
Tra i neologismi entrati in uso nel vocabolario Treccani nel 2018, figura l’espressione inglese body shaming, spiegata come «il fatto di deridere …
L’importanza di essere. Giovanna Botteri e il look della testa
Tra i neologismi entrati in uso nel vocabolario Treccani nel 2018, figura l’espressione inglese body shaming, spiegata come «il fatto di deridere …
L’importanza di essere. Giovanna Botteri e il look della testa
Ed eccoci al primo appuntamento dal mio divano dedicato ad uno spazio di approfondimento in compagnia – virtuale – di un ospite, che in questo caso mi ha raggiunto davvero a casa per parlare un po’ di un argomento che negli ultimi mesi è stato al centro dell’attenzione di tutti. Prima di iniziare una piccola nota metodologica per chi legge: in altri articoli ero abituato ad indicare alla fine del pezzo la sitografia presa come spunto o approfondimento. Da questo post in avanti invece troverete linkato nel testo tutto quel materiale che mi è servito per scriverlo, in modo da poter avere un immediato rimando alle fonti, senza per questo perdere il filo della lettura.
Dunque, iniziamo a ragionare. Oggi riprendiamo il discorso dell’eccesso di notizie e dati come problema di distorsione dell’informazione, argomento non nuovo od esclusivo, ma ritengo utile parlarne a più di tre mesi dall’inizio della crisi per la pandemia. Molto spesso girano contenuti, dai siti web ai socialnetwork, da Youtube alle catene mediante messaggi SMS o WhatsApp, che non vogliono sempre creare vera e propria controinformazione, ma che piuttosto danno vita ad informazione inutile, superflua, dannosa perché inesatta, come nel caso dei presunti consigli dell’università americana. La questione non è di poco conto e ce ne siamo accorti proprio durante la crisi del Covid19, scenario che ha visto il proliferare della disinformazione; questione che non è passata inosservata, sin dalla metà di marzo, nemmeno ai colossi del web.
In questi tre mesi ed oltre di crisi per la pandemia se ne sono lette di tutti i colori, dalla vitamina C Che curerebbe ogni male, alla certezza assoluta della creazione in laboratorio del Covid19 perché ne ha parlato la RAI alcuni anni fa, a quella più esilarante (se non vogliamo perdere il buonumore) sugli immigrati immuni al Coronavirus. Sinora ho citato non solo esempi dove la notizia è stata creata dal nulla, senza basi scientifiche o riscontri giornalistici, bensì anche casi in cui l’informazione è stata più o meno manipolata allo scopo di creare ridondanza; una sorta di cassa di risonanza di notizie non verificate, appena manipolate o inventate di sana pianta utili solo ad ingenerare confusione, nell’ipotesi più cauta, anche se non è difficile intuire che vi siano soggetti interessati alle possibili speculazioni in condizioni di panico o allarmismo diffuso. Ma questo è un altro discorso, da approfondire in separata sede; restiamo agli effetti causati dalla disinformazione e dall’eccesso di notizie cui siamo stati, e siamo ancora adesso, tutti esposti.
L’OMS ha infatti, a tal proposito, lanciato uno specifico allarme legato all’Infodemia, ovvero proprio all’eccessiva presenza di notizie false, tendenziose, inesatte e ridondanti, fenomeno che si è diffuso altrettanto velocemente come il Covid19, creando più di qualche preoccupazione alle autorità sanitarie internazionali sulla salute mentale della popolazione, ant’è vero che la stessa agenzia delle Nazioni Unite per la salute si è posto il problema se non fosse epidemica anche questa particolare caratteristica che accompagna l’evolversi della pandemia legata al Coronavirus, e come questo dagli effetti imprevedibili.
Di fronte a questa problematica, infatti, non tutti abbiamo gli strumenti e la capacità, la forza psicologica se volete, di reagire, ponendo delle difese tra noi e il flusso sterminato di informazione, che sin dagli inizi della crisi sembrava un problema serio da gestire per ognuno di noi. Sin dal 24 febbraio, infatti, l’Ordine degli Psicologi del Lazio (seguendo linee guida nazionali), ad esempio, scrive a proposito degli effetti legati alla spasmodica ricerca di informazioni, di “Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate”.
Ma quali effetti ha avuto realmente sulle persone tutto ciò? E sopratutto come possiamo proteggerci? Mi sono chiesto queste ed altre cose in compagnia del Dott. Michele Di Bella, Psicologo clinico e di comunità che esercita a Roma nord, abilitato ed iscritto all’albo professionale del Lazio. Una volta accomodati sul divano con un bicchiere di succo e la distanza consigliate, iniziamo a parlarne.
Quali sono le persone che maggiormente hanno sofferto la sovraesposizione mediatica della crisi legata al Coronavirus? Ne esiste una categoria colpita in particolare?
Come segnala l’ordine degli psicologi del Lazio, al quale sono iscritto, si è rilevato che le persone più giovani riferiscono di frequenti reazioni ansiose. Gli adulti fra i 20 e i 39 anni evidenziano maggiori preoccupazioni accompagnate da sentimenti di rabbia; nella fascia di età successiva (40-59 anni) le preoccupazioni diventano più rilevanti per le proprie relazioni, mentre per la fascia d’età che va dai sessant’anni in su si intensificano le preoccupazioni legate all’isolamento e al senso di solitudine. Per rispondere alla seconda parte della domanda, personalmente non rilevo l’esistenza di categorie particolarmente soggette, ma tutto è riconducibile alla situazione che ognuno vive. Persone che, ad esempio, attraversano ristrettezze economiche vivono maggiori difficoltà anche dal punto di vista psicologico, come anche le persone adulte perchè sentono addosso maggiormente il senso della morte.
Quanto ha pesato su questa sofferenza delle persone la sovraesposizione mediatica cui tutti siamo soggetti?
Molto, soprattutto perché agli inizi della crisi le notizie davano un gran numero di decessi tra gli anziani, evidenziando i rischi per questa fascia d’età. La mia esperienza personale mi restituisce che più le persone crescono e più questa preoccupazione aumenta, anche se risulta meno evidente perché fa parte di ognuno di noi, del nostro silenzioso vissuto. Ciò è evidenziato per persone di una certa età o con patologie, proprio perché quelle persone sono portate a pensare “se muoiono tanti miei coetanei, posso morire anche io”.
Hai notato nell’esperienza di terapeuta, in questo periodo, situazioni di stress legate ad un eccesso o alla circolazione di cattiva informazione?
Si, legate ad alcune relazioni professionali. Ma soprattutto l’ho vissuto in prima persona, e volendo essere sinceri sono scivolato nella preoccupazione dovuta ad un eccesso di informazioni. Il tentativo di controllare un atteggiamento spasmodico in una condizione del genere è stato difficile, anche per chi è preparato come uno psicologo.
Tutto questo eccesso di notizie, secondo te, ha creato una reale consapevolezza nelle persone?
Se le notizie sono provenienti da fonti sicure o certificate all’interno di organizzazioni internazionali, statali o da istituti di ricerca, si. Ma spesso sono manipolate da altri soggetti, come siti web che sfruttano la notizia e la manipolano per fini che non sono puri – legati al commercio di prodotti -; o ancora da persone che godono nel far girare una notizia fake, sia per fini di puro sadismo o per propaganda terrorizzante.
Considerato il ruolo dei socialnetwork, anche nella circolazione delle fake news, come si possono creare gli anticorpi per secernere le informazioni?
I primi anticorpi sono quelli che si creano andando a ricercare, al di là del covid19 e per ogni notizia sul web, l’attendibilità certificata. Il web siamo noi, quindi chiunque può mettere una cattiva notizia.
Pochi giorni fa, l’OMS ha lanciato un allarme per le conseguenze psicologiche delle persone a causa degli effetti del Coronavirus. Lo condividi?
Si. Si sta spargendo nelle persone un senso persecutorio e molti tendono ad assumere un certo tipo di atteggiamento fobico verso gli altri. C’è una grande paura, anche eccessiva in molti tratti.
Quindi cosa consigli per affrontare lo stress causato da questa crisi?
Mi sento di consigliare, in primo luogo, di cercare sempre di mantenere in questo periodo i ritmi che si avevano prima. Il rischio è quello di invertire il giorno con la notte o entrare in una rete più fitta di isolamento e di non mantenere i contatti con la realtà. Se si ravvisa un disagio emotivo o una certa forma di emarginazione sociale, richiedere un aiuto o sostegno psicologico che può risultare molto efficace, soprattutto in un momento come questo, quando c’è un timore relazionale di base a condividere la quotidianità. Il rischio non cala con l’allentamento del lockdown, anche e perché il pericolo di un ritorno pende su tutti come una spada di Damocle, quindi occorre prestare molta attenzione ai segnali che la nostra mente ci invia.
Cosa dovrebbe fare secondo te il mondo dell’informazione per correggere questa esposizione eccessiva delle persone?
Un conto è l’informazione, un conto è l’esubero di informazioni, dove l’obiettivo non è più informare le persone, ma terrorizzare. Bene i messaggi sulle indicazioni del rispetto delle regole, ma mettere in risalto tutto ciò sottopone ognuno di noi, sempre più, ad un senso di persecuzione, di angoscia, di ansia. L’informazione in questa fase non contribuisce a creare un sistema migliore per salvaguardare la propria salute e quella altrui, bensì l’effetto è frequentemente quello di aggravarla. Ribadisco che è utile seguire l’informazione, certificata e controllata, che da notizie giuste per la cittadinanza, ma invito ad evitare quella che da cattiva informazione, che bombarda mediaticamente, attegiamento che non salvaguarda la salute delle persone. Il rischio è quello di scivolare in un ritmo deleterio, dove la coercizione del tempo è diventato un nuovo ssistema di relazioni, rischiando di normalizzare una forma di relazione coercitiva. Occorre tornare a delle forme relazionali più sane.
Ringrazio Michele Di Bella per avermi aiutato a comprendere meglio e a guardare tra le maglie di una questione molto fitta, dove spesso sfuggono motivi e dinamiche di tanto eccesso di notizie, dove non si trova l’impianto razionale nell’inventare delle castronerie tanto pericolose.
Alla prossima intervista dal Divano di Alessandro.
Cosa potrebbe accomunare ricercatrici precarie, cape di Stato e di governo, donne dello spettacolo, economiste, anonime operatrici sanitarie? …
L’alfabeto del Coronavirus
Consiglio la lettura di questo alfabeto che declina caratteristica, storia e vicende del momento difficile che stiamo attraversando, ovviamente al femminile.
Nel Calendario Civile della Repubblica italiana una ricorrenza necessaria è il 20 maggio, data nella quale, nel 1970, con la legge n. 300, fu data …
Lo Statuto dei diritti dei lavoratori compie 50 anni
Se il calendario civile citato dall’autrice ha una sua importanza, oggi ricordiamo la definizione definitiva dei diritti dei lavoratori nel nostro paese, ricordando i cinquant’anni dall’approvazione dello statuto dei lavoratori. Segnalo questo bel saggio storico sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, del mondo del lavoro e sindacale.
Oltre a segnalare il collegamento a Wikipedia per ricordare, attività che va esercitata continuamente, la biografia di mGiovanni Falcone i sembrava il caso di sottolineare la sua vita professionale ben schematizzata dalla gTrecani proprio nell’anniversario della sua nascita, ovvero il 18 maggio (1939), qualche giorno prima ancora della commemorazione per la sua scomparsa, evento – quello della strage di Capaci -, che merita un ricordo a sè.
e volevo inoltre segnalarvi questa sua intervista a Michele Santoro nella trasmissione Samarcanda, dove racconta proprio il suo essere giudice in prima linea, nel ricordo di Rocco Chinnici.
Per Memoria Futura vi propongo tra virgolette un articolo del lontanissimo 2013, dove evidenziavo alcune questioni legate alla trattazione della disabilità dai media, in tutte le sue sfaccettature. Molte di tali riflessioni poi sono state approfondite Qui.
Ciò che mi scandalizzò all’epoca fu la rozzezza con la quale un organo di stampa importante come “La Repubblica” trattasse certi temi, Con molto sensazionalismo, perplessità dovute al fatto che si trattava di un aspetto sensibile come le truffe allo stato da parte di falsi invalidi, nervo scoperto nel nostro Paese. L’intero impianto di questi pensieri lo reputo ancora valido, perché molti altri sono stati gli episodi di cattiva informazione intercorsi in questi anni. La proposta ancora del tutto valida, perché inevasa. Buona lettura.
““Prima ancora di passare all’analisi, specifico che i falsi ciechi di Palermo lo sono. Si. Non ho dubbi. Ma li ho per le affermazioni degli inquirenti. Quando vengono divulgate queste notizie ricordate che esiste una cosa che voi non avete, signori della Guardia di Finanza, signori giudici, signori funzionari INPS. Molto spesso dietro i vostri accertamenti manca la valutazione del parametro affermato in leggi internazionali, ratificate dal nostro Parlamento, ovvero la Dignità. e leggetevi la dichiarazione dell’ONU sui diritti delle persone disabili.
Ma veniamo al dunque. Le argomentazioni esposte di seguito saranno di tre ordini: 1 l’affermazione che quelli di Bagheria sono falsi ciechi. 2 il perché lo sono ma per ben altre motivazioni espresse dagli inquirenti di Palermo ; 3 la totale inadeguatezza di quella classe dirigenziale a svolgere indagini e la richiesta di commissioni ad hoc per risolvere la questione, ma composta dai migliori e più colti agenti dello Stato. Andiamo per ordine.
I pezzi visti online sui fatti siciliani sono molto simili tra loro. Evidentemente tutte le testate (aspetto sul quale ora non mi dilungo)hanno usato le veline GDF, pari pari, per dare la notizia. E ad eccezion fatta delle testate giornalistiche nazionali, che ricamano la notizia in chiave governativa, tutti gli altri canali di informazione non si prendono la benché minima bega di approfondire la notizia; rammarico, sul quale ripeto, tornerò poi. Signori giornalisti da urlo, presto o tardi ne avrò anche per voi, in difesa dei vostri colleghi onesti in primis. I fatti dicono che questi signori avevano una certa autonomia sulla quale non potevano riscontrarsi assenze tali della vista, quindi seppur minime effettivamente le capacità di vista c’erano. L’infrazione loro contestata è quella di aver dichiarato di essere “ciechi assoluti”, quando in verità non erano tali. Non sapremo mai se magari questi fossero con microlftalmo, monocoli, ventesimisti, glaucomati, colobomizzati, o magari chissà quale patologia che ne riduceva la capacità normale al vedere, ma di certo non ciechi assoluti. Chi non si accompagna al muro, al bastone, ad un cane o ad un braccio in effetti non può essere sempre certo al 100% di intraprendere la traiettoria giusta. E quindi evidentemente anche fossero ombre o sagome, loro le vedevano. Quindi sono “falsi ciechi assoluti”. Una considerazione: un ambiente conosciuto, a partire dalla propria casa, il quartiere, strade note, un cieco che sia in grado di deambulare le affronta tranquillamente anche senza supporti esterni. Si contano passi, si ascoltano suoni, ci si regola dalla presenza o meno di un’apertura d’aria in prossimità di una strada. Ma per carità, queste son robe per ciechi fenomenali dell’estero, magari, ma questi erano tre anziani, ignoranti forte, che il medico accondiscendente l’hanno trovato. Eccoci al punto. Gradirei dai Signori inquirenti che, una volta tanto, nel dare le veline l’attenzione fosse spesa verso coloro che quelle pensioni le hanno rilasciate,perché potrebbero essere quegli stessi dirigenti medici INPS che oggi vi dicono di indagare. Le commissioni mediche infatti mutano con una certa lentezza, almeno nelle loro componenti dirigenziali. L’assunto, brevissimo, è questo:nel caso dei due fratelli dichiarati ciechi nel 1988 ne sono passati ben25, devono essere stati visitati, la loro pratica accertata e inoltrata all’allora ministero erogante, quello del Tesoro. Una firma questi l’avranno dovuta mettere, e non per la firma in sé, ma per la più o meno capacità di inquadrare e tenere il rigo, e qualcuno li ha seguiti con lo sguardo…
Passiamo al secondo punto, cioè il fatto che questi non sono falsi ciechi per i deliri dei finanzieri inquirenti. Non si è falso cieco se usi internet, scatti foto e le condividi sui social, eviti un ostacolo, se spazzi, se cucini. Perché sennò io, sano portatore di due bellissime protesi oculari con iride dipinta a mano di color verde bosco, sarei il primo falso cieco. Poi se sia invalido o meno, se mi sento disabile o meno, è un altro paio di maniche,ma non sono falso cieco. Quindi i signori di Palermo sono falsi ciechi perché giocavano a carte senza toccarle e non perché giocavano a carte. Insomma, perché da ciechi non usavano il senso deputato a sostituire la vista: il tatto. Passatemi un’altra considerazione: siete, voi signori finanzieri inquirenti di Palermo, degli operatori che fanno male il loro mestiere. Si, perché avete per uno di questi falsi ciechi affermato che è tale in quanto titolare di un auto. Ma se è lo stato ad agevolarminell’acquisto di autovetture, anche se cieco, oltre che ai disabili tutti e addiritturaloro familiari, abbassandomi l’IVA dal 20% al 4%, esentandomi dal bollo; e diròdi più: alcune compagnie di assicurazione danno sconti a persone disabili titolarid’auto. Ma questo lo sapete? A no? Perché che non lo sappia colui che mi staleggendo, senza handicap e magari anche senza macchina, mi disturba poco, ma tuche devi incrociare i dati… insomma un po’ coglione lo sei…
Appurato che quelli di Palermo non sono ciechi assoluti, che i finanzieri inquirenti sono pagati dallo Stato per fare male il loro mestiere, che i medici non verranno mai toccati, che qualcuno su queste storie ci sta speculando e magari facendosi un po’ di sana carriera, veniamo alterzo punto, quello veramente più importante: i parametri, i criteri e le definizioni legate alla disabilità e all’invalidità. Il problema truffatori c’è, sia sul fronte “falsi” invalidi, sia su medici e funzionari corrotti, sia sull’omertà di chi sa e non parla. Prima di inoltrarmi nella questione, a proposito di quest’ultimo aspetto, volevo ricordare che a Taranto nel 2008 è stato scoperto un falso cieco che lavorava come centralinista nel locale carcere. Truffa perpetrata per 24 anni. Possibile mai che in un carcere, dico io… o complici, o omertosi, o in questo paese siam messi male….
Dicevamo, il problema falsi invalidi esiste, come esiste un problema “modernità” legato al concetto di disabilità. I riferimenti di legge più recenti che determinano i parametri risalgono a metà degli anni Novanta, quando il web e le tecnologie erano in fase preistorica; molti riferimenti normativi dedicati all’invalidità oltretutto risalgono ai decenni precedenti, quando il concetto di “differente abilità” era appena accennato e tutto era vissuto come un’eccezionalità, una quasi impossibilità, legata non alle condizioni economiche, no, ma a quelle personali. Si sa di ciechi elettricisti, ciechi impagliatori, ciechi professori e poi vennero i ciechi centralinisti. Se oggi ci sono ciechi ingegneri o ciechi imprenditori è il frutto della modernità, perché tecnologie e sviluppo del welfare ci hanno consentito di squarciare il velo di autoesclusione dalla vita lavorativa. Il problema è qui. E abbandoniamo i ciechi e la cecità. L’invalidità è considerata sulla base dell’incapacità al lavoro, quando questo del lavoro era un parametro fondamentale per determinare i rapporti sociali. Ora come ora, che il lavoro e le sue accezioni e definizioni sono in crisi sistemica postcapitalista, non si può ricondurre l’invalidità a quel solo parametro. Uno su tutti, nel mentre intervenuto, è la qualità della vita. L’invalidità poi è diversa dalla disabilità, ovvero il reale impedimento fisico o psichico. Non si possono legare l’invalidità e la disabilità ad un nodo stretto con i laci dellacapacità al lavoro e alla deambulazione, perché oggi, la deambulazione e la capacità a lavorare sono abbondantemente risolti come problemi da centinaia di “diavolerie moderne” che eliminano questi ostacoli: auto, robot, computer,sensori. Non sto farneticando, e chi conosce la domotica, ad esempio, lo sa bene. Quindi rimproverare ad una persona che è falsa cieca perché usa Facebook è proprio da ignoranti forti. Questi nodi vanno sciolti e dall’emergenza welfare si può giungere alla normalità delle vite solo tramite la presa di coscienza dello stato che non può lasciare a chiunque questa bega, perché moltidi coloro che indagano su questi fenomeni sono irriducibili ignoranti. E sono se non ignoranti, ben imbevuti di pregiudizi, anche quei funzionari e quei giudici che devono affrontare con le norme tali questioni. Sapete perché?Perché in Italia non esiste la “Cultura della diversità”,, men che meno la“cultura delle disabilità”, entrambe a fondamento della citata dichiarazione dell’ONU.
Per migliorare questo status quo occorrono i migliori dirigenti, burocrati, inquirenti. I migliori poliziotti e finanzieri. Adeguatamente aggiornati dalle parti in causa, che ascoltino il mondo dei veri disabili. Occorre insomma il medesimo atteggiamento che si è avuto per contrastare la mafia, che ha portato alla costituzione del D.I.A.; ecco, percontrastare i falsi invalidi e rimodulare dal punto di vista normativo la questione, servirebbe un Dipartimento Investigativo AntiTruffatore dei disabili. E lo auspico quanto prima, per le casse dello stato, ma ancor prima per la nostra dignità. Ricordando a tutti che qui si tratta, in un senso o nell’altro, di una questione di legalità, e noi italiani ne abbiamo veramente un gran bisogno.”.
NB: post scritto il 22/04/2013 a seguito della lettura di un articolo che raccontava le vicende sopra descritte, ma con un taglio per me vergognoso. Non giudico i fatti, ma il retropensiero. Larticolo era questo.
Italiani avvezzi alle fake news www.ilriformista.it/silvia-romano-gravidanza-orologio-e-riscatto-tutte-le-bufale-sulla-cooperante-rapita-97783/
Per l’archivio storico di questo blog, che trovate sotto la categoria Memoria futura, vi propongo un post scritto nel marzo 2016, che ha in sé delle riflessioni molto attuali, sopratutto in tempo di Coronavirus; l’emergenza infatti ha ulteriormente oscurato sotto il profilo mediatico le effettive esigenze dei disabili e la necessità di parlare delle disabilità sotto una nuova veste, più moderna, più rispondente ai canoni della civiltà, come indicato dalla Costituzione repubblicana e dall’ONU nella Convenzione per i diritti delle persone con Disabilità del 2006. Il post che segue tra virgolette fu scritto a seguito di una serie di articoli pubblicati su varie testate a proposito delle nostre attività di allora, fatto che mi lusingava non poco, perché con l’impegno nel turismo accessibile assieme a Sonia riuscimmo a smuovere una sorta di cortina d’omertà generalizzata attorno alle disabilità nel Salento. Ma mi sentii di fare delle precisazioni sotto forma di ulteriori riflessioni, che di seguito vi sottopongo integralmente, ritenendole del tutto attuali ed utili perché parlando agli operatori dei Media mi rivolgevo in verità ad un intero tessuto sociale. Sapete com’è, parlare a suocera perché nuora intenda, ma a distanza di anni non hanno inteso, a mio avviso, né suocera né nuora. Buona lettura.
“Ovviamente non sono impermeabile a ciò che si muove in termini di comunicazione attorno a me, soprattutto se questo movimento riguarda la mia persona o le mie attività. Giusto anche per me ritengo associare il vecchio adagio “ognuno è artefice del proprio destino”, ma a volte mi sorprendo per il livello di feedback che si crea attorno, dando a questo “attorno” una connotazione di “liquidità”, dai toni e dai riflessi sempre diversi. Questa contorta premessa per ringraziare tutti quegli operatori dell’informazione e della comunicazione che in qualche modo hanno rivolto la loro attenzione alle nostre attività e/o al nostro modo di porre certe questioni. DI seguito alcune ulteriori riflessioni sulla Convenzione, che mi aiuta nel relazionarmi con voialtri, giornalisti e comunicatori, ricordandovi che al di là delle “coccole” e dei “complimenti!” degli amici, occorre sollevare certe leve e premere certi tasti per una Politica e una Società più mature e avanzate; qui un po’ di impegno e buona volontà è anche a carico vostro.
Responsabilità degli operatori dell’informazione e degli esperti di comunicazione, a mio personale avviso, è l’accentuare gli aspetti legati ai principi generali contenuti negli art. 3 e 4 della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con Disabilità, svuotando ogni azione o attenzione da contenuti “emergenziali” o “pietistici”, adempiendo cioè alla propria funzione di “cane da guardia” della democrazia, considerando il fatto che le più moderne delle democrazie passa anche da questo disposto di civiltà, legge dello Stato italiano dal 2009 (l. 18, NDA); ora passerò ad argomentarvi il perché. Ovviamente mi sento pienamente coinvolto quando si tratta di aumentare il livello di consapevolezza attorno alle disabilità e valorizzarne i contributi rilevanti per il territorio e le comunità, come sancito nell’articolo 8; ma quanto affermato in quell’articolo è appunto la missione che tocca quotidianamente ad ogni operatore dell’informazione, chiamato a confrontarsi con questi temi, di una certa rilevanza per il nostro tessuto sociale; Affermo ciò proprio perché l’Italia probabilmente è sul livello di percezione che ha bisogno di recuperare il terreno perduto in trent’anni di gap culturale, quei trent’anni intercorsi tra il periodo di maggior produzione legislativa in merito ai diritti delle persone con disabilità, continuato pure oltre quel periodo (anni Settanta-Ottanta, NDA) e quando ci si è fermati per capire come andassero le cose, ed evidentemente è sorta la nemesi tra parole scritte e comportamenti adottati (grossomodo primo decennio degli anni Duemila, NDA). Siamo stati sempre i fuoriclasse, nell’espletare tutti i principi cardine; quando leggerete i primi 30 articoli della Convenzione, quelli più operativi, e cercherete riscontri nella nostra legislazione, vi salterà all’occhio come l’Italia a più o meno contribuito al 50% con la sua esperienza giuridica. Si, Giuridica appunto. Ma la sfida per tutti gli operatori dell’informazione e della comunicazione è racchiusa nell’articolo 21 della stessa Convenzione, completato in alcuni passaggi dell’art. 30, dove questo impegno per la dimensione futuribile è suddiviso in due livelli: da un lato garantire il maggior accesso possibile alle informazioni; qui forse qualcosa in Italia viene fatta, grazie al grande panorama di iniziative editoriali sul web, blog privati e canali specialistici di comunicazione (penso in primis a Superabile dell’INAIL, NDA). ma nella sfida è contemplata anche la possibilità di dare maggiore spazio e riservare sempre più frangenti considerevoli a talune tematiche o necessità di una fetta, che si voglia o no, in continua crescita nel tessuto sociale italiano; e se vista attraverso la lente a grandi maglie, quella della “disabilità” permanente o temporanea riguarda ormai fasce di popolazione vicine al 10%. Ovviamente non tutto si risolve dall’oggi al domani, e ovviamente non tutto ricade sulle spalle di giornalisti e comunicatori, ma evidentemente nella società ipertecnologica in cui viviamo, dove l’informazione è condivisa, globale, circolare e subitanea, evidentemente se certi temi non arrivano alla ribalta, al cuore, evidentemente qualcosa occorre fare, e ognuno ci deve mettere il suo. Il passaggio di livello sta dal ricondurre tali tematiche dagli aspetti esclusivamente “sociali” a questioni apertamente “politiche”, visto che non si parla solo di servizi alla persona, ma anche di questioni legate ai lavori pubblici, al diritto al lavoro, alla libertà di cura e di ricerca, al diritto di godere dei diritti fondamentali come dettati dall’art. 3 della Costituzione Italiana…
Se non è considerazione “Politica” questa? Chiudo questa trattazione invitando tutti coloro che si sentano spinti a garantire nel loro “tempo professionale” spazi che rispondano al rispetto dei dettati della Convenzione, proprio per abbattere gap culturali e disagi comunicativi legati all’immagine stereotipata della disabilità, a farlo perché occorre lavorare sul terreno della cultura, e lo si deve fare tutti, per smontare l’atteggiamento della grettezza pietistica che sottrae forze e giusta considerazione delle persone con esigenze speciali, disabili che dir si voglia, proprio perché da “soggetti svantaggiati della società” si passi alla piena considerazione di “risorsa per la società”, che in fin dei conti è un esercizio solo di percezione, considerando che attorno a noi, in Europa, questi gap sono grandemente superati senza necessariamente prevedere misure assistenziali, ma solo la giusta considerazione di esigenze e prospettive, di risorse da investire e di potenzialità da veicolare, così, naturalmente, come per qualunque altra categoria di cittadini che pienamente godono di tale status.”.
Questo post fu ispirato da articoli Che raccontavano la nostra realtà come questo
NB: articolo scritto il 22/03/2016.