
Cara lettrice, caro lettore, oggi è inevitabile sottoporre – in primo luogo a me stesso – alcune riflessioni, nozioni e domande per celebrare il 74° anniversario della nascita della Repubblica a seguito del Referendum svolto nella prima domenica di giugno del 1946.
Non posso non iniziare con il proporti l’ascolto dell’Inno nazionale completo di testo e nella sua versione integrale, dove emerge il profondo senso di Comunità dell’Italia risorgimentale, sentimento rarefatto se guardiamo all’Italia di oggi.
Auspici del Presidente
Il Presidente Mattarella si recherà oggi a Codogno, dove si è registrato l’inizio della crisi del Coronavirus, per indicare quell’Unità nazionale espressa come necessaria nel celebrare il 2 Giugno – festa nazionale della Repubblica – dall’Altare della Patria nelle prime ore della mattinata. Unità del Paese che viene interpretata dal Presidente come maggiormente necessaria nei momenti di difficoltà, tentando di alimentare quella che come scrive Carlo Fusi nel suo Editoriale occorre individuare come coesione nazionale, territoriale, della comunità che, forse, a partire proprio da quel referendum di 74 anni fa non si è mai del tutto insinuata nella coscienza nazionale, registrando anzi una dualità costante della nostra Italia, problema che chi abbia studiato o si diletti di storia contemporanea sa che ci portiamo dietro dall’Unità nazionale, definizione di “due Italie” poi coniata da Francesco Saverio Nitti.
Il fatto storico
Ma che proporzione ebbe quel Referendum nella popolazione? Che cosa raccontò l’esito di quella consultazione? Dal Ministero degli interni leggiamo che domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, l’89,08% dei 28.005.449 elettori italiani aventi diritto si recarono alle urne per rispondere al quesito del REFERENDUM SULLA FORMA ISTITUZIONALE DELLO STATO. Dei 24.946.878 voti validi, si espressero per la Repubblica 12.718.641 (54,27%), mentre per la Monarchia si espressero 10.718.502 (45,73%). Da registrare che tra Schede bianche e schede non valide contiamo 1.509.735, ovvero una percentuale vicina al 7% di popolazione votante che non volle o non seppe esprimersi nel senso del Referendum proposto, una percentuale che oggi farebbe sorgere o cadere un governo nel giro di una notte. Considerate che non fu una consultazione facile dal punto di vista dell’approccio istituzionale; infatti il governo era provvisorio, eravamo ancora in una situazione post bellica e gli stessi dati furono elaborati in un lunghissimo periodo, considerando che molte province – di quello che sino ad allora era il Regno d’Italia – presentavano seri problemi infrastrutturali, circostanza che compromise la tempestiva raccolta degli apparati centrali dei dati emersi dalle urne elettorali. Il risultato che attribuiva il passaggio alla Repubblica venne infatti ufficialmente reso esecutivo dieci giorni dopo lo svolgimento del Referendum. I risultati furono proclamati dalla Corte di cassazione il 10 giugno. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato, mentre il Re Umberto II in quelle ore lasciava il territorio nazionale.
Come evidenziava lo stesso Carlo Fusi nell’editoriale sopra citato, anche in quell’occasione si palesò una frattura duale del tessuto sociale italiano: un nord repubblicano e un centro-sud monarchico; un tessuto elettorale femminile monarchico e democristiano (in quelle elezioni si compose anche l’assemblea costituente per la nuova Costituzione) e un elettorato maschile fortemente patriarcale. Questo dualismo si condensa nello scarto di 2 milioni di voti che, apparentemente potrebbero sembrare tanta roba, ma che in verità rappresentano una linea sottile di demarcazione della volontà popolare, ancora attaccata a dei retaggi culturali che non permisero l’assimilazione del passaggio istituzionale, nonostante il fatto che alla monarchia non venne perdonato l’ingiurioso lassismo di fronte al regime e la fuga verso Brindisi nel momento dell’invasione nazista di Roma a seguito dell’8 settembre.
Domande
Ma torniamo alla contemporaneità e, come nel mio stile, lancio delle domande che non hanno il compito di guastare questo 2 giugno, bensì di rilanciarlo con una riflessione sul nostro essere Comunità, aspetto che il Presidente Mattarella spesso ha richiamato nei suoi discorsi. Esiste davvero questa solidarietà nazionale? Esistiamo davvero come comunità coesa da nord a sud?
Rispondere oggi non è il caso, lasciamo che queste domande aleggino su di noi e ci inducano alla riflessione profonda. Alimento questo sforzo di comprensione del significato sull’essere una comunità nazionale chiedendomi, chiedendovi, se come componenti di questa comunità abbiamo mai completamente compreso il senso dell’articolo 3 della Costituzione? E poi:abbiamo mai preteso quell’uguaglianza ivi contenuta che dovrebbe accomunarci in uno spirito di coesione? Abbiamo mai creduto che l’articolo 2 fosse nostra guida, indicandoci la dignità della natura umana come centrale nella Repubblica? Come cittadini ed istituzioni abbiamo assimilato il senso della parità nel lavoro tra uomini e donne presente nell’articolo 37? in quest’epoca di Coronavirus, come colettività abbiamo saputo fare tesoro dell’articolo 32? Il tessuto imprenditoriale italiano si è mai mosso nel senso dell’articolo 41, il meno applicato dopo l’articolo 3? Le libertà dell’articolo 21 sono state onorate dagli operatori dell’informazione con deontologia e professionalità? L’onore e la disciplina richiesti all’articolo 54 sono stati interiorizzati dai nostri rappresentanti, ad ogni livello.
Con questi interrogativi vi lascio e vi auguro una buona Festa della nostra amata, non apprezzata fino in fondo, Repubblica italiana, affidando gli auspici contenuti in queste domande all’ascolto del celebre brano di Francesco De Gregori, “Viva l’Italia”.