Adolescenza complessa. Scoprirsi gay.

Nella foto c’è un uomo che piange, la lacrima e con i colori arcobaleno
@pastersky.com via Google

“L’ascolto. Confrontiamoci gentilmente. Accogliamo anche solo il dubbio che quello che proviamo non sia solo una convenzione”, Drusilla Foer a Sanremo 2021.

Primo racconto della mia vita

Un caro saluto ai lettori di questo blog. Mi chiamo Gabriele Attadia, sono nato nel 1993, ho 30 anni e a 13 ho scoperto di essere gay. Il mio racconto parte dalla famiglia, dal nido, dalla tana. Vivo nella periferia romana, in una villetta rurale nella zona industriale del quartiere. La mia relazione con la presa di coscienza della mia omosessualità è stata disastrosa. Già da bambino, ricordo che facevo piccoli esperimenti con i coetanei. Non lo facevo apposta ma quando i motori di un aereo sono a massima potenza, mai attivare gli inversori di spinta. Mi sentivo come se avessi dei motori di un aereo che voleva soltanto decollare con amore e che finito il viaggio, non come le assistenti di volo, smettono di lamentarsi. Questi esperimenti avvenivano con un motore non funzionante o forse più motori. Il primo tra tutti la mente, per poi passare al cuore e allo stomaco. Ho sempre sognato di essere un a380. Mi sarei accontentato di essere un 747, ma sono un rispettabile MD11. Mi sento dunque come un aereo con soli tre motori appunto. Il quarto, il cervello, inteso come applicativo delle volontà, non funzionante.

L’e esperienze

I miei giochini erotici di bambino, innocenti passaggi che spesso capitano nella preadolescenza, erano incentrati sul confronto con gli altri compagni dell’epoca. È capitato anche con un mio coetaneo che frequentavo, che povero di spirito, date le sue umili origini, non comprese la gravità di quanto sto per raccontare.

Veniamo ad oggi

Ovviamente con l’avvento degli anni 2000 abbiamo avuto un boom tecnologico per i servizi di dating, ma questo non è bastato perché, perché non è convenzionale essere gay, cattolicamente parlando un abominio; politicamente parlando poi con l’attuale governo, una schifezza. Ma le domande spontanee che tu, caro lettore ti poni, immagino siano: “Perché il tuo motore cervello non funzionava? Perché a scuola subivi bullismo, perché eri ossessionato da chi era più dotato di te e ti vergognavi? perché ragione principe, non sei stato supportato dalla famiglia?”. Ma su quest’ultima domanda c’è un altra storia. A 13 anni finalmente il motore cervello inizia a prendere coscienza e capisce di provare una forte attrazione per un compagno di scuola e di classe delle medie. Ne approfitto e saluto Massi, chissà se non mi legge…. Ma io ero caratterialmente esile e fisicamente obeso, di conseguenza complessato. Secondo voi la scuola ha avuto pietà per un bimbo come me di 13 anni con un sasso di depressione sulla testa, vergogna della propria immagine obesa, cicciotta, tozza, robusta? Ovviamente NO.

Bullismo e body shaming.

Nel 2023 è uno scandalo tutto questo che vi sto raccontando. forse! Per voi e per i vostri figli. Per me no e l’aereo della vita inizia la sua discesa, dalla scuola, dall’adolescenza. Devo dire che ero molto amico di un ragazzo che ho masturbato. Ma che mi ha abbandonato per questo. O forse perché non sono stato educato a coltivare le relazioni amicali, nel senso di non essere il referente di turno, di essere sempre contattato come sopra un piedistallo ma anche di contattare io il mio amico. Inizia, dal 2009 un profondo periodo di isolamento, depressione, schizofrenia. A scuola, il primo anello di protezione di qualunque bimbo per me si è trasformato in un inferno. E mi chiedo da solo: perché Gabriele ora scrive questo ritratto autobiografico? Perché Gabriele ci vuole scocciare con tutto questo? Perché non c’è mai fine al peggio, caro lettore. Perché desidero avere un fidanzato, sentire le farfalle nello stomaco, essere innamorato e corrisposto, poter poggiare la testa sul petto del mio partner quando sono stanco e triste per ricevere e dare tantissime coccole. Tutto questo, ad oggi, non ce l’ho e sto male. Le app dating sono fallimentari, non mi si avvicina nessuno e ci tengo a dire che ho affrontato 2 anni di comunità psichiatrica! Il risultato? Avere la sensazione di essere abbandonato a me stesso e poi il matto sarei io? Volendo riprendere la citazione in apertura di questo post, posso dire che nessun risultato si è profilato all’orizzonte.

Per una prima conclusione.

Care lettrici, cari lettori, mi avvio a concludere questo mio primo racconto parziale autobiografico dove ci sarebbe da raccontare molto e molto altro delle violenze (psicologiche) subite, ma per ora vado a concludere. Caro compagno delle medie, avrei tanto desiderato essere il tuo fidanzato, il tuo amico speciale, il tuo fratello minore, il tuo cucciolo da coccolare. Mi hai regalato una cosa preziosissima che è l’amicizia a scuola, ma sei convenzionato a tutte quelle persone che hanno detto: “che brava Drusilla Foer!” ma di gentilezza non ci capisci un granché. Insomma, la mia pantomima di conoscenza delle cose finisce qui, ma presto tornerò con temi molto più delicati, perché vorrei far comprendere tutta la sofferenza che mi è stata causata e da qui trovarvi soluzione.

A presto.

Pubblicità

#GiornataMondialeAutismo 💙 alcuni video tra comunicazione istituzionale e messaggi educativi

Alcuni video molto belli e interessanti di sensibilizzazione sulla consapevolezza sull’autismo rilanciati dai miei social e dalla pagina facebook di Radio32.

Partiamo con il primo, comunicazione sociale della RAI.

Questo, con dei fumetti, è realizzato da una scuola media campana e si rivolge ai più piccoli…

L’ultimo è stato realizzato da un istituto comprensorio di San Severo, in Puglia, ed è molto esaustivo, oltre che accessibile a tutti. Complimenti…

💙💙💙💙💙

Rosso come il cielo: com’erano gli istituti per ciechi.

Una scena del film

“I grandi musicisti quando suonano chiudono gli occhi per sentire la musica più intensamente”.

Realizzato su un soggetto dello stesso regista, Cristiano Bortone – che ne è anche il produttore -, coautore inoltre della sceneggiatura assieme a Monica Zapelli e Paolo Sassanelli, tra le particolrità registra le musiche del compianto Maestro Ezio Bosso. Questa pellicola è stata presentata come Evento speciale UNICEF nella sezione per ragazzi “Alice nella città” della Festa del Cinema di Roma 2006, uscito poi nelle sale italiane il 9 marzo 2007; nel cast c’è un gruppo di ragazzini di dieci anni di cui alcuni realmente ciechi.

Il film

Rosso come il cielo, Italia, 2005, regia di Cristiano Bortone, Durata 95 min., drammatico

Cast

Luca Capriotti (Mirco), Paolo Sassanelli (don Giulio), Marco Cocci (Ettore), Francesca Maturanza (Francesca), Simone Colombari (padre), Simone Gullì (Felice), Rosanna Gentili (madre di Mirco), Norman Mozzato (direttore della scuola),

Trama

Mirco, un bambino che nel 1970 ha dieci anni, in seguito ad un incidente col fucile del padre perde la vista. I genitori sono costretti a fargli frequentare un istituto per ciechi a Genova, dove inizia un particolare percorso di consapevolezza di sé e del mondo. Lì, non riuscendo ad usare il braille, trova stimolo in un vecchio registratore e riesce a inventare delle favole fatte solo di rumori e narrazione. Nel frattempo, il piccolo protagonista, conosce Francesca, la figlia della portinaia della casa accanto all’istituto, cominciando così un’amicizia nonostante non potessero incontrarsi. Mirco coinvolgerà sempre di più tutti gli altri bambini ciechi nella sua passione delle favole sonore, facendo capire a loro quanto valgono e quanto siano simili a tutti gli altri ragazzini. Alla fine il maestro organizza una recita creata dagli allievi e tutti i genitori ne rimangono colpiti. Il film è tratto da una storia vera: infatti, prima dello scorrere dei titoli di coda, si legge: “Mirco è uscito dal collegio a 16 anni. Nonostante non abbia più recuperato la vista, oggi è uno dei più riconosciuti montatori del suono del cinema italiano”, alludendo alla possibilità di riuscita anche quando tutto è apparentemente perso, come insegna la storia di Mirco Mencacci.

Recensione

La visione di questo film, magistralmente diretto da Bortone e con una capacità di interpretazione dei ragazzi del cast da pelle d’oca, per chi come me ha frequentato (anche se in epoca differente) gli istituti speciali per ciechi comporta un grande trasporto emotivo. Anche un ex interno tra i più induriti nel cuore e nello spirito, non può non rivedersi nelle vicende e nelle dinamiche raccontate nella pellicola. Non nascondo di aver pianto, cosa che mi capita raramente davanti ad un film. La prima volta che l’ho visto ero senz’altro in una situazione di estrema sensibilità per vicende personali, ma il riemergere dopo anni di tante sensazioni, frustrazioni e successi, dinamiche e racconti vissuti in prima persona nella frequenza degli istituti mi ha riportato indietro nel tempo, ad un’infanzia particolare, dove assieme all’Amore di una famiglia c’è stata la necessità di affrontare una separazione da essa, per la questione legata all’educazione e alla formazione che, nei luoghi di origine, allora non era possibile. Solo molto dopo è arrivata l’integrazione scolastica, ma proprio a partire da vicende come quelle di Mirco. Infatti siamo agli inizi degli anni Settanta, dove istanze sociali e rivendicazioni sindacali si toccano e la spinta del cambiamento di questa insolita commistione (all’epoca molto più forte, fatemelo dire) porta ad una serie di riflessioni generali che dall’anno successivo inducono le istituzioni a rivedere quel modello indubbiamente ghettizzante. Infatti in un decennio, partendo da alcuni Decreti del Presidente della Repubblica del 1971, si giunge alla legge sull’integrazione scolastica del 1977 e all’istituzione della figura dell’insegnante di sostegno, che porterà nel periodo 1980-2000 ad affermare definitivamente i processi di inclusione socio-scolastica e alla definitiva chiusura degli istituti speciali come luogo deputato alla formazione dei ciechi e degli ipovedenti. Bene, tutto quanto si vede nel film è autentico, anche la domanda, scioccante in apparenza, che apre l’esperienza di Mirco in istituto: “Ma tu, quanto ci vedi?”, domanda che in apertura di anno scolastico oppure in presenza di un uovo arrivo ho fatto e mi sono sentito rivolgere molte volte.

Consiglio a chiunque, soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, la visione di questo film, sia per assimilare l’importanza della formazione e dell’istruzione, sia per capire fino in fondo la necessità di abbattere lo stigma che accompagna ognuno di noi in prossimità di esperienze aliene dalla presunta “normalità”, come è appunto l’handicap visivo.

Spunti didattici per combattere il cyberbullismo e il sessismo in rete

Giunti quasi all’inizio di un nuovo anno scolastico, alcune riflessioni e strumenti operativi per tentare di ricondurre le nuove generazioni ad un livello di consapevolezza, attraverso la didattica, rispetto all’uso consono degli strumenti web. Pur non essendo un operatore della formazione, trovo utile e molto interessante è il percorso proposto da Sara Marsico nell’articolo che segue e mi auguro che molti insegnanti attingano al manifesto di ParoleOstili per raggiungere un livello di comunicazione tale con le ragazze e i ragazzi al fine di instaurare un dialogo finalizzato al recupero del contatto con la realtà, che li ponga nella posizione di essere, prima ancora che buoni ed accorti utilizzatori delle parole e degli strumenti di internet, delle buone e dei buoni cittadini.

Continua il nostro Viaggio all’interno del Manifesto della comunicazione non ostile ed inclusiva, presentato al Quarto Convegno Nazionale di Parole_ …

Spunti didattici per combattere il cyberbullismo e il sessismo in rete

La Ghisolfa di Giuseppina Pizzigoni: da Rocco e i suoi fratelli all’outdoor education

Scopo il vero, tempio la natura, metodo l’esperienza.

Confesso, pur avendo frequentato l’Istituto Magistrale negli anni Novanta e approfondito in varie fasi i temi della scuola e della formazione, non mi sono mai imbattuto nella figura di Giuseppina Pizzigoni che, invece, si dimostra lungimirante nelle sue idee a distanza di più di 110 anni dalla loro formulazione. Pienezza alla biografia di questa donna ed educatrice ci viene fornita dall’articolo che segue a firma di Modesta Abbandonato, che restituisce tra l’altro una fotografia della Milano di un tempo, sia nella dimensione urbanistica come in quella sociale, richiamando alla mente immagini già plastiche forniteci dalla filmografia neorealista degli anni Sessanta,. Buona lettura.

Il toponimo Ghisolfa evoca nei cinefili e nelle cinefile lucani/e, e non solo, il capolavoro viscontiano del 1960 ispirato dai racconti contenuti in …

La Ghisolfa di Giuseppina Pizzigoni: da Rocco e i suoi fratelli all’outdoor education

Le parole sono importanti: l’inclusione entra nel Manifesto della comunicazione non ostile

Nelle giornate dell’8 e 9 maggio scorso si è svolto il quarto Convegno Nazionale di Parole_o_Stili, la community nata quattro anni fa che si occupa …

Le parole sono importanti: l’inclusione entra nel Manifesto della comunicazione non ostile