Il 2 giugno tra auspici del Presidente e domande del tutto aperte.

Tricolore al vento

Cara lettrice, caro lettore, oggi è inevitabile sottoporre – in primo luogo a me stesso – alcune riflessioni, nozioni e domande per celebrare il 74° anniversario della nascita della Repubblica a seguito del Referendum svolto nella prima domenica di giugno del 1946.

Non posso non iniziare con il proporti l’ascolto dell’Inno nazionale completo di testo e nella sua versione integrale, dove emerge il profondo senso di Comunità dell’Italia risorgimentale, sentimento rarefatto se guardiamo all’Italia di oggi.

Auspici del Presidente

Il Presidente Mattarella si recherà oggi a Codogno, dove si è registrato l’inizio della crisi del Coronavirus, per indicare quell’Unità nazionale espressa come necessaria nel celebrare il 2 Giugno – festa nazionale della Repubblica – dall’Altare della Patria nelle prime ore della mattinata. Unità del Paese che viene interpretata dal Presidente come maggiormente necessaria nei momenti di difficoltà, tentando di alimentare quella che come scrive Carlo Fusi nel suo Editoriale occorre individuare come coesione nazionale, territoriale, della comunità che, forse, a partire proprio da quel referendum di 74 anni fa non si è mai del tutto insinuata nella coscienza nazionale, registrando anzi una dualità costante della nostra Italia, problema che chi abbia studiato o si diletti di storia contemporanea sa che ci portiamo dietro dall’Unità nazionale, definizione di “due Italie” poi coniata da Francesco Saverio Nitti.

Il fatto storico

Ma che proporzione ebbe quel Referendum nella popolazione? Che cosa raccontò l’esito di quella consultazione? Dal Ministero degli interni leggiamo che domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, l’89,08% dei 28.005.449 elettori italiani aventi diritto si recarono alle urne per rispondere al quesito del REFERENDUM SULLA FORMA ISTITUZIONALE DELLO STATO. Dei 24.946.878 voti validi, si espressero per la Repubblica 12.718.641 (54,27%), mentre per la Monarchia si espressero 10.718.502 (45,73%). Da registrare che tra Schede bianche e schede non valide contiamo 1.509.735, ovvero una percentuale vicina al 7% di popolazione votante che non volle o non seppe esprimersi nel senso del Referendum proposto, una percentuale che oggi farebbe sorgere o cadere un governo nel giro di una notte. Considerate che non fu una consultazione facile dal punto di vista dell’approccio istituzionale; infatti il governo era provvisorio, eravamo ancora in una situazione post bellica e gli stessi dati furono elaborati in un lunghissimo periodo, considerando che molte province – di quello che sino ad allora era il Regno d’Italia – presentavano seri problemi infrastrutturali, circostanza che compromise la tempestiva raccolta degli apparati centrali dei dati emersi dalle urne elettorali. Il risultato che attribuiva il passaggio alla Repubblica venne infatti ufficialmente reso esecutivo dieci giorni dopo lo svolgimento del Referendum. I risultati furono proclamati dalla Corte di cassazione il 10 giugno. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato, mentre il Re Umberto II in quelle ore lasciava il territorio nazionale.

Come evidenziava lo stesso Carlo Fusi nell’editoriale sopra citato, anche in quell’occasione si palesò una frattura duale del tessuto sociale italiano: un nord repubblicano e un centro-sud monarchico; un tessuto elettorale femminile monarchico e democristiano (in quelle elezioni si compose anche l’assemblea costituente per la nuova Costituzione) e un elettorato maschile fortemente patriarcale. Questo dualismo si condensa nello scarto di 2 milioni di voti che, apparentemente potrebbero sembrare tanta roba, ma che in verità rappresentano una linea sottile di demarcazione della volontà popolare, ancora attaccata a dei retaggi culturali che non permisero l’assimilazione del passaggio istituzionale, nonostante il fatto che alla monarchia non venne perdonato l’ingiurioso lassismo di fronte al regime e la fuga verso Brindisi nel momento dell’invasione nazista di Roma a seguito dell’8 settembre.

Domande

Ma torniamo alla contemporaneità e, come nel mio stile, lancio delle domande che non hanno il compito di guastare questo 2 giugno, bensì di rilanciarlo con una riflessione sul nostro essere Comunità, aspetto che il Presidente Mattarella spesso ha richiamato nei suoi discorsi. Esiste davvero questa solidarietà nazionale? Esistiamo davvero come comunità coesa da nord a sud?

Rispondere oggi non è il caso, lasciamo che queste domande aleggino su di noi e ci inducano alla riflessione profonda. Alimento questo sforzo di comprensione del significato sull’essere una comunità nazionale chiedendomi, chiedendovi, se come componenti di questa comunità abbiamo mai completamente compreso il senso dell’articolo 3 della Costituzione? E poi:abbiamo mai preteso quell’uguaglianza ivi contenuta che dovrebbe accomunarci in uno spirito di coesione? Abbiamo mai creduto che l’articolo 2 fosse nostra guida, indicandoci la dignità della natura umana come centrale nella Repubblica? Come cittadini ed istituzioni abbiamo assimilato il senso della parità nel lavoro tra uomini e donne presente nell’articolo 37? in quest’epoca di Coronavirus, come colettività abbiamo saputo fare tesoro dell’articolo 32? Il tessuto imprenditoriale italiano si è mai mosso nel senso dell’articolo 41, il meno applicato dopo l’articolo 3? Le libertà dell’articolo 21 sono state onorate dagli operatori dell’informazione con deontologia e professionalità? L’onore e la disciplina richiesti all’articolo 54 sono stati interiorizzati dai nostri rappresentanti, ad ogni livello.

Con questi interrogativi vi lascio e vi auguro una buona Festa della nostra amata, non apprezzata fino in fondo, Repubblica italiana, affidando gli auspici contenuti in queste domande all’ascolto del celebre brano di Francesco De Gregori, “Viva l’Italia”.

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Il valore dell’articolo 3

Cerimonia di consegna delle onorificenze del 5/3/19 @Quirinale

Avvertenza ai naviganti: nulla da aggiungere a questo post, scritto in coincidenza dell’assegnazione delle onorificenze della Repubblica del 2018 da parte di Mattarella. Ricordo, solo con grande piacere, la frase emblematica dell’autentica meridionalità, forse della vera italianità di una, di loro, Maria Rosaria Coppola, legata ad un episodio di cronaca molto noto all’epoca: “tu nu si razzista, tu si strunz”. Buona lettura.

“La Costituzione italiana, questa sconosciuta,  è uno scrigno di possibilità per affermare la natura inclusiva della nostra Repubblica. Uno dei mezzi messi a disposizione delle istituzioni è enunciato nell’ultimo comma dell’art. 87 della Carta, dove si afferma che il Presidente della Repubblica, con gesto autonomo, può conferire onorificenze. Queste, di solito, non hanno un carattere politico, anzi, sono sempre assegnate sulla base di meriti, di onorabilità per le proprie azioni, per gesti quotidiani e/o straordinari che fungono da esempio per tutta la comunità, a prescindere se compiute in Italia da italiani o stranieri, o se compiuti in Italia o all’estero da italiani.

Quelle assegnate il 29 dicembre 2018 hanno un sapore particolare, perché sembrano uno strumento adoperato dal Presidente Mattarella (che giova ricordare essere uomo delle istituzioni e in prima linea per la lotta alle mafie) per ribadire che la natura antirazzista e antifascista, inclusiva e solidale della Repubblica italiana sono caratteri che rimarcano quella che è l’indole vera del popolo italiano. In questa occasione si ribadiscono alcuni tratti fondamentali che val la pena sottolineare, in correlazione con ciò che accade oggi nel Paese, e alla fine riporto un elenco, seguendo il filo logico degli ambiti come di seguito individuati, con una sommaria indicazione geografica, proprio per dimostrare come siano motivazioni che corrono lungo tutto lo stivale quelle valutate da Mattarella come meritevoli di encomio ed essere risaltate con l’assegnazione di queste onorificenze, assegnate poi il 5 Marzo 2019 (NDA), come documentato qui.

https://www.quirinale.it/elementi/23626

Mi preme sottolineare che nell’elenco finale sono riportati nomi e cognomi, regione dove si è svolta l’azione o dove l’autore risiede, ma è importante notare che vi sono stranieri, italiani che hanno esercitato tali meriti all’estero, religiosi, giovani ed anziani, uomini e donne che hanno saputo dare il meglio alla Comunità, alla Repubblica, e da essa giustamente ricevono riconoscimento, permettendoci di prendere esempio da loro per la nostra, umile, quotidianità. Mi scuso per eventuali errori di battitura nei cognomi.

Il Presidente, in un’epoca in cui l’art. 3 viene posto in seria discussione dalla pratica discriminatoria, ha voluto premiare chi veicola i diritti delle persone con disabilità; ma il senso di comunità è un altro tratto importante, dove sono state premiate persone che lottano continuamente contro le esclusioni sociali, ad ogni livello, e chi si è straordinariamente impegnato per gli altri, anche in situazioni di estremo pericolo o disagio.

Un altro tratto che mi preme sottolineare è la solidarietà verso la sofferenza, che denota la necessità per sentirsi parte della comunità repubblicana di non abbandonare nessuno, nemmeno nelle situazioni più gravose per l’esistenza di ogni persona; ciò avviene promuovendo la donazione di organi e tessuti, ma anche sostenendo propri dipendenti che attraversano la malattia dei propri cari con dignità. In mezzo a questi due estremi il mare magnum dell’umanità del quale il popolo italiano è capace, se lo vuole. Quell’empatia che spinge anche medici ad operare per le malattie più comuni e dannose per la salute umana anche nei posti più abbandonati del mondo, dove non esiste solo la povertà, ma anche la sofferenza per il cancro.

In un’epoca dove la conoscenza, la competenza e la cultura sono bistrattate da parte delle istituzioni repubblicane, ovviamente il Presidente Mattarella ha voluto difenderne l’importanza civica premiando il loro valore aggiunto, la loro funzione fondamentale, soprattutto al Sud.

  Per la difesa delle donne, a livello emblematico, è stato riconosciuto il gesto “eroico” di uno straniero in terra di Calabria e questo, se mi permettete, è il trait d’union per la premiazione a tutti coloro che si sono impegnati e si impegnano per una Repubblica antirazzista ed inclusiva, iscritta chiaramente nel sopra citato, mai compiuto del tutto, articolo 3 della Costituzione. 

Altro simbolo di questa giornata è la premiazione di una donna, straniera, che a Roma ha difeso i valori della legalità e della giustizia sociale difendendo il proprio sforzo e la propria posizione dagli attacchi di chi vorrebbe il caos dell’illegalità sovrano, gesto che spesso manca (per codardia) a tanti italiani.

Ma il culmine, che sui social e non solo è risaltato senza particolare aiuto, è la premiazione all’emblema della normalità. Sessantenne, donna, massaia, affranta dalla propria quotidianità fatta di gesti semplici e straordinari, Maria Rosaria Coppola è colei che rappresenta la ragione, la normalità, l’ovvio. Con poche parole, semplici ed umili (anche colorite se vogliamo) ha riassunto, difendendo uno straniero, vessato dalle fatiche di un lavoro malpagato e dall’idiozia di alcuni, quella che è l’essenza della Carta repubblicana. Ovvero che in Italia non esiste margine per il razzismo, per l’esclusione sociale. Perchè non esiste razzismo che tenga ma solo l’idiozia di fondo di un odio cieco che nasce dalla propria frustrazione. “Tu nu si razzista, tu si nu strunz” è il manifesto per affermare che il razzismo non esiste come filosofia di vita, ma solo come incapacità a non riconoscere il valore negli altri, atteggiamento che nasce dal demerito che ogni presunto “razzista” si porta dietro nella propria esistenza, spesso vuota e priva di solidarietà, senso di comunità, amore.

Vi invito ad approfondire le biografie e le azioni di questi insigni cittadine e cittadini, perchè il 2019 sia un anno migliore per ogni italiano sull’esempio di questi uomini e queste donne, questi giovani e queste anziane che ci ricordano che l’art. 3 è il cuore dell’italia democratica e repubblicana.

I nomi sono: Carlo Vettorato (Val d’Aosta); Igor Trocchia, Carmen Reveles, Ilaria Galbusera, Germana Giacomelli (Lombardia); Irma Da Armellina, Renzo Zocca (Veneto); Roberto Crippa e Luisa Ficchione (Trentino); Davide Monticolo (Friuli Venezia Giulia); Roberto Morgantini (Emilia Romagna); Milo Matogini e Simonetta Stefanini, Jacopo Melio (Toscana); Rosella Tonti (Umbria); Annalisa Umbertoni, Aldo Chiavari (Marche); Maria Tiziana Andriani, Rebecca Spitzmiller, Roxana Rumen, Marco Minzolo, Vincenzo Castelli(Lazio); Maria Rosaria Coppola (Campania), Elvira Tutolo (Molise); Marco Ranieri, Riccardo Muci, Roberta Leporati (Puglia);; Antonio Lacava (Basilicata); Mustafà Auodi (calabria); Vito Massimo Catania (Sicilia); Massimiliano Sechi, Claudio Madau, Fabio Caramel (Sardegna)

Buon 2019 a loro e a noi per saperne cogliere l’esempio.”.

NB: articolo scritto il 30/12/2018

La giornata dell’ONU sulle disabilità tra approccio istituzionale e visione ideale.

Nel dicembre del 2006 venne approvata in seno all’ONU una Convenzione fortemente voluta dall’Italia che,per l’occasione, fece valere la propria potenza diplomatica nel consesso internazionale. Questo documento (che trovate di seguito in versione accessibile),

rappresenta un punto di partenza fondamentale per chiarire alcuni concetti base e, soprattutto, per ristabilire un livello di considerazione adeguata a quella che di fatto, come la definì Matteo Schianchi, risulta essere la terza nazione del mondo per numero di soggetti appartenenti a questa comunità assolutamente trasversale a livello globale. Per molti paesi, soprattutto in via di sviluppo o interessati da situazioni di conflitto, essa rappresenta la speranza concreta, se applicato con norme nazionali e politiche attive, di affrancamento di milioni di persone da stato di degrado ed esclusione sociale; tutto ciò nelle intenzioni dei promotori, visto che i paesi ad averla ratificata a livello globale sono solo una cinquantina e quelli che hanno provveduto con politiche adeguate molti di meno.

A distanza di tanti anni occorre però sottolineare alcune questioni. La convenzione, ratificata dal nostro Paese nel 2009 (con la legge che trovate Qui ) e dalla UE nel 2010, rappresenta la base normativa per tutti gli atti normativi che in ambito continentale e nazionale servono per la produzione di politiche efficaci. IL nostro paese partirebbe da un punto di vantaggio non indifferente, ovvero essersi dotata da tempi non sospetti della migliore legislazione in merito,anche se occorre una verifica e un riordino di tutte le leggi al fine di fornire strumenti efficaci alla stessa politica e all’intero corpo sociale.

Questa giornata delle persone con disabilità si apre in Italia con la presentazione, nei minuti mentre scrivo e pubblico questo post, dell’ennesimo rapporto dell’Istitutonazionale di Statistica alla presenza del Presidente Mattarella. Documento che, ne sono certo, racconterà lo stato di arretramento di un Paese che, se non fosse per il suo ruolo come sopra descritto,sarebbe al pari di altri in via di sviluppo o con una consapevolezza pubblica della popolazione disabile molto limitata. Potete leggerlo qui, per farvi la vostra idea.

Fatto che, in sostanza, non potremmo proprio permetterci. In queste righe, prima di venire al dunque, volevo sottolineare come dal punto di vista istituzionale,negli ultimi anni, è stata solo la Presidenza della Repubblica sul pezzo, come si direbbe in ambito giornalistico. Il presidente Sergio Mattarella è tornato di frequente sul tema della disabilità, sia in coincidenza di episodi di cronaca, sia per campagne mirate, sia periniziative dirette, come quelle tenutesi a Castel Porziano, residenza presidenziale aperta a specifici progetti di soggiorno e visita delle persone con Handicap di vario genere durante campi estivi. La sua presenza presso la sede ISTAT per la presentazione di questo annuarioè la riprova di una sensibilità, personale ed istituzionale, che emana palese dalla prima carica dello Stato. Ma per il resto, come è messo il paese? Una risposta verrà dal rapporto presentato oggi, sul quale ovviamente ritornerò.

Prima che vi descriva la personale visione ideale, dopo aver brevemente descritto nelle righe sopra l’approccio istituzionale, l’unico degno di un certo rilievo nella calma piatta delle istituzioni italiane, occorre brevemente sottolineare la solita differenza semantica, che non mi stancherò mai di ribadire, e alla base della comprensione di un fenomeno sociale, politico, economico e sanitario che riguarda una fetta consistente della popolazione italiana.

Le persone affette da un handicap,portatrici come si dice, hanno un problema fisico, sensoriale o psichico specifico, l’handicap appunto, il quale risulta una minorazione o menomazione che determina oggettive difficoltà durante lo sviluppo della persona umana. Io, ad esempio, sono cieco, con un Handicap visivo grave. La disabilità invece risulta essere, da definizione dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il rapporto tra lo stato di handicap e l’ambiente circostante e il tessuto sociale, che ne determina appunto il grado di difficoltà a sviluppare correttamente la propria persona.

Detto questo e prima di concludere volevo lanciare un anatema vero e proprio, soprattutto ad operatori dell’informazione: inutile che cerchiate di ingannare l’opinione pubblica con il vostro atteggiamento, quello di chi cercadi misurare le parole con locuzioni di estrazione anglofona pernascondere le colpe di un peccato originale, ovvero il pietismo. Termini come Differenti abilità, in sostanza, li usate in altri contesti, perché vi sono abilità li dove vi sono le possibilità disvilupparle, quindi la questione esce dalla condizione personale e siriflette nell’assetto sociale, politico-istituzionale, economico e culturale. Tutto questo per dire che dal punto di vista istituzionale l’Italia si deve applicare nella piena realizzazione delle politiche di contesto come espresse nella legislazione nazionale, che già sarebbe tanto, trattandosi come detto di quella più avanzata al mondo; ma soprattutto di mirare alla piena applicazione dell’articolo 3 della costituzione, già spesso richiamato dal Presidente Mattarella, come baluardo di piena rispondenza delle intenzioni del nostro Paese e le effettive applicazioni di questi intenti.

Ad oggi l’art. 3 della Costituzione è il più disatteso, e non solo per ciò che riguarda le disabilità. Rileggetelo bene e da qui capirete che finché avremo rappresentanti istituzionali omofobi,discriminatori verso le donne e verso gli stranieri, verso i poveri egli emarginati, per le persone con handicap e la loro disabilità non c’è speranza. Sopratutto non c’è speranza di vivere ed integrarsi in un paese che si possa definire civile. Tutto questo mentre il resto del mondo,o per lo meno d’Europa, va avanti nei diritti, nella loro applicazione e nel favorire politiche reali di integrazione,inclusione e valorizzazione della risorsa umana rappresentata anche da donne ed uomini con handicap.

Se è vero che nessuno è l’handicap ola malattia che si porta dietro, se è vero che è l’ambiente circostante a doversi adattare, se è vero che siamo del tutto uguali di fronte alla legge e che è la Repubblica a dover rimuovere certi ostacoli, cari italiani dovete francamente migliorarvi. Ve lo dico anche perché tra inquinamento e altri fattori, l’handicap e la disabilità non sono condizioni esclusive di quei poveri ciechi o muti, ma una questione che può incidere sulla vita di tutti. Oggi lotto anche perché sia questa la nuova visione da adottare, nel privato come nel pubblico, affinché tra un nuovo approccio istituzionale e la visione ideale di un mondo migliore, a partire dalla piena applicazione dell’art. 3 della Costituzione, si possa aspirare ad un paese migliore anche, esoprattutto, dal punto di vista civile.

Questa è la mia visione di sardina antifascista. Che c’entra? Giusto per quello che occorre ricordare, che l’olocausto iniziò a discapito delle persone con handicap e disabili, in quel contesto sociale di omertà. Aspirare ad un mondo migliore e libero da pregiudizi verso le disabilità vuol dire anche scongiurare il ripetersi di orrori del passato, sforzo quanto mai oggi necessario, volendo osservare tra le righe l’involuzione dei nostri tessuti sociali, concentrati sul pregiudizio e sull’esclusione di stranieri, omosessuali, donne e disabili. Che vi piaccia o no, questa è la verità. All’Istat il compito di fotografare, a noi di agire.

NB: articolo scritto il 03-12-2019

Pari opportunità: la vera rarità dei nostri tempi…

Uniamo. Federazione italiana malattie rare

Il 29 febbraio è un giorno molto particolare. Indica l’anno bisestile, ovvero l’aggiunta di un giorno ogni quattro anni per compensare il tempo in più che la terra impiega ogni anno nella sua rivoluzione, ovvero il compimento di un’orbita ellittica attorno al sole; questo tempo, noto ai bambini e forse meno agli adulti (che tendono a dimenticare ed ignorare), è di 365 giorni e 6 ore.

Quindi ogni 4 anni ci ritroviamo con 24 ore da integrare nel calendario L’anno bisestile coincide anche, in epoca contemporanea, con quello delle olimpiadi; ma questa è un’informazione di scarsissimo carattere scientifico… chiedo venia! Dal 2008, il 29 febbraio, è dedicato alla giornata per sensibilizzare istituzioni, cittadini e strutture scientifico-sanitarie sul tema delle malattie rare; questo giorno, come si legge sul sito dedicato (che segnalerò in calce) nasce perchè è raro, come la rarità espressa dalle persone affette da tale patologie. Ma di cosa parliamo?

Si definisce “rara” una malattia che colpisce un individuo almeno ogni 2000 sull’intera popolazione; sono censite oltre 7000 malattie rare e al mondo sono diverse centinaia di milioni coloro che ne sono affette, proprio perché è rara la malattia, ma nel complesso della popolazione il numero è di una certa importanza.

Mi premeva sottolineare che è in linea di massima la stessa considerazione che vale per le disabilità in senso generale. A breve emergerà la correlazione tra questi due aspetti. Una delle maggiori difficoltà (che lo dico a fare, soprattutto in Italia) è quello della diagnosi precoce; infatti il 70% di queste patologie si sviluppa in età pediatrica e non sempre si individuano i sintomi per tempo, a causa di una certa difficoltà (dovuta alla rarità) delle stesse malattie, oltre che di una certa “ignoranza” da parte del personale medico, mi permetto di dire, non sempre adeguatamente preparato ad individuare i sintomi, arrivando fino ad un ritardo di 7 anni per una diagnosi precisa.

Uno dei nodi principali della rete che supporta le persone con malattie rare è appunto la sensibilizzazione del personale medico-sanitario e il rafforzamento degli strumenti di ricerca; ma anche il dialogo con le istituzioni per permettere l’adozione di piani diagnostico-terapeutici ed assistenziali diffusi in maniera capillare sul territorio, per evitare le migrazioni sanitarie, sintomo evidente dell’inadeguatezza del sistema complessivo nel tutelare e curare le persone con tali patologie.

Lo stimolo a scrivere queste righe sul tema delle malattie rare non è di tipo personale, bensì me lo fornisce (come spesso accade) il Presidente della Repubblica Mattarella che, il 28 febbraio, ha rassicurato la popolazione e ribadito fiducia e sostegno al personale sanitario in merito alle vicende legate al Corona Virus dalla presentazione di questa giornata a cura della Fondazione Teleton, che si occupa appunto in Italia di raccogliere fondi per il sostegno alla ricerca scientifica sulle malattie rare, iniziativa che di solito coglie l’attenzione di noi tutti verso Natale, ma che in verità è attiva sempre, tutto l’anno, grazie anche a molti coordinamenti regionali ed associazioni sparse sul territorio nazionale ed europeo, raccolte nel nostro Paese nella rete UNIAMO. Non è facile cogliere il senso dei messaggi del Presidente se non si considera a fondo il contesto dal quale essi sono inviati, dal momento e dal luogo in cui sono pronunciati, dal tema di sottofondo evidenziato dalla sua presenza.

Se Mattarella ribadisce sostegno al mondo scientifico e sanitario e rassicura la popolazione da un contesto che cura gli interessi delle persone con malattie rare, evidentemente è molto più ampio il significato delle sue parole, proprio perché vuol ribadire da questi prosceni la necessità di dare maggiore fiducia alla scienza ed affrontare con razionalità ogni “emergenza” che si verifica nella nostra vita, che sia essa collettiva o intima, individuale, rara appunto. Come al solito, nel leggere tutto ciò, i mezzi di informazione si dimostrano del tutto inadeguati, incapaci, ignoranti; contribuendo al persistere dell’ignoranza diffusa nella popolazione italiana. Il tema della giornata per le malattie rare di questo 29 febbraio (ed anno per intero, aggiungo io) è “L’equità come accesso a pari opportunità per valorizzare il potenziale delle persone con una malattia rara”.

Che ne parli il Presidente della Repubblica durante un’iniziativa di Teleton, e con questo presupposto, dovrebbe portare tutti a cogliere il suo invito implicito e costante a riflettere sulla necessità di valorizzare ed incrementare con ogni strumento possibile la piena applicazione dell’art. 3 della nostra Costituzione (riferito proprio alle pari opportunità), di fatto la norma costituzionale meno rispettata in Italia da individui ed istituzioni. Aspetto non di pococ conto, se si considera, da un lato, che le persone con malattie rare spesso sono del tutto invalide, pertanto disabili; dall’altro che è necessario implementare tutti gli strumenti, in maniera uniforme sul territorio nazionale, per garantire cure ed assistenza ad individui che frequentemente sono isolate del tutto dai contesti socio-assistenziali e sanitari, specie nelle regioni più arretrate.

Vi invito dunque a seguire la rete di tutela, sostenere la ricerca e comprendere meglio la rarità e la specificità di queste persone, che non sono mai, ripeto, mai la malattia che si portano addosso, bensì individui dotati di dignità e spesso supportate e comprese solo dalle persone loro più vicine. Il sito di riferimento, oltre a quello della fondazione Teleton (che gode di grande copertura mediatica) è

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Buon 29 febbraio a tutti, ovviamente tutto l’anno e per quattro anni…

NB: articolo scritto il 01-03-2020