Per la campagna #IoColtivo, o almeno per le azioni concrete della mia personale adesione, ritengo importante informare, anche puntualmente, riportando la voce degli attori principali in ambito antiproibizionista, come quello del Forum Droghe. Pertanto mi sembrava importante dare conto di un appuntamento molto importante dal punto di vista del dibattito in merito alla recente sentenza della Cassazione.
Lunedì 8 giugno si è svolto un webinar dal titolo “Coltivazione di cannabis ad uso personale. Dalla Cassazione alle aule dei tribunali”, seminario online introdotto da Leonardo Fiorentini, direttore di FuoriLogo, Che ne è stato l’organizzatore. I relatori, gli avvocati Elia De caro (associazione Antigone), Fabio Valcanover, il Presidente di Magistratura Democratica e giudice di Sorveglianza Riccardo De Vito e il Direttore di Forum Droghe, già sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, si sono confrontati sugli scenari aperti con la sulla sentenza della cassazione sulla coltivazione domestica di cannabis. Tutti gli ospiti hanno chiosato sull’assenza della politica in materia, quindi la mancanza dell’attività parlamentare nella produzione di leggi che diano una norma certa, ad oggi orientata, se non dettata, dalla giurisprudenza. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio, seppur per veloci schizzi, gli aspetti principali emersi durante il seminario e che denotano un rischio per lo stato di diritto per migliaia di persone, rischio aumentato dalla genericità delle norme in materia di coltivazione delle piante di cannabis.
L’avvocato Fabio Valcanover fa una lettura analitica della sentenza, evidenziando i tratti di maggior interesse per rimarcare l’indeterminatezza dettata dall’assenza di una norma che stabilisca dei parametri di valutazione. Ad esempio, egli si chiede, come si può oggi definire in senso univoco il concetto di minime dimensioni, domandandosi appunto se siano di “minime dimensioni” delle piante con la portata della sentenza in oggetto, rilevando pertanto già che non si legge una uniformità di valutazione nella stessa sentenza. La seconda questione rilevata da Valcanover si apre con la considerazione che la Cassazione potrebbe aver aperto ad una estensione di diritto sulla coltivazione ad uso domestico, anche se altri giudici potrebbero non tener conto della giurisprudenza ed appellarsi esclusivamente alla normativa vigente, comunque repressiva. Il problema consiste di fatto nel rilevare la tipicità della condotta, ovvero se sussista l’ipotesi di coltivazione di piante per la destinazione costituente reato (ovvero lo spaccio). Ma in senso positivo verso la presenza di una norma chiara, che aiuti anche il difficile ruolo del giudice nel dover valutare individualmente ogni volta, vi è anche buona parte della magistratura.
Riccardo De Vito, Presidente del sindacato delle toghe Magistratura Democratica e giudice del tribunale di sorveglianza, nel suo intervento parte dal quesito che il giudice si è posto sull’”offensività”, ovvero sulla capacità del coltivatore ad uso personale di ledere le sfere di altri diritti. Per giungere ad una soluzione vi sono due sentieri: la verifica della conformità della pianta al tipo botanico o la necessaria valutazione della lesione della salute pubblica tramite circolazione della sostanza che se ne derivi. De vito afferma che da questo bivio non se ne è mai usciti perché i criteri sono variabili, cioè non dettati per legge, ma totalmente lasciati alla singola decisione del giudice. Per questo ne vediamo alcuni propensi a spostare il discorso sulla parte dell’ordine pubblico ed altri sugli aspetti della salute pubblica. Il presidente di Magistratura Democratica rileva poi come le sezioni unite della Corte di Cassazione, in questa sentenza, hanno fatto una sorta di “mossa del cavallo”. Infatti, il reato di coltivazione si può determinare al di là della quantità e presenza del principio attivo, ma tutto questo è vero se parliamo dell’effettivo verificarsi del reato di coltivazione; infatti alcune condotte riferite all’uso personale non si possono determinare come coltivazione rilevante dal punto di vista penale. Mossa importante questa, rileva De Vito, da parte della Cassazione, perché tende a riempire i solchi lasciati dall’attività della Corte Costituzionale, che in una sentenza del 2016 afferma che è irragionevole punire chi coltiva ad uso personale e non punire chi detiene ad uso personale, che potrebbe il più delle volte essere la stessa persona, individuando in un certo senso la tipicità della coltivazione ad uso personale. Le maggiori difficoltà, rileva il giudice De Vito, stanno proprio nell’identificare con certezza la fattispecie e cita per questo alcuni passaggi della sentenza, sopratutto quelli riferiti ai “mezzi rudimentali”, “domestico”, “modestissime quantità”, che risultano essere dei concetti elastici. Inoltre, continua a chiedersi il giudice, a proposito della rudimentalità, la tecnica agraria usata per una sola pianta fa cadere il concetto di coltivazione domestica, evento tale da rendere la condotta offensiva? L’ostacolo sta proprio nel fatto che questa situazione comporta la frizione con il principio di legalità, per l’assenza della norma che ne determini i parametri; la sua personale previsione è che nell’incertezza, l’attività di polizia giudiziaria continuerà a vedere il sequestro delle coltivazioni domestiche; ma continuerà ad esserci anche una disparità di trattamento a seconda dei vari tribunali.
Franco Corleone, già sottosegretario del Ministero di Giustizia e direttore del Forum Droghe, nel suo intervento si concentra sugli aspetti di tipo culturale e le valutazioni etiche, guardando ad esempio al ruolo della cannabis terapeutica, ormai dichiarata dalla scienza come medicina. Nel tempo ogni magistrato ha scelto delle vie per risolvere la questione della coltivazione domestica, ricordando che alcune sentenze affermano che la condotta non costituisce reato se, ad esempio, la pianta non ha effetto drogante, fatto impossibile con la cannabis se considerato il valore sempre presente del THC tra i suoi componenti, anche se sotto una certa soglia. Corleone loda le prese di posizione avanzate dal punto di vista della cultura giuridica quelle della magistratura, assieme a quelle della scienza, sulla coltivazione domestica e il consumo personale di cannabis, ricordando che l’attuale ministra Lamorgese, come l’ex ministro degli interni Salvini, condivideva recentemente l’idea di eliminazione della previsione di “lieve entità”, rischio anche per questa sentenza della Cassazione, che riceverebbe così un duro colpo rispetto a future applicazioni. Corleone auspica che il Parlamento valorizzi la sentenza della Cassazione, al fine di mantenere la previsione dei fatti di lieve entità e che affronti quanto prima la discussione su una norma che legittimi la coltivazione ad uso personale.
Ad un certo punto mi sono chiesto una cosa semplice, prendendo spunto dalla situazione personale . Rispetto a questa indeterminatezza, considerando che comunque potrebbero restare da un procedimento le sanzioni amministrative, come quelle sulla patente di guida; nello specifico facevo presente che come persona non vedente non ho molte altre possibilità di riuscita nella coltivazione ad uso personale se non con l’impiego di qualche piccolo mezzo, necessario per lo sviluppo di una biomassa vegetale (box e lampada) considerando la doppia caratteristica di contesto urbano e necessità di utilizzare spazi ridotti. Sulla mia domanda, l’avvocato Elia De Caro osserva che è difficile, appunto, dare risposte certe, proprio perché dipende dagli operatori che si possono incontrare; egli rileva il mutare della coltivazione, anche per la contingenza del contesto urbano, dove essa praticata in esterno non è possibile. Un consiglio pratico che deriva dalla mia domanda è quello di cercare di evidenziare sin da subito la finalizzazione della coltivazione per il consumo personale e determinare pertanto l’assenza dell’indice di cessione. Concretamente, consiglia De Caro, dichiarare sin da subito nel controllo di polizia che si tratta di coltivazione ad uso personale, legando questa dichiarazione a quella di essere un consumatore e, dove possibile, indicare anche un quantitativo giornaliero e il perché del consumo.
Per concludere brevemente, occorre sempre più una presa di posizione di responsabilità della politica e il Parlamento deve intervenire per colmare il vuoto normativo, visto che c’è una proposta di legge di iniziativa popolare in merito depositata a Montecitorio dal 2016 e che dagli inizi degli anni Novanta sono stati segnalati alle prefetture più di novecentomila cittadini come consumatori.
Sarebbe il caso e il tempo di intervenire per garantire lo Stato di diritto e la certezza della norma, proprio per tutelare quelle centinaia di migliaia di persone che scelgono di consumare e coltivare la pianta di cannabis ad uso personale, se non proprio consumarla ad uso sanitario.
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