutico e introdurla nuovamente nel tessuto produttivo;
  • 14 intervenire su edilizia scolastica e diritto allo studio per contrastare l’abbandono scolastico;
  • 15 agevolare la concessione ad associazioni, microimprese e società civile dei beni confiscati alla mafia per attività sociali e produttive.

Chiaramente ho lasciato fuori tante altre questioni, che però sono diretta conseguenza dell’applicazione di queste proposte, come investire sui beni culturali, finanziare tutte le forze dell’ordine, alleggerire la burocrazia, digitalizzare la giustizia, eccetera; ma da questi quindici punti, rivoluzionari se volete, passa la scommessa di un Paese Italia assolutamente riqualificato.”.

Oggi, nel 2020, passati sette anni da questo contributo, ditemi un po’, cosa è stato fatto? A me, ad occhio, parrebbe che sono del tutto intonsi, se non giusto qualche minimo incremento in singoli aspetti di alcuni di loro. O no?

NB: articolo scritto il 24/01/2013.

Bambini, disabili ed anziani: cittadinanza a metà.

@pixabay

Esistono molti aspetti considerabili per descrivere lo stato di profonda crisi che ha creato l’emergenza del Coronavirus, ad ogni livello: dalle difficoltà del mondo della comunicazione al ruolo diminuito del Parlamento, dalla magra figura dei detentori del potere politico nella gestione della crisi alle gravi conseguenze per l’economia. Mi preme ora soffermarmi su un’osservazione di queste settimane di lockdown per una delle sue conseguenze più nefaste.

Premessa

Nella progressiva diminuzione della garanzia dei diritti costituzionali, si sono palesati con forza molti divari; tra questi, più evidente di altri, ne esiste uno tra cittadini che hanno un potere di contrattazione con la politica e coloro che invece, per varie cause, ne sono succubi. Sostanzialmente si tratta di un’amplificazione di storture presenti prima della crisi Covid, ma che ora si configura come una carenza nel diritto di cittadinanza per alcune categorie, evidentemente non considerate nella loro pienezza di cittadini: bambini, disabili ed anziani stanno subendo le conseguenze peggiori e pagheranno il conto più salato, dal punto di vista sociale alla fine di essa; e, già da oggi, registrano una forte diminuzione dei diritti di cittadinanza. Oltretutto la politica e le istituzioni stanno mal rispondendo alle loro difficoltà e toccherà da ora in avanti riconsiderare i modelli dei servizi dedicati per l’inclusione nella comunità come cittadini pienamente titolari di diritti e di dignità. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di analizzare al meglio gli aspetti emersi nella lettura di numerosi contributi, tutti segnalati nella sitografia in fondo a quest’articolo.

Divario economico e digital divide

@LaRepubblica

Tra i vari livelli di diseguaglianza creata dal COVID risulta evidente quella tra chi possiede delle garanzie economiche e chi non ha la possibilità di affrontare il costo che questa crisi comporta; tale iniquità, considerando gli strumenti necessari per affrontare la quarantena generalizzata e continuare ad avere un orizzonte esistenziale soddisfacente, si riscontra nel e digital divide, come diminuzione di cittadinanza appunto. Questo è importante soprattutto per chi ha dei figli, alle prese con la DAD (Didattica a distanza, NDA), che non sempre riesce a garantire adeguatamente le esigenze educative con i nuovi strumenti digitali, a causa anche della diminuita capacità del reddito per via della crisi. Ciò emerge chiaramente da un articolo di Vincenzo Galasso dalle pagine de’ “Il Sole 24 ore”, dove l’autore rimarca come “Il Covid-19 rischia di aumentare la disuguaglianza di reddito ampliata dalla crisi economica e di accentuare la povertà educativa dei più fragili”, auspicando una ripartenza proprio dalla scuola per ricostruire un Paese meno diviso anche dal punto di vista tecnologico.

DAD ed infanzia

@Corriere.it

Le difficoltà sopra descritte sono presenti nella cronaca di queste settimane, registrando la cattiva gestione (da parte di tutti, per inciso) della DAD, emersa persino durante il concertone del I° maggio scorso, anch’esso in formato “distanziato”. Queste difficoltà non sono vissute solo dalla scuola, ma anche lo sviluppo e la crescita delle bambine e dei bambini ne risentono, ponendo criticità anche nel rapporto tra genitori e figli. A tal proposito, Francesca Mannocchi dalle pagine web de’ “L’espresso”, rimanda una serie di testimonianze di madri che vedono regredire i propri figli per un malfunzionamento dell’apparato educativo nell’impostare adeguati percorsi formativi; chi ha figli inseriti in contesti scolastici tecnologicamente avanzati o, in generale, i ragazzi delle secondarie riescono in un certo qual modo a porre una pezza a tali difficoltà. Ma per la maggior parte invece risulta un’esperienza negativa, soprattutto con famiglie che hanno bambini delle primarie; in ogni caso, lì dove il divario digitale è maggiore, anche e soprattutto per cause economiche, la scuola pare essere assente o incapace nel fornire risposte alle esigenze di bambine e bambini che, è bene ricordarlo, sono cittadini con loro specifici diritti, tra i quali quello all’educazione. Pare quasi che l’agenzia educativa, dove si formano i cittadini del domani, stia abdicando al proprio ruolo, registrando molto spesso una latitanza ingiustificabile che destabilizza del tutto giovani vite non sufficientemente supportate nell’affrontare queste nuove sfide. Questo disagio è amplificato nel caso di nuclei familiari che hanno ragazze e ragazzi con disabilità gravissime e che stanno osservando una vera e propria regressione dei loro figli, un ritorno da posizioni che in alcuni casi hanno messo anni a raggiungere. In quest’ultimo caso, a premessa per ciò che segue, si registra la mancanza di indicazioni sulle attività socio-educative specifiche, impossibili da gestire con il distanziamento sociale.

Cosa faremo domani?

@Makerfairerome.eu

Parlando di disabilità sono tante le omissioni emerse in questa crisi caratterizzata dal lockdown, ma inevase sono anche tante istanze per la fase 2 e la ripartenza e viene da chiedersi se ad un “prima” costellato da difficoltà possa seguire un “dopo” che restituisca maggiore dignità di cittadini a milioni di donne ed uomini, milioni di famiglie. Tra le varie voci che lamentano tale mancanza in tutta Italia, ad esempio, Luca Nicolino – presidente dell’associazione “I buffoni di corte”, organizzazione attiva sul territorio del torinese e che opera con disabilità intellettive e cognitive – osserva: “realtà come la nostra che, non avendo indicazioni dal Governo, non sanno come programmare un piano di intervento adeguato, a breve-medio termine”; in maniera molto simbolica, questa associazione, assieme ad altre, ha lanciato una campagna di protesta dall’emblematico titolo “Cosa farò domani ?”.

La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, NDA) è giunta all’elaborazione di un documento che propone tutte le misure necessarie per costruire una nuova visione di società, che restituisca, come dichiara il presidente Vincenzo Falabella, “cittadinanza piena e integrale alle persone con disabilità e alle loro famiglie”; Falabella ricorda inoltre “Il richiamo forte, chiaro e ineludibile all’eguaglianza e alle pari opportunità delle persone con disabilità con il resto della popolazione impone di avere una nuova visione che riduca tutte le forme di diseguaglianza aggiuntive e, tra queste, quelle di genere e di età.”. Salute, riabilitazione e abilitazione, Lavoro, Politiche e servizi per la vita indipendente, Inclusione socio-scolastica e processi formativi. Tanti gli aspetti, le sfide alle quali il governo e le istituzioni di ogni livello dovranno rispondere, ora più che mai, per superare questa crisi con la restituzione, dovuta, della dignità a cittadini della Repubblica. A tal proposito, dalle pagine di Superando, Carla Volpe (madre di una bambina con sindrome di Down, NDA), scrive che ora l’obiettivo dev’essere quello di rinascere dalle “macerie” del Covid-19, tutti, anche i soggetti più deboli, che devono avere il loro posto nella vita della comunità e concorrere al benessere dell’umanità”. Auspicio che condivido pienamente.

Gli anziani e le RSA

@Corriere.it

Il profondo senso di solitudine che vivono le persone disabili e le loro famiglie è condiviso da una categoria che ha ad oggi pagato il prezzo più caro al Coronavirus, ovvero gli anziani. Dalle pagine de’ “Il Riformista” si legge una storia emblematica di solitudine esistenziale di una donna fiorentina che si porta addosso un doppio dramma: il suo personale, di un’anziana non considerata nel contesto dove vive; quello del marito, ospite di una RSA e con sindrome di Alzaimer. Questa vicenda rimarca l’assoluta inadeguatezza alla cura e alla tutela di cittadini che hanno speso un’intera vita come tali, lavorando, contribuendo e costruendo questa nazione, ma che una volta soli (e la solitudine può avere varie origini) non hanno avuto gli strumenti per affrontare una crisi sanitaria durissima come questa. Come osserva Alberto Cisterna dalle pagine de’ “Il Riformista”, “forse dobbiamo chiederci se a pagare il prezzo di tutto ciò siano stati quelli con le pensioni minime, quelli che non potevano permettersi le case di riposo di lusso, quelli che i familiari hanno derelitto perché le pensioni non erano appetibili, quelli soli e senza un aiuto”. Ciò denota anche un profondo scollamento generazionale con gli anziani, problema non di poco conto, considerando che si tratta di coloro che nel bene e nel male hanno costruito l’Italia che viviamo oggi. Sempre Cisterna conclude che “toccherà all’intero Paese ricostruire, senza inganni e senza retorica, una relazione sincera e profonda con la generazione mietuta dal male nascosto”.

Se gli anziani, con evidenza, sono quei cittadini privati della loro cittadinanza perché non protetti e tutelati alle origini della pandemia, occorre anche indagare i luoghi che hanno visto questa moria della nostra memoria storica, le Residenze Sanitarie Assistenziali, un modello di welfare che in Italia ha mostrato tutta la sua debolezza, come raccontato da Simona Ravizza sulle pagine del “Corriere della Sera”. Le case di riposo, già fortemente in crisi prima dell’epidemia a causa di un sistema di welfare basato sul modello di ospitalità sanitaria (ovvero con utenti che entrano nel sistema di RSA già in una fase avanzata della terza età), sono sostanzialmente rimaste sole nella gestione degli anziani contagiati e nella prevenzione; ciò si è verificato anche per la distribuzione di dispositivi di protezione individuale. I singoli gestori hanno dovuto attrezzarsi in autonomia, cercando fornitori di Dpi su mercati esteri, andando incontro a enormi difficoltà, con ritardi nella distribuzione e inefficienze. Considerando le relazioni delle RSA con il tessuto territoriale, i rapporti con la rete ospedaliera e i servizi sanitari di prossimità sono stati bloccati per proteggere gli ospedali da un eccesso di ricoveri. Inoltre, le relazioni con i medici di famiglia sono state sporadiche. Ma la mancanza che ritengo più grave è che, sin dagli inizi dell’emergenza, l’attività di screening tramite i tamponi non è stata prevista in modo sistematico ed omogeneo per le Rsa sull’intero territorio nazionale, né sui casi sospetti tra gli ospiti né tra gli operatori». Capite benissimo che si tratta di una disfatta totale del sistema delle residenze per anziani e dell’intero sistema sanitario.

Auspici

Auspico che quanto prima, a seguito della crisi che viviamo senza precedenti, queste tre fasce di popolazione possano rivedere assegnata loro la dignità di cittadini con pienezza di diritti; a tal proposito chiediamoci tutti, sin da oggi – e chiediamolo alla politica -, se non sia il caso di rivedere i modelli dei servizi loro dedicati, volti al recupero del senso di comunità, organo complesso dove tutti i soggetti sono integrati e chiamati alla creazione del benessere collettivo, in cui tutti i soggetti sono portatori di legittimi interessi ed aspettative.

NB: Per approfondire i temi sopra esposti, leggi nell’ordine:

* Per i divari economici e il digital divide:

https://www.ilsole24ore.com/art/la-via-dell-equita-passa-scuola-e-digitalizzazione-ADFLFRN

* Per le difficoltà della scuola e dell’infanzia:

https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/04/28/news/lettere-mamme-bambini-lockdown-1.347669

https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/04/29/news/siamo-mamme-di-bambini-con-disabilita-gravi-per-i-nostri-figli-la-fase-2-non-esiste-1.347828

* Per il mondo delle disabilità:

Cosa farò domani? La domanda di tante persone con disabilità

Cittadinanza piena e integrale alle persone con disabilità e alle loro famiglie

Rinascere più umani, tutti insieme

* Per gli anziani e le RSA:

Solitudine e coronavirus. Liliana, 83 anni: “Piango tutto il giorno, nel mio condominio nessuno mi aiuta”

Anziani morti in abbandono, ricostruire relazione con la generazione mietuta dal male nascosto

https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_23/coronavirus-strage-rsa-sette-cose-che-non-hanno-funzionato-8f5864c6-8594-11ea-b71d-7609e1287c32.shtml

Parliamo di Futuro.

Per l’archivio storico di questo blog, che trovate sotto la categoria Memoria futura, vi propongo un post scritto nel marzo 2016, che ha in sé delle riflessioni molto attuali, sopratutto in tempo di Coronavirus; l’emergenza infatti ha ulteriormente oscurato sotto il profilo mediatico le effettive esigenze dei disabili e la necessità di parlare delle disabilità sotto una nuova veste, più moderna, più rispondente ai canoni della civiltà, come indicato dalla Costituzione repubblicana e dall’ONU nella Convenzione per i diritti delle persone con Disabilità del 2006. Il post che segue tra virgolette fu scritto a seguito di una serie di articoli pubblicati su varie testate a proposito delle nostre attività di allora, fatto che mi lusingava non poco, perché con l’impegno nel turismo accessibile assieme a Sonia riuscimmo a smuovere una sorta di cortina d’omertà generalizzata attorno alle disabilità nel Salento. Ma mi sentii di fare delle precisazioni sotto forma di ulteriori riflessioni, che di seguito vi sottopongo integralmente, ritenendole del tutto attuali ed utili perché parlando agli operatori dei Media mi rivolgevo in verità ad un intero tessuto sociale. Sapete com’è, parlare a suocera perché nuora intenda, ma a distanza di anni non hanno inteso, a mio avviso, né suocera né nuora. Buona lettura.

“Ovviamente non sono impermeabile a ciò che si muove in termini di comunicazione attorno a me, soprattutto se questo movimento riguarda la mia persona o le mie attività. Giusto anche per me ritengo associare il vecchio adagio “ognuno è artefice del proprio destino”, ma a volte mi sorprendo per il livello di feedback che si crea attorno, dando a questo “attorno” una connotazione di “liquidità”, dai toni e dai riflessi sempre diversi. Questa contorta premessa per ringraziare tutti quegli operatori dell’informazione e della comunicazione che in qualche modo hanno rivolto la loro attenzione alle nostre attività e/o al nostro modo di porre certe questioni. DI seguito alcune ulteriori riflessioni sulla Convenzione, che mi aiuta nel relazionarmi con voialtri, giornalisti e comunicatori, ricordandovi che al di là delle “coccole” e dei “complimenti!” degli amici, occorre sollevare certe leve e premere certi tasti per una Politica e una Società più mature e avanzate; qui un po’ di impegno e buona volontà è anche a carico vostro.

Responsabilità degli operatori dell’informazione e degli esperti di comunicazione, a mio personale avviso, è l’accentuare gli aspetti legati ai principi generali contenuti negli art. 3 e 4 della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con Disabilità, svuotando ogni azione o attenzione da contenuti “emergenziali” o “pietistici”, adempiendo cioè alla propria funzione di “cane da guardia” della democrazia, considerando il fatto che le più moderne delle democrazie passa anche da questo disposto di civiltà, legge dello Stato italiano dal 2009 (l. 18, NDA); ora passerò ad argomentarvi il perché. Ovviamente mi sento pienamente coinvolto quando si tratta di aumentare il livello di consapevolezza attorno alle disabilità e valorizzarne i contributi rilevanti per il territorio e le comunità, come sancito nell’articolo 8; ma quanto affermato in quell’articolo è appunto la missione che tocca quotidianamente ad ogni operatore dell’informazione, chiamato a confrontarsi con questi temi, di una certa rilevanza per il nostro tessuto sociale; Affermo ciò proprio perché l’Italia probabilmente è sul livello di percezione che ha bisogno di recuperare il terreno perduto in trent’anni di gap culturale, quei trent’anni intercorsi tra il periodo di maggior produzione legislativa in merito ai diritti delle persone con disabilità, continuato pure oltre quel periodo (anni Settanta-Ottanta, NDA) e quando ci si è fermati per capire come andassero le cose, ed evidentemente è sorta la nemesi tra parole scritte e comportamenti adottati (grossomodo primo decennio degli anni Duemila, NDA). Siamo stati sempre i fuoriclasse, nell’espletare tutti i principi cardine; quando leggerete i primi 30 articoli della Convenzione, quelli più operativi, e cercherete riscontri nella nostra legislazione, vi salterà all’occhio come l’Italia a più o meno contribuito al 50% con la sua esperienza giuridica. Si, Giuridica appunto. Ma la sfida per tutti gli operatori dell’informazione e della comunicazione è racchiusa nell’articolo 21 della stessa Convenzione, completato in alcuni passaggi dell’art. 30, dove questo impegno per la dimensione futuribile è suddiviso in due livelli: da un lato garantire il maggior accesso possibile alle informazioni; qui forse qualcosa in Italia viene fatta, grazie al grande panorama di iniziative editoriali sul web, blog privati e canali specialistici di comunicazione (penso in primis a Superabile dell’INAIL, NDA). ma nella sfida è contemplata anche la possibilità di dare maggiore spazio e riservare sempre più frangenti considerevoli a talune tematiche o necessità di una fetta, che si voglia o no, in continua crescita nel tessuto sociale italiano; e se vista attraverso la lente a grandi maglie, quella della “disabilità” permanente o temporanea riguarda ormai fasce di popolazione vicine al 10%. Ovviamente non tutto si risolve dall’oggi al domani, e ovviamente non tutto ricade sulle spalle di giornalisti e comunicatori, ma evidentemente nella società ipertecnologica in cui viviamo, dove l’informazione è condivisa, globale, circolare e subitanea, evidentemente se certi temi non arrivano alla ribalta, al cuore, evidentemente qualcosa occorre fare, e ognuno ci deve mettere il suo. Il passaggio di livello sta dal ricondurre tali tematiche dagli aspetti esclusivamente “sociali” a questioni apertamente “politiche”, visto che non si parla solo di servizi alla persona, ma anche di questioni legate ai lavori pubblici, al diritto al lavoro, alla libertà di cura e di ricerca, al diritto di godere dei diritti fondamentali come dettati dall’art. 3 della Costituzione Italiana…

Se non è considerazione “Politica” questa? Chiudo questa trattazione invitando tutti coloro che si sentano spinti a garantire nel loro “tempo professionale” spazi che rispondano al rispetto dei dettati della Convenzione, proprio per abbattere gap culturali e disagi comunicativi legati all’immagine stereotipata della disabilità, a farlo perché occorre lavorare sul terreno della cultura, e lo si deve fare tutti, per smontare l’atteggiamento della grettezza pietistica che sottrae forze e giusta considerazione delle persone con esigenze speciali, disabili che dir si voglia, proprio perché da “soggetti svantaggiati della società” si passi alla piena considerazione di “risorsa per la società”, che in fin dei conti è un esercizio solo di percezione, considerando che attorno a noi, in Europa, questi gap sono grandemente superati senza necessariamente prevedere misure assistenziali, ma solo la giusta considerazione di esigenze e prospettive, di risorse da investire e di potenzialità da veicolare, così, naturalmente, come per qualunque altra categoria di cittadini che pienamente godono di tale status.”.

Questo post fu ispirato da articoli Che raccontavano la nostra realtà come questo

NB: articolo scritto il 22/03/2016.

Buoni cittadini e cattivi cittadini

Di seguito, per la striscia dedicata al vecchio blog sotto la categoria Memoria Futura, voglio riportarvi fedelmente un post scritto a proposito di un’attività riabilitativa svolta con Sonia, dove noi vestivamo gli abiti dei “terapisti”. Questa vicenda, che rispolvero con molta malinconia, racconta di tanti aspetti che costituiscono il vissuto di ognuno. Oggi poi, pensando ai decreti in”sicurezza” della bestia padana – e del non coraggio di questi immondi governanti di oggi nell’abrogarli -, mi fa molta rabbia, perché triste è la considerazione di quell’universo di realtà dedito all’integrazione dei migranti che è stato completamente demolito dall’inumanità che si fa potere. Le considerazioni alla fine del virgolettato, per la mia personale esperienza, valgono tutt’oggi a proposito di tante altre persone che hanno trovato in Italia il loro approdo, fuggendo da guerra, miseria e disumanità, risultando poi in questo Paese straniero nel ruolo di cittadini migliori degli autoctoni.

“Quando mi sono trovato, con Sonia, di fronte alla storia d Nhataniel Okafor, ho capito sin da subito che si trattava di una storia forte, una Storia di vita che aveva dei tratti comuni con tante altre storie di migrazione, ma anche qualcosa di straordinario. In novembre (novembre 2015, NDA) siamo stati appunto chiamati dal GUS (Gruppo di Umana Solidarietà, NDA) per intervenire in relazione al signore in questione, migrante di origine nigeriana, che nella sua peregrinazione emigratoria, si è imbattuta nel glaucoma, malattia oftalmica che non lascia scampo. Con una mentalità di ampio respiro, al GUS di Castri di Lecce, si sono chiesti come potesse quest’uomo maturo reagire alle vicende della vita, in quelle condizioni esistenziali. Nel nostro intervento pertanto abbiamo subito tenuto conto delle sue esigenze, ovvero quelle di un padre di famiglia che a tante migliaia di chilometri da casa, non ha molte alternative, se non andare avanti, comunque.

La sua forza d’animo ci ha profondamente colpiti, oltre alla sua educazione e al suo rispetto quasi disarmanti. Da qui poi è iniziato un percorso per step che oggi (primavera 2016, NDA), nella sua fase conclusiva, conduce Nathaniel ad una condizione di uomo “diverso”, consapevole certo del grave problema di vista al quale si sta avviando inesorabilmente, ma in grado con la sua forza d’animo ed equilibrio interiore di reagire. Di provarci appunto. Posso garantire che al di là delle azioni pratiche che abbiamo condotto, ci siamo resi conto che di fronte avevamo un “buon cittadino”, che merita tutto il sostegno e le azioni di welfare previste dal nostro ordinamento, perché non si è seduto nell’attesa di avere, ma si è messo in gioco e sono certo che saprà restituire, da “buon cittadino”, così come sta ricevendo. Ed è meritevole, il sig. Okafor, di ricevere presto lo status di cittadino italiano, perché lo merita. Più di tanti italiani “cattivi cittadini” che sparano a zero sui migranti. Lo merita più di tanti italiani “Cattivi cittadini” che ignorano sistematicamente i diritti delle persone con disabilità, compiendo piccoli e grandi gesti che rendono impossibile una piena inclusione sociale. Nathaniel Okafor è un “buon cittadino” perché ha saputo raccogliere la sfida della vita, la sua, mettendosi in gioco e preparandosi a restituire da persona che ha scelto di vivere in Italia per reagire alle brutture della vita che sinora ha dovuto vedere. Quindi lui meglio di altri potrà rinnovare la mentalità di un’Italia stanca, non più in grado di vedere nell’accoglienza e nella dimensione umana strumenti di rinnovamento sociale ed opportunità di crescita e sviluppo. Lui lo merita, più di altri, perché è, e resterà, “buon cittadino” non d’Italia o di Nigeria, ma del mondo.”.

Ringrazio a distanza di anni l’amico giornalista Andrea Aufieri per aver raccontato questa storia e la nostra esperienza in un articolo che potete leggere di seguito…

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/lecce/736963/Le-tre-vite-di-Nathaniel-.html

P. S.: negli anni ho saputo che Nathaniel Okafor è ritornato in Nigeria, purtroppo l’Italia non si è dimostrato quel Paese accogliente ed inclusivo che tutti allora auspicavamo.

NB: post scritto il 18/4/2016

Il valore dell’articolo 3

Cerimonia di consegna delle onorificenze del 5/3/19 @Quirinale

Avvertenza ai naviganti: nulla da aggiungere a questo post, scritto in coincidenza dell’assegnazione delle onorificenze della Repubblica del 2018 da parte di Mattarella. Ricordo, solo con grande piacere, la frase emblematica dell’autentica meridionalità, forse della vera italianità di una, di loro, Maria Rosaria Coppola, legata ad un episodio di cronaca molto noto all’epoca: “tu nu si razzista, tu si strunz”. Buona lettura.

“La Costituzione italiana, questa sconosciuta,  è uno scrigno di possibilità per affermare la natura inclusiva della nostra Repubblica. Uno dei mezzi messi a disposizione delle istituzioni è enunciato nell’ultimo comma dell’art. 87 della Carta, dove si afferma che il Presidente della Repubblica, con gesto autonomo, può conferire onorificenze. Queste, di solito, non hanno un carattere politico, anzi, sono sempre assegnate sulla base di meriti, di onorabilità per le proprie azioni, per gesti quotidiani e/o straordinari che fungono da esempio per tutta la comunità, a prescindere se compiute in Italia da italiani o stranieri, o se compiuti in Italia o all’estero da italiani.

Quelle assegnate il 29 dicembre 2018 hanno un sapore particolare, perché sembrano uno strumento adoperato dal Presidente Mattarella (che giova ricordare essere uomo delle istituzioni e in prima linea per la lotta alle mafie) per ribadire che la natura antirazzista e antifascista, inclusiva e solidale della Repubblica italiana sono caratteri che rimarcano quella che è l’indole vera del popolo italiano. In questa occasione si ribadiscono alcuni tratti fondamentali che val la pena sottolineare, in correlazione con ciò che accade oggi nel Paese, e alla fine riporto un elenco, seguendo il filo logico degli ambiti come di seguito individuati, con una sommaria indicazione geografica, proprio per dimostrare come siano motivazioni che corrono lungo tutto lo stivale quelle valutate da Mattarella come meritevoli di encomio ed essere risaltate con l’assegnazione di queste onorificenze, assegnate poi il 5 Marzo 2019 (NDA), come documentato qui.

https://www.quirinale.it/elementi/23626

Mi preme sottolineare che nell’elenco finale sono riportati nomi e cognomi, regione dove si è svolta l’azione o dove l’autore risiede, ma è importante notare che vi sono stranieri, italiani che hanno esercitato tali meriti all’estero, religiosi, giovani ed anziani, uomini e donne che hanno saputo dare il meglio alla Comunità, alla Repubblica, e da essa giustamente ricevono riconoscimento, permettendoci di prendere esempio da loro per la nostra, umile, quotidianità. Mi scuso per eventuali errori di battitura nei cognomi.

Il Presidente, in un’epoca in cui l’art. 3 viene posto in seria discussione dalla pratica discriminatoria, ha voluto premiare chi veicola i diritti delle persone con disabilità; ma il senso di comunità è un altro tratto importante, dove sono state premiate persone che lottano continuamente contro le esclusioni sociali, ad ogni livello, e chi si è straordinariamente impegnato per gli altri, anche in situazioni di estremo pericolo o disagio.

Un altro tratto che mi preme sottolineare è la solidarietà verso la sofferenza, che denota la necessità per sentirsi parte della comunità repubblicana di non abbandonare nessuno, nemmeno nelle situazioni più gravose per l’esistenza di ogni persona; ciò avviene promuovendo la donazione di organi e tessuti, ma anche sostenendo propri dipendenti che attraversano la malattia dei propri cari con dignità. In mezzo a questi due estremi il mare magnum dell’umanità del quale il popolo italiano è capace, se lo vuole. Quell’empatia che spinge anche medici ad operare per le malattie più comuni e dannose per la salute umana anche nei posti più abbandonati del mondo, dove non esiste solo la povertà, ma anche la sofferenza per il cancro.

In un’epoca dove la conoscenza, la competenza e la cultura sono bistrattate da parte delle istituzioni repubblicane, ovviamente il Presidente Mattarella ha voluto difenderne l’importanza civica premiando il loro valore aggiunto, la loro funzione fondamentale, soprattutto al Sud.

  Per la difesa delle donne, a livello emblematico, è stato riconosciuto il gesto “eroico” di uno straniero in terra di Calabria e questo, se mi permettete, è il trait d’union per la premiazione a tutti coloro che si sono impegnati e si impegnano per una Repubblica antirazzista ed inclusiva, iscritta chiaramente nel sopra citato, mai compiuto del tutto, articolo 3 della Costituzione. 

Altro simbolo di questa giornata è la premiazione di una donna, straniera, che a Roma ha difeso i valori della legalità e della giustizia sociale difendendo il proprio sforzo e la propria posizione dagli attacchi di chi vorrebbe il caos dell’illegalità sovrano, gesto che spesso manca (per codardia) a tanti italiani.

Ma il culmine, che sui social e non solo è risaltato senza particolare aiuto, è la premiazione all’emblema della normalità. Sessantenne, donna, massaia, affranta dalla propria quotidianità fatta di gesti semplici e straordinari, Maria Rosaria Coppola è colei che rappresenta la ragione, la normalità, l’ovvio. Con poche parole, semplici ed umili (anche colorite se vogliamo) ha riassunto, difendendo uno straniero, vessato dalle fatiche di un lavoro malpagato e dall’idiozia di alcuni, quella che è l’essenza della Carta repubblicana. Ovvero che in Italia non esiste margine per il razzismo, per l’esclusione sociale. Perchè non esiste razzismo che tenga ma solo l’idiozia di fondo di un odio cieco che nasce dalla propria frustrazione. “Tu nu si razzista, tu si nu strunz” è il manifesto per affermare che il razzismo non esiste come filosofia di vita, ma solo come incapacità a non riconoscere il valore negli altri, atteggiamento che nasce dal demerito che ogni presunto “razzista” si porta dietro nella propria esistenza, spesso vuota e priva di solidarietà, senso di comunità, amore.

Vi invito ad approfondire le biografie e le azioni di questi insigni cittadine e cittadini, perchè il 2019 sia un anno migliore per ogni italiano sull’esempio di questi uomini e queste donne, questi giovani e queste anziane che ci ricordano che l’art. 3 è il cuore dell’italia democratica e repubblicana.

I nomi sono: Carlo Vettorato (Val d’Aosta); Igor Trocchia, Carmen Reveles, Ilaria Galbusera, Germana Giacomelli (Lombardia); Irma Da Armellina, Renzo Zocca (Veneto); Roberto Crippa e Luisa Ficchione (Trentino); Davide Monticolo (Friuli Venezia Giulia); Roberto Morgantini (Emilia Romagna); Milo Matogini e Simonetta Stefanini, Jacopo Melio (Toscana); Rosella Tonti (Umbria); Annalisa Umbertoni, Aldo Chiavari (Marche); Maria Tiziana Andriani, Rebecca Spitzmiller, Roxana Rumen, Marco Minzolo, Vincenzo Castelli(Lazio); Maria Rosaria Coppola (Campania), Elvira Tutolo (Molise); Marco Ranieri, Riccardo Muci, Roberta Leporati (Puglia);; Antonio Lacava (Basilicata); Mustafà Auodi (calabria); Vito Massimo Catania (Sicilia); Massimiliano Sechi, Claudio Madau, Fabio Caramel (Sardegna)

Buon 2019 a loro e a noi per saperne cogliere l’esempio.”.

NB: articolo scritto il 30/12/2018

il welfare italiano vessato tra errori legislativi e immobilismo

Avvertenza ai naviganti: continua, in Memoria futura, la categoria di questo blog che raccoglie vecchi interventi scritti in epoche più o meno lontane, la pubblicazione dei post dell’estate 2018. Di seguito, tra virgolette, una riflessione sul welfare italiano alla luce di quello che allora fu chiamato “decreto dignità”, ma che in quel luglio 2018 mi costò un po’ di fatica in alcune ricerche al fine di smontarne l’utilità e l’efficacia sin dalle fondamenta. Molte riflessioni restano ancora valide e sono presenti ex post nel P. S. a quest’articolo, scritto nel 2020.

“Cos’è concretamente il welfare? porsi una domanda sulle definizioni è utile, perché le questioni vanno comprese sino in fondo, anche se mi resta la convinzione che basta guardare la concretezza delle cose e tutti sono poi in grado di comprendere. Il welfare è tutto l’insieme di strumenti volti alla risoluzione delle problematiche di persone con difficoltà o soggetti svantaggiati, che di norma ricade (in ossequio all’art. 3 ed altri della Costituzione) sullo Stato, ma negli ultimi anni se ne vedono nuove forme, dove l’intervento dei privati in questo frastagliato panorama risulta ormai una costante imprescindibile per la garanzia di servizi.

Pensate alle associazioni per disabili, centri diurni, servizi per anziani e bambini. Ecco, queste sono le questioni poste. La Politica chiaramente deve governare a livello centrale questo, come tutti gli altri fenomeni sociali. Fenomeni che, ribadisco con nettezza, fanno riferimento a settori vivi della nostra economia, quella detta del terziario.

Dunque il sig. ministro cialtrone Di Maio (all’epoca Ministro dello Sviluppo Economica e del lavoro, NDA) si ritrova a scribacchiare quattro puttanate in un decreto, dandogli la definizione di “dignità”, parola che evidentemente a lui non deve essere ben chiara. Due parole sulla questione decreto.

Dico del sig. Di Maio di essere cialtrone, perchè dovrebbe sapere che la decretazione d’urgenza nel formato D.L. (decreto legge) necessita di alcune caratteristiche particolari, come l’urgenza, appunto, motivo per il quale questo atto per due mesi mantiene intatta la sua forza di legge, nell’attesa che il Parlamento si esprima in merito alla sorte del suddetto decreto. Ora, il sig. cialtrone Di Maio e il suo entourage dovrebbero spiegare agli italiani cosa c’è di urgente nella decretazione sui contratti di lavoro, con riferimento al lavoro domestico e di sostegno alle persone. Attendo risposte che non verranno. Premetto, a scanso di equivoci, che legiferare tramite la decretazione d’urgenza è uno strumento che ho sconfessato anche durante i governi Berlusconi e Renzi, proprio perché manifestano la debolezza politica degli attori proponenti e sminuiscono il ruolo del Parlamento, spesso sotto mira della questione di fiducia posta durante l’iter nelle camere del decreto proposto. Capite perché Di Maio oltre ad essere cialtrone è anche vile? ha scritto per scrivere, perché doveva far vedere che lui decretava… Taccio, che è meglio.

Passiamo al nocciolo della questione. Siamo in piena estate, momento dell’anno in cui il welfare va fortemente in crisi perché molte strutture chiudono, perchè ci sono le ferie, perchè il peso di una società che sta invecchiando viene scaricato sotto la calura delle nostre città, relegata al silenzio. In questo frangente molte famiglie rinnovano contratti, dispongono soluzioni, insomma si avvalgono delle collaborazioni familiari, anche per godersi quel minimo di ferie, diritto legittimo e irrinunciabile per Costituzione. Parliamo, stando alle cifre del lavoro domestico regolarizzato, di un contesto che riguarda quasi un milione di famiglie, contando quelle che tra bambini, disabili gravi e anziani usano questo strumento per tenere alto lo standard di qualità della vita dei propri congiunti.

Dov’è il trait d’union tra tutto ciò? Il decreto del sig. cialtrone Di Maio è immediatamente applicabile, sino al termine di 60 giorni previsti per legge, ovvero sino al termine dell’iter parlamentare. Quindi moltissime famiglie si sono ritrovate a dover gestire dai primi giorni di luglio un aumento nei costi di rinnovo e mantenimento del lavoro di collaborazione familiare e aiuto alle persone non autosufficienti, considerando che molte famiglie si avvalgono di questi strumenti a chiamata, oppure con contratti part-time. Anche perché si sa, chi presta servizio in una casa lo presta almeno in tre.

Lui che fa, con urgenza, per governare una questione strutturale? rende più costosi il rinnovo dei contratti a termine ma, anziché individuare e colpire le storture nell’industria, nel turismo e nell’artigianato (dove invece vuole introdurre nuovamente i tagliandini a prestazione), colpisce le famiglie, dove il lavoro di collaborazione e assistenza alle persone doveva essere escluso proprio per le sue caratteristiche particolari, ovvero la repentinità di cambio delle circostanze e degli equilibri tra datore di lavoro e prestatore d’opera. Un genio insomma.

Contiamo quindi, tra anziani, collaborazioni familiari, malati di Alzeimer e disabili gravi non autosufficienti un milione (e la stima va veramente a ribasso) di posti di lavoro che da domani costeranno di più, facendo gravare una cifra importante di molte decine di milioni di euro su di loro, anzichè a loro destinarli. Robe da pazzi!

Considerando che molte di queste famiglie si avvalgono di assistenti personali per anziani e disabili, sarei curioso di sapere che cosa pensa l’altro cialtrone travestito da ministro, il sig. Lorenzo Fontana )all’epoca a capo del Ministero per la Famiglia e la Disabilità, poi ridenominato Ministero per la Famiglia, NDA), proprio in virtù del fatto che questi aspetti del welfare ricadono nelle sue competenze.

In bocca al lupo a tutti, augurandoci di non avere mai bisogno dell’aiuto di altri per vivere degnamente, altrimenti la dignità di quel decreto ce lo farà costare caro!”.

P. S.: alla luce del Coronavirus, potete leggere la richiesta al Governo di queste settimane da parte del mondo del terzo setore nel post che segue, dove però emergono i tratti di un welfare in sofferenza per carenza strutturale di interventi della politica.

http://www.vita.it/it/article/2020/04/01/terzo-settore-fiaschi-un-fondo-nazionale-per-ripartire/154796/

Inoltre, molte problematiche sono ancora vive e mal vissute dal mondo del terzo settore. Alcune istanze potete rintracciarle anche in quest’altro mio post, successivo a questo, dove si poneva alla platea politica un certo tipo di considerazione del mondo della disabilità, della terza età, dell’infanzia.

https://oppostevisioni.wordpress.com/2020/04/30/la-politica-per-i-malati-disabili-anziani/

NB: articolo pubblicato il 22/7/2018