Il Coronavirus, l’informazione e la psiche. Ne parlo con lo psicologo Michele Di Bella.

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Ed eccoci al primo appuntamento dal mio divano dedicato ad uno spazio di approfondimento in compagnia – virtuale – di un ospite, che in questo caso mi ha raggiunto davvero a casa per parlare un po’ di un argomento che negli ultimi mesi è stato al centro dell’attenzione di tutti. Prima di iniziare una piccola nota metodologica per chi legge: in altri articoli ero abituato ad indicare alla fine del pezzo la sitografia presa come spunto o approfondimento. Da questo post in avanti invece troverete linkato nel testo tutto quel materiale che mi è servito per scriverlo, in modo da poter avere un immediato rimando alle fonti, senza per questo perdere il filo della lettura.

L’argomento

Dunque, iniziamo a ragionare. Oggi riprendiamo il discorso dell’eccesso di notizie e dati come problema di distorsione dell’informazione, argomento non nuovo od esclusivo, ma ritengo utile parlarne a più di tre mesi dall’inizio della crisi per la pandemia. Molto spesso girano contenuti, dai siti web ai socialnetwork, da Youtube alle catene mediante messaggi SMS o WhatsApp, che non vogliono sempre creare vera e propria controinformazione, ma che piuttosto danno vita ad informazione inutile, superflua, dannosa perché inesatta, come nel caso dei presunti consigli dell’università americana. La questione non è di poco conto e ce ne siamo accorti proprio durante la crisi del Covid19, scenario che ha visto il proliferare della disinformazione; questione che non è passata inosservata, sin dalla metà di marzo, nemmeno ai colossi del web.

In questi tre mesi ed oltre di crisi per la pandemia se ne sono lette di tutti i colori, dalla vitamina C Che curerebbe ogni male, alla certezza assoluta della creazione in laboratorio del Covid19 perché ne ha parlato la RAI alcuni anni fa, a quella più esilarante (se non vogliamo perdere il buonumore) sugli immigrati immuni al Coronavirus. Sinora ho citato non solo esempi dove la notizia è stata creata dal nulla, senza basi scientifiche o riscontri giornalistici, bensì anche casi in cui l’informazione è stata più o meno manipolata allo scopo di creare ridondanza; una sorta di cassa di risonanza di notizie non verificate, appena manipolate o inventate di sana pianta utili solo ad ingenerare confusione, nell’ipotesi più cauta, anche se non è difficile intuire che vi siano soggetti interessati alle possibili speculazioni in condizioni di panico o allarmismo diffuso. Ma questo è un altro discorso, da approfondire in separata sede; restiamo agli effetti causati dalla disinformazione e dall’eccesso di notizie cui siamo stati, e siamo ancora adesso, tutti esposti.

L’OMS ha infatti, a tal proposito, lanciato uno specifico allarme legato all’Infodemia, ovvero proprio all’eccessiva presenza di notizie false, tendenziose, inesatte e ridondanti, fenomeno che si è diffuso altrettanto velocemente come il Covid19, creando più di qualche preoccupazione alle autorità sanitarie internazionali sulla salute mentale della popolazione, ant’è vero che la stessa agenzia delle Nazioni Unite per la salute si è posto il problema se non fosse epidemica anche questa particolare caratteristica che accompagna l’evolversi della pandemia legata al Coronavirus, e come questo dagli effetti imprevedibili.

Di fronte a questa problematica, infatti, non tutti abbiamo gli strumenti e la capacità, la forza psicologica se volete, di reagire, ponendo delle difese tra noi e il flusso sterminato di informazione, che sin dagli inizi della crisi sembrava un problema serio da gestire per ognuno di noi. Sin dal 24 febbraio, infatti, l’Ordine degli Psicologi del Lazio (seguendo linee guida nazionali), ad esempio, scrive a proposito degli effetti legati alla spasmodica ricerca di informazioni, di “Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate”.

Domande dal divano

Ma quali effetti ha avuto realmente sulle persone tutto ciò? E sopratutto come possiamo proteggerci? Mi sono chiesto queste ed altre cose in compagnia del Dott. Michele Di Bella, Psicologo clinico e di comunità che esercita a Roma nord, abilitato ed iscritto all’albo professionale del Lazio. Una volta accomodati sul divano con un bicchiere di succo e la distanza consigliate, iniziamo a parlarne.

Quali sono le persone che maggiormente hanno sofferto la sovraesposizione mediatica della crisi legata al Coronavirus? Ne esiste una categoria colpita in particolare?

Come segnala l’ordine degli psicologi del Lazio, al quale sono iscritto, si è rilevato che le persone più giovani riferiscono di frequenti reazioni ansiose. Gli adulti fra i 20 e i 39 anni evidenziano maggiori preoccupazioni accompagnate da sentimenti di rabbia; nella fascia di età successiva (40-59 anni) le preoccupazioni diventano più rilevanti per le proprie relazioni, mentre per la fascia d’età che va dai sessant’anni in su si intensificano le preoccupazioni legate all’isolamento e al senso di solitudine. Per rispondere alla seconda parte della domanda, personalmente non rilevo l’esistenza di categorie particolarmente soggette, ma tutto è riconducibile alla situazione che ognuno vive. Persone che, ad esempio, attraversano ristrettezze economiche vivono maggiori difficoltà anche dal punto di vista psicologico, come anche le persone adulte perchè sentono addosso maggiormente il senso della morte.

Quanto ha pesato su questa sofferenza delle persone la sovraesposizione mediatica cui tutti siamo soggetti?

Molto, soprattutto perché agli inizi della crisi le notizie davano un gran numero di decessi tra gli anziani, evidenziando i rischi per questa fascia d’età. La mia esperienza personale mi restituisce che più le persone crescono e più questa preoccupazione aumenta, anche se risulta meno evidente perché fa parte di ognuno di noi, del nostro silenzioso vissuto. Ciò è evidenziato per persone di una certa età o con patologie, proprio perché quelle persone sono portate a pensare “se muoiono tanti miei coetanei, posso morire anche io”.

Hai notato nell’esperienza di terapeuta, in questo periodo, situazioni di stress legate ad un eccesso o alla circolazione di cattiva informazione?

Si, legate ad alcune relazioni professionali. Ma soprattutto l’ho vissuto in prima persona, e volendo essere sinceri sono scivolato nella preoccupazione dovuta ad un eccesso di informazioni. Il tentativo di controllare un atteggiamento spasmodico in una condizione del genere è stato difficile, anche per chi è preparato come uno psicologo.

Tutto questo eccesso di notizie, secondo te, ha creato una reale consapevolezza nelle persone?

Se le notizie sono provenienti da fonti sicure o certificate all’interno di organizzazioni internazionali, statali o da istituti di ricerca, si. Ma spesso sono manipolate da altri soggetti, come siti web che sfruttano la notizia e la manipolano per fini che non sono puri – legati al commercio di prodotti -; o ancora da persone che godono nel far girare una notizia fake, sia per fini di puro sadismo o per propaganda terrorizzante.

Considerato il ruolo dei socialnetwork, anche nella circolazione delle fake news, come si possono creare gli anticorpi per secernere le informazioni?

I primi anticorpi sono quelli che si creano andando a ricercare, al di là del covid19 e per ogni notizia sul web, l’attendibilità certificata. Il web siamo noi, quindi chiunque può mettere una cattiva notizia.

Pochi giorni fa, l’OMS ha lanciato un allarme per le conseguenze psicologiche delle persone a causa degli effetti del Coronavirus. Lo condividi?

Si. Si sta spargendo nelle persone un senso persecutorio e molti tendono ad assumere un certo tipo di atteggiamento fobico verso gli altri. C’è una grande paura, anche eccessiva in molti tratti.

Quindi cosa consigli per affrontare lo stress causato da questa crisi?

Mi sento di consigliare, in primo luogo, di cercare sempre di mantenere in questo periodo i ritmi che si avevano prima. Il rischio è quello di invertire il giorno con la notte o entrare in una rete più fitta di isolamento e di non mantenere i contatti con la realtà. Se si ravvisa un disagio emotivo o una certa forma di emarginazione sociale, richiedere un aiuto o sostegno psicologico che può risultare molto efficace, soprattutto in un momento come questo, quando c’è un timore relazionale di base a condividere la quotidianità. Il rischio non cala con l’allentamento del lockdown, anche e perché il pericolo di un ritorno pende su tutti come una spada di Damocle, quindi occorre prestare molta attenzione ai segnali che la nostra mente ci invia.

Cosa dovrebbe fare secondo te il mondo dell’informazione per correggere questa esposizione eccessiva delle persone?

Un conto è l’informazione, un conto è l’esubero di informazioni, dove l’obiettivo non è più informare le persone, ma terrorizzare. Bene i messaggi sulle indicazioni del rispetto delle regole, ma mettere in risalto tutto ciò sottopone ognuno di noi, sempre più, ad un senso di persecuzione, di angoscia, di ansia. L’informazione in questa fase non contribuisce a creare un sistema migliore per salvaguardare la propria salute e quella altrui, bensì l’effetto è frequentemente quello di aggravarla. Ribadisco che è utile seguire l’informazione, certificata e controllata, che da notizie giuste per la cittadinanza, ma invito ad evitare quella che da cattiva informazione, che bombarda mediaticamente, attegiamento che non salvaguarda la salute delle persone. Il rischio è quello di scivolare in un ritmo deleterio, dove la coercizione del tempo è diventato un nuovo ssistema di relazioni, rischiando di normalizzare una forma di relazione coercitiva. Occorre tornare a delle forme relazionali più sane.

Ringrazio Michele Di Bella per avermi aiutato a comprendere meglio e a guardare tra le maglie di una questione molto fitta, dove spesso sfuggono motivi e dinamiche di tanto eccesso di notizie, dove non si trova l’impianto razionale nell’inventare delle castronerie tanto pericolose.

Alla prossima intervista dal Divano di Alessandro.

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L’alfabeto del Coronavirus

Cosa potrebbe accomunare ricercatrici precarie, cape di Stato e di governo, donne dello spettacolo, economiste, anonime operatrici sanitarie? …

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Consiglio la lettura di questo alfabeto che declina caratteristica, storia e vicende del momento difficile che stiamo attraversando, ovviamente al femminile.

Il coraggio della civiltà, l’antitesi della ragione e la campagna #IoColtivo

Di seguito la sintesi di due articoli, pubblicati il 20 e il 21 giugno 2018, quando al Governo sedeva il moralista padano, detto anche Senatore Salvini. In quell’epoca vi fu un gran parlare sulla cannabis light, che viveva un boom di produzione e vendita sull’onda della normativa del 2016; ma parimenti, l’allora indegno Ministro degli interni, mosse una guerra ideologica verso i cannabis store, compromettendo un’intera filiera produttiva e migliaia di posti di lavoro, poi risolta da molte sentenze di vari tribunali verso la legittimità alla produzione e alla vendita. Inoltre questi due post che mi danno la possibilità di ricordare in appendice le recenti posizioni della Cassazione e segnalare una campagna di disobbedienza civile.

Il 20 giugno 2018, in un post dal titolo “Il coraggio della civiltà”, raccontavo della richiesta delle Nazioni Unite di depenalizzare l’uso della cannabis a livello planetario; “tale richiesta nasce dalla considerazione concreta che il proibizionismo è stato un errore dal punto di vista terapeutico e sanitario. Tutto ciò è supportato da numerose iniziative legislative a livello mondiale e al proliferarsi di studi scientifici che hanno dimostrato una utilità dell’uso di droghe in ambito farmacologico. Inoltre il Portogallo ha dimostrato che depenalizzando completamente il possesso per fini di utilizzo si possono risolvere d’impatto tre problematiche: il calo delle tossicodipendenze, il miglioramento di vita delle persone tossicodipendenti e il calo della criminalità. Forse, soprattutto quest’ultimo, è un punto che non sta molto a cuore a certa cultura politica nostrana.

Dunque ai politici italiani ricordo di darsi da fare ad interpretare questi cambiamenti a livello internazionale per migliorare il nostro tessuto sociale e adeguare gli standard sanitari per i cittadini.”. I contenuti di questo primo post, a molti, ricorderanno quei giorni e, a me, ricordano che molto c’è ancora da fare, anche perché, dal punto di vista concreto della legalizzazione o, per lo meno, di una depenalizzazione della Cannabis, non è stato fatto nulla dalla politica e quel poco, come vedremo, è stato demandato all’iniziativa della magistratura, elemento comunque non confortante per una democrazia.

In quei giorni, oltre all’iniziativa dell’ONU e all’offensiva proibizionista della politica italiana, si registrò (permettetemi di dire, sempre in maniera pilotata dai gruppi di potere oscurantisti) una presa di posizione istituzionale nel senso proibizionista che, visto il tempismo, voleva sconfessare la presa di posizione delle Nazioni Unite palesate nelle ore precedenti. Alludo ad un parere del Consiglio Superiore di Sanità, proprio a proposito della Cannabis Light, a supporto delle guerre proibizioniste del mistificatore padano, allora indegno ministro degli interni. Su questo, il 21 giugno 2018 in un post dal titolo “L’antitesi della ragione”, analizzavo alcune delle questioni che portarono il CSS ad emettere parere negativo verso la commercializzazione degli “spinelli leggeri” che in quel periodo stava registrando un boom, alla luce delle numerose licenze date anche per la vendita in negozi idonei; dunque, a tal proposito ricordavo che “(…) si parla di un prodotto ad uso ricreativo, dove le limitazioni nelle percentuali sono inferiori anche di quaranta volte rispetto alle varianti terapeutiche, anche di sessanta rispetto a quelle fatte circolare dalla criminalità. Comunque, i quesiti posti al Css sono, in sostanza, se questi prodotti siano da considerarsi pericolosi per la salute umana e se possano essere messi in commercio ed eventualmente a quali condizioni. L’organo consultivo raccomanda, con molta premura, che “siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti”. Ovviamente lo stesso titolo precauzionale che mette l’alcool, il quale provoca migliaia di morti dirette e indirette all’anno, e il tabacco, dannoso per i polmoni di chi fuma e di chi sta accanto, che ci induce a vendere questi prodotti sotto monopolio dello Stato. Il CSS dimentica che sarebbe lo stato a vigilare sulle regole di vendita proprio a scopo precauzionale, perché altrimenti non si spiega, se non con l’avvelenamento sociale progressivo ed ideologico con alcool e tabacco, questa disparità di trattamento di sostanze che nella scala sono esattamente invertite per pericolosità e livello di dipendenza, ovvero alcool, tabacco e cannabis.

Il Consiglio “ritiene che la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o ‘cannabis light’ o ‘cannabis leggera’, non può essere esclusa”. Ma guarda caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio ieri (20-06-2018, NDA), ha posto delle questioni di opposta veduta, dove viene ribadita la minor pericolosità per la salute dei principi di cannabis (sopratutto in chiave terapeutica e di sanità pubblica), tant’è vero che ha chiesto alle Nazioni Unite di rivedere le politiche di proibizionismo a livello globale. Ma dalle parti dell’OMS ovviamente sono degli sprovveduti.

Sulla questione della dannosità inoltre il CSS sostiene: “La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni (0,2%-0,6% (percentuali consentite dalla legge ad oggi, NDA) non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, il Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine”. Niente di più falso. In primo luogo perché la cannabis, perdurando a lungo nell’organismo, è determinabile in rapporto alla quantità consumata con approfondimenti riferiti ad esami tricologici. In secondo luogo perché l’effetto psicotropo dura poche ore rispetto all’assunzione diretta via inalazione. In parole semplici, il THC degrada più velocemente e viene espulso dall’organismo subito, in quantità tali da non dare più effetti che possano essere considerati nocivi, nonostante gli accumuli nel grasso, proprio perché contrastato dal CBD e altre molecole contenute nelle infiorescenze. Nessuno dopo aver fumato anche 2 o 3 canne di sera, la mattina al lavoro è preso da effetto psicotropo. Dal punto di vista delle limitazioni poi basterebbe solo escludere alcune categorie dalla possibilità di consumo, come avviene laddove la cannabis e depenalizzata o legalizzata. Così stiamo tutti più tranquilli

Il CSS insiste: “non appare in particolare che sia stato valutato il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza-allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione)”. Rispondo solo che con l’Alcool, il tabacco e gli psicofarmaci chi ne controlla i consumi? No, perché su questi prodotti la pericolosità è tanto quanto confermata, dato il loro abuso o uso fuori controllo.

Quanto al secondo quesito, il Css ritiene che “tra le finalità della coltivazione della canapa industriale” previste dalla legge 242/2016, non è inclusa la produzione delle infiorescenze né la libera vendita al pubblico; per tanto la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o ‘cannabis light’o ‘cannabis leggera’, in forza del parere espresso sulla loro pericolosità, qualunque ne sia il contenuto di Thc, pone certamente motivo di preoccupazione”. Siamo all’assurdo. Oltre a tutto quanto detto sinora, vorrei sottolineare che i limiti normativi prevedono un lavoro per superarli, non tanto rimarcarli per porre divieti, in controtendenza con ogni valutazione scientifica e giuridica nel mondo.”.

Nel 2020, registrando un sostanziale immobilismo della politica, come anticipato segnalo la pubblicazione delle motivazioni di una sentenza della Corte di Cassazione, risalente al dicembre 2019, rese note il 16 aprile 2020, che determina la non perseguibilità con l’azione penale della piccola e rudimentale coltivazione domestica per consumo personale; i criteri e le circostanze di queste posizioni della Corte sono ben riassunte, assieme alle evidenze delle mancanze della politica, da Marco Perduca in questo post.

https://www.huffingtonpost.it/entry/per-la-cassazione-se-domestica-e-personale-la-cannabis-e-coltivabile_it_5e996c53c5b6a92100e56ecc

Da segnalare inoltre che il 20 aprile 2020, giornata mondiale della lotta antiproibizionista per la Cannabis, è partita la campagna di disobbedienza civile #IoColtivo , promossa da varie organizzazioni, tra le quali Meglio legale, Associazione Luca Coscioni e Radicali. Notizie sulla campagna o per adesioni consultate

https://megliolegale.it/

Questo lungo articolo lo concludo con l’auspicio che presto il legislatore intervenga in funzione antiproibizionista, anche e soprattutto per risolvere un gravoso problema, che in tempi di Coronavirus si staglia con forza, ovvero il sovraffollamento delle carceri e l’inadeguatezza del sistema penitenziario. Infatti, un terzo dei detenuti è punito proprio per reati riferiti alla produzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti, quindi con un gesto di civiltà si potrebbe dare respiro al sistema penitenziario italiano, in profonda sofferenza, oltre che a restituire un senso di civiltà al nostro sistema giudiziario, molto assorbito dalla repressione di reati per droga e nello specifico per cannabis.

Il post lo dedico a Marco Pannella, che qualche giorno fa (2maggio, NDA) avrebbe compiuto novant’anni, ricordandolo per tutte le sue battaglie di civiltà e per l’affermazione dello stato di diritto e ringraziandolo per averci dato la forza e il coraggio di lottare ancora per i diritti civili di tutti.

NB: gli articoli scritti il 20 e 21-06-2018 sono volutamente inseriti nella categoria Diritti Civili e non Memoria Futura perché, a distanza di tempo, mi sono accorto dell’attualità dei loro contenuti.