Tra virgolette, per Memoria futura vi propongo oggi un post scritto nel 2013 a proposito d un’esperienza molto interessante. Si trattava di un “esperimento” se volete, ma era più che altro un ben riuscito modo di aggregare le persone tramite i socialnetwork, Twitter nello specifico, quando ancora i social erano un posto non dico sano, ma per lo meno abitabile. Erano gli Indivanados, una sorta di antesignani dei FacciamoRete di oggi, delle Sardine ante litteram, che interpretavano l’impegno in maniera “accomodata”… Una presentazione del movimento (del tutto spontaneo) in una lettera del suo ideatore che potete leggere qui se il vecchio blog, fonte di ispirazione per questa categoria, si apre, visto che spesso va in blocco.
Sul vecchio blog inoltre ospitai il suo fondatore, noto alle cronache social come Gabriel Ektorp (da notare come il nomignolo fosse riconducibile ad un modello di divano!), che spiegava il senso di questo “gioco” che, tanto per giocare, portò ad un congresso nazionale a Roma nell’ottobre di quell’anno. Subito dopo l’appuntamento capitolino, che ricordo con gran piacere, scrissi queste riflessioni, ritenendole ancora del tutto valide. Buona lettura.
“Questo post ha l’obiettivo di stimolare un approccio “Differente” all’osservazione della “diversità” nel suo insieme, come concetto politico-sociale, ma anche come aspetto del singolo vissuto. Tale tentativo di contribuire allo sviluppo di più corrette definizioni parte dal confronto con gli amici Indivanados, aspirando ad essere un ragionamento tra le maglie della politologia, ma con un senso meno tecnico e più di “ispirazione” (leggilo: di prospettiva). Infatti ho parlato di “normalizzazione delle diversità” all’interno del Congresso degli Indivanados del 19 ottobre scorso (2013, NDA), intervento a braccio, che merita un approfondimento, alla luce della mia nomina a Ministro delle Politiche Sociali del Governo della repubblica del Divano, contraltare al governo della Repubblica delle Banane, ovvero l’attuale governo Letta. Ma di quest’ultimo aspetto verrà un post dedicato. Tale contributo serva da chiarimento a chi era alla Casa internazionale delle Donne il 19 ottobre e, per tutti, come premessa valida per ciò che seguirà.
Occorre partire dalle definizioni così come rintracciate sul web e assolutamente condivisibili nella loro forma. In senso lato con normalizzazione si intende un qualsiasi processo che modifica un oggetto per renderlo più normale, il che significa tipicamente renderlo più conforme a qualche criterio di regolarità, oppure di rendere alcune sue caratteristiche più vicine a quelle che si riscontrano mediamente, oppure di farlo ritornare aduna situazione più usuale dopo un evento che l’ha portato ad uno stato anormale. Questo termine ha significati specifici in molti campi; per leggere la fonte di questo pensiero vai qui.
Per emergenza (emergenzialità) si intende invece la circostanza imprevista,caso grave, urgente, situazione di necessità. In caso di emergenza, di necessità urgenti. Provvedimenti di emergenza, straordinari. Stato di emergenza, situazione pubblica di particolare difficoltà e pericolosità, che richiede provvedimenti speciali e urgenti: dichiarare lo stato di emergenza (per la definizione vedi qui).
Il ragionamento che segue si baserà sulla dicotomia emergenzialità-normalizzazione, che di solito si riferisce alla “diversità” in senso ampio, per ricondurla qui più specificatamente alle disabilità. Già su twitter mi sono concentrato su questi tre aspetti fondamentali, specchio evidente del concetto di “diversità” nel nostro tessuto sociale, dove la diversità è nell’intendere il ruolo di quell’elemento nella “normalità”di nemesi del Paese. I tre ambiti, aspetti, categorie se volete, sono:Immigrazione, dialogo intergenerazionale, disabilità. Se ci fate caso sono tre aspetti che negli ultimi mesi, settimane, sottintendono a numerosi passaggi della dialettica politica, del dibattito sociale. Dell’immigrazione già trattai parzialmente nella tesi di laurea del 2008, proprio in relazione allo stato di continua “emergenzialità” con la quale si affrontava, e mi pare di poter dire,si affronta la questione. Ma evidentemente, le istanze di “rottamazione“ poste da alcuni attori politici, alludendo al ricambio generazionale, piuttosto chele vicende di alcune categorie di disabili hanno posto fortemente tale ragionamento in assetto trasversale per questi tre ambiti sociali. I lacci e i collegamenti sono molteplici, si pensi solo al ricambio generazionale della popolazione sostenuto dagli immigrati, piuttosto che ai servizi di welfare e assistenza per lo più affidati ad essi, eccetera. Ma è su aspetti generali che vorrei soffermarmi,per poi glissare nuovamente sulle disabilità.
In Italia siamo stati abituati al fatto che ogni fenomeno o effetto sociale debba essere sempre affrontato come se fosse una scure che piova dall’alto, dove politica e corpo sociale, in massima parte, non sono mai, sottolineerei mai, pronti ad interiorizzare quel cambiamento piuttosto che quel fenomeno specifico. Si parla di rinnovamentogenerazionale da trent’anni, di immigrazione da quasi quaranta, come diintegrazione ed inclusione dei disabili. Le decisioni politiche non son omancate; spesso sono state corrette e preludevano alla giusta direzione daseguire, ma l’applicazione pratica è sempre stata assente, fallimentare sepresente, in ogni caso mai all’altezza. Se penso all’emergenzialità mi viene sempre da riferirmi allo stato dell’assetto idrogeologico del nostro Paese, dove l’evidenza è sotto gli occhi di tutti, nessuno fa nulla, e poi alle prime 3 ore di pioggia i tg o i giornali titolano “emergenza maltempo”… Insomma, pare che nel nostro modo di affrontare ogni tematica non ci si trovi aproprio agio se non pensando che sia eccezionale, d’emergenza, che non ciriguardi fino in fondo, che sia una condizione anomala rispetto al nostro modo di intendere il mondo e le cose. Una soluzione c’è? Esiste la possibilità di sovvertire questo aspetto che, da tempo sostengo, essere di “inferiorità antropologica”? Credo di si. Spostando sull’asse degli estremi emergenzialità-normalizzazione l’asticella verso la seconda, preludendo a un lavoro culturale, da iniziare individualmente, dentro di noi, che poi possa condurre alla effettiva esplicazione nei gesti e comportamenti sociali,politica compresa. Intendo dire che occorre attraverso la “normalizzazione”, o se preferite interiorizzazione, di taluni fenomeni sociali ed umani ridare dignità al termine “emergenza”, proprio perché essa allude ad uno stato eccezionale da affrontare adeguatamente. L’esempio? Emergency di Gino Strada. Non aggiungo altro. Sostengo questo perché occorre comprendere e interiorizzare fino infondo che un disabile è portatore di dignità e la componente numerica di questa categoria nel corpo sociale italiano richiede maggiore attenzione, perché i disabili meritano una maggiore considerazione prima, una piena integrazione e un’effettiva inclusione sociale; questo per lo stesso motivo per il quale il passaggio tra generazioni sia un meccanismo fluido in ogni settore, dove venga di fatto dato spazio alla freschezza e all’entusiasmo di classi più giovani e meritevoli,e i più anziani con fiducia devono lasciare spazio, così come gli immigrati devono essere considerati parte piena della nostra comunità nazionale. Tre atteggiamenti che sarebbero ovvi, normali, in un tessuto sociale libero dalla morsa paranoica della continua emergenza sociale. Ma ora mi concentrerò sull’aspetto delle “diversità” a me più vicino, la disabilità, per districare meglio questo concetto.
Premetto, come dissi a Roma nel mio intervento a braccio, che è un ragionamento assimilabile anche ad altri aspetti delle “diversità” di cui siamo tutti portatori, estendibile ad altre vicende umane vissute come “emergenza”,ovvero condizione delle donne od omosessualità. Per competenze ed esperienza resto sulle disabilità. Quindi per “normalizzazione delle diversità” non intendo un appiattimento del vissuto soggettivo né tanto meno ad una omogeneizzazione od oscuramento di talune categorie sociali, bensì ad una completa assimilazione della “diversità” di cui ognuno è portatore, che merita eguale attenzione, uguale trattamento e considerazione, proprio perché il minimo comun denominatore è la “dignità”. Un disabile può e deve essere valorizzato anche come soggetto economico, un disabile può e deve avere pari considerazione e inclusione sociale, ogni disabile deve evitare processi subdoli, a volte involontari, di marginalizzazione. Questo perché al di là delle condizioni personali ognuno ha pari dignità sociale. Tutto ciò è chiaramente ispirato dal più disatteso degli articoli del nostro dettato costituzionale, l’articolo 3, che vorrei ricordare: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Mi sembra chiaro. La Repubblica Italiana ha profondamente fallito in questa direzione, ora tocca a noi, singoli e corpo sociale.”.
Domande ex post: nel 2020, al di là delle citazioni della politica o riferimenti vaghi a fatti di cronaca dell’epoca, mi chiedo se per la piena inclusione dei disabili c’è stata una sorta di normalizzazione, se italiani di origine straniera sono stati soddisfatti nelle loro aspettative di essere pieni cittadini della Repubblica, se la componente anziana ha ricevuto adeguate risposte nelle richieste di un welfare moderno? Per rispondere, ovviamente, scremate ogni pensiero dall’emergenza, questa si, del Coronavirus.
NB: post scritto il 22/10/2013. Per la sua redazione mi accompagnai alla lettura di alcuni documenti rintracciati in rete. Alcune cose, a distanza di anni, sono state rimosse o disperse, ma alla data della pubblicazione di quest’articolo ho recuperato alcune cose. Per i processi di normalizzazione in politica, consiglio la lettura di qquesto documento del 2001 della Commissione europea. Per un’idea sui processi della normalizzazione in relazione alla disabilità consiglio la lettura di questo documento. Per la presenzadelle diversità, nell’accezione più ampia, in ambito della comunicazione, interessante è questo contributo che descrive la presenza di differenti categorie in ambito pubblicitario.