Il figlio della luna.

@raiplay

Ieri sera suggerivo la visione del film TV di genere biografico su RAI 1, intitolato “Il Figlio della luna”, sceneggiato da Paola Pascolini e Mauro Caporiccio (con la collaborazione di Lucia Frisone, madre di Fulvio), che racconta la storia vera di Fulvio Frisone, uno scienziato italiano di origini siciliane, portatore di un grave handicap. Il film, trasmesso la prima volta il 22 febbraio 2007, mi era sfuggito nelle precedenti repliche televisive e, cogliendo l’occasione di una serie di film dedicata alle donne coraggio interpretate da Lunetta Savino trasmessa in queste settimane su RAI1, ho avuto la possibilità di recuperare. Il film, per le tematiche esposte, è molto intenso e mi ha portato a riflessioni profonde. Ora, come consuetudine, una scheda e poi alcuni pensieri nella recensione, che non hanno il compito di esaurire le argomentazioni, ma di gettare un seme affinché possa riprendere certi temi con il tempo tra le pagine di questo blog.

Il film

Il figlio della luna, Italia, 2007, regia di Gianfranco Albano, prodotto da Rai Fiction e 11 marzo film, durata 100 minuti.

Cast e personaggi principali

Lunetta Savino (Lucia Frisone), Antonio Milo (Carmelo Frisone), Alessandro Morace (Fulvio Frisone dagli 11 ai 14 anni), Paolo Briguglia (Fulvio Frisone dai 16 ai 26 anni), Sabrina Sirchia (Pinella Frisone), Evelyn Famà (Palmira Frisone), , Victoria Larchenko(Elena), Giuseppe Saggio (Michele Ferri), Paride Benassai (professor Giammona), Claudio Piano (Caruso).

Trama e curiosità

prodotto da Rai Fiction, con la direzione di Gianfranco Albano, questo film televisivo è basato sulla reale storia di Fulvio Frisone, nato con una tetraplegia spastica distonica grave al punto da impedirgli persino di parlare. Grazie agli sforzi della mamma Lucia, Fulvio, apparentemente condannato ad una vita senza sbocchi, riesce a studiare con grande profitto fino a diventare un affermato scienziato nel campo della Fisica. Il film venne trasmesso in prima visione su Rai 1 giovedì 22 febbraio 2007, e secondo l’Auditel fu il programma più visto della prima serata con uno share del 27,61% e più di sette milioni di telespettatori, successo replicato giovedì 5 giugno 2008, con uno share del 19,16% e più di quattro milioni di telespettatori. La replica di venerdì 29 maggio 2020 ha visto più di tre milioni di telespettatori con uno share superiore al 13%. Come trailer potete vedere questa presentazione del film rintracciata su YouTube, risalente all’anno dell’uscita del film

Recensione

Gianfranco Albano e Lunetta Savino, rispettivamente regista e attrice protagonista, sono stati al centro della recensione della scorsa settimana del film su Felicia Impastato, madre di Peppino. Quindi si può dire che questa serie sulle Donne coraggio trasmessa da RAI 1 mette in evidenza la bravura della regia nel genere dei Film TV e la straordinaria capacità dell’attrice nell’immedesimazione del personaggio che, essendo contemporaneo, ha una sua particolare valenza. Bene, tecnicamente del film non voglio dire altro; è un bel prodotto, fatto veramente bene, con un ritmo avvincente e, seppur non conoscendo a fondo la differenza tra realtà e trasposizione, posso dire che segue molto bene gli eventi. Ma su tre aspetti vorrei concentrarmi, per affermare che ho apprezzato il film, conosciuto e ammirato la storia e compreso il messaggio. Per chi mi legge è necessario specificare subito un particolare: parlo da disabile (della vista certo, non con un handicap estremamente grave come quello del protagonista), cresciuto nel sud Italia, quindi sono coinvolto più o meno direttamente da alcune dinamiche risaltate da questo film. Ma veniamo a noi. Il primo aspetto che vorrei evidenziare è quello del coraggio della signora Lucia. Abbattere il pregiudizio, soprattutto il proprio provocato dal difficile percorso dell’accettazione di un figlio diverso, non è facile mai, ma in una regione del nostro meridione e in un’epoca dove i diritti civili e sociali ancora non si erano affermati non deve essere stato facile. Perciò, quando vedete evidenziati nel film alcuni comportamenti da parte di altre madri o del tessuto sociale circostante, sentite pronunciare certe frasi di commiserazione verso questa madre, non crediate che sia fantasia pura, anzi, ritengo che ci sia moltissima verità perché tutte le madri che hanno vissuto quest’esperienza esistenziale, reagendo ad essa, hanno dovuto affrontare allo stesso modo l’ignavia e la facilità di pensiero che condanna, piuttosto che apprezzare (“Questo figlio lo espone come fosse un oggetto”, si sente ad un certo punto). Il secondo aspetto è quello dell’impreparazione delle istituzioni, ancora oggi mi verrebbe da dire. All’epoca c’erano pochi strumenti normativi, quindi per Fulvio Frisone studiare è stata veramente una delle sfide principali, perché le sue difficoltà (assieme a quelle dell’intero nucleo familiare) partivano proprio dalla prima agenzia che dovrebbe aiutare a diventare degni cittadini, ovvero la scuola; tenete conto che negli anni Settanta l’articolo 3 della Costituzione già esisteva, ma non vi stupisca la poca buona volontà dei vari presidi o segretari, sintomo che – ripeto ancora oggi esistente come “atmosfera di accompagnamento” – la società italiana non abbia del tutto assimilato i concetti di inclusione, integrazione e pari opportunità. Il terzo aspetto è quello riferito allo stesso protagonista, Fulvio Frisone, che cerca di affermare se stesso anche attraverso il rifiuto dell’Amore materno, in alcuni tratti oppressivo. Il conflitto tra il figlio disabile e la propria madre è una questione sempre presente in questo genere di storie, proprio perché spesso è nella famiglia che si crea il primo ostacolo per una piena consapevolezza del proprio io, del sé come portatore di dignità prima ancora che dell’handicap. In questo vissuto la ricomposizione tra madre e figlio disabile è la strada naturale per l’evoluzione di vicende umane contemporanee, dove il protagonista ancora vivente è del tutto attivo sul proscenio dell’esistenza, assorbendo e rimandando istanze intime e sociali di varia natura. Ma non è enfatizzata oltremodo se si considera il significato che si porta dentro il rapporto estremo che si crea tra una madre e il proprio figlio con handicap, indubbiamente più forte di analoghi rapporti filiali in condizione di “normalit”à. Questo legame è pericoloso, appunto, perché non sempre si riescono a sciogliere quei nodi che rendono poi il disabile di fatto consapevole e libero di autodeterminarsi; non sempre questo, ad essere sinceri, è possibile. Ma frequentemente per troppo amore si può anche nuocere, anche se involontariamente. Questo tratto è molto ben evidenziato, anche se invisibile agli occhi dei più, affascinati ovviamente dalla forza indiscutibile della madre, ma in genere di tutti i protagonisti. Nota di merito per l’intero cast, che ha saputo tenere testa ai difficili ruoli, dal padre alle sorelle, senza mai scadere – nella sceneggiatura come nell’interpretazione – in un patetico teatrino del pietismo. Merito agli attori che interpretano Fulvio Frisone, perché ci vuole molta bravura già ad immedesimarsi in un altro (ma è il loro mestiere), ma carpire certe peculiarità non è da tutti. Complimenti a Fulvio Frisone, che rappresenta un esempio di positiva reazione alle vicende della vita, non rappresentando la condizione scontata che gli altri vedono in te. Bensì facendosi scivolare addosso – con consapevolezza – la propria disabilità, dimostra di potersi affermare con dignità, se supportato e posto nelle condizioni. Non mancherò di riprendere la sua figura in un futuro contributo, anche perché a leggere la cronaca si è fatto sentire abbastanza e per tante tematiche, tra le quali quella acennata nel film e di primaria importanza, ovvero il diritto all’assistenza sessuale per i disabili gravi.

Potete rivedere questo film in streaming dal sito oppure dall’App di RaiPlay.

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Felicia Impastato, il film TV.

@hotcorn.com

Con la sceneggiatura di Diego De Silva, Monica Zapelli e la consulenza di Giovanni Impastato, nel 2014 viene realizzato questo film TV biografico sulla vita di Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato. Liberamente ispirato ai fatti di cronaca, il film racconta le battaglie di Felicia, madre coraggiosa che ha lottato in vita per ottenere la verità sulla morte del figlio barbaramente ucciso dalla mafia. Il film è andato in onda la sera del 22 maggio 2020, in occasione del palinsesto dedicato dalla RAI alla giornata per la legalità e il ricordo delle vittime della strage di Capaci.

Il film: Felicia Impastato, Regia di Gianfranco Albano, Italia, 2014, prodotto da 11 Marzo Film e RAI Fiction, durata 115 minuti.

Cast: Lunetta Savino (Felicia Bartolotta), Carmelo Galati (Giovanni Impastato), Barbara Tabita (Franca Imbergamo), Antonio Catania (Rocco Chinnici), Gaetano Aronica (Antonino Caponnetto), Giorgio Colangeli (dott. Ideale Del Carpio), Linda Caridi (Felicia, moglie di Giovanni Impastato), Paride Benassai (cugino degli Impastato), Fabrizio Ferracane (Umberto Santino), Alessandro Idonea (Vito, amico di Peppino), Rosario Petix (Faro, amico di Peppino(, Ettore Belmondo (Maresciallo Travali), Giovanni Cintura (Gaetano Badalamenti), Giuseppe Moschella (Maresciallo Seri), Alfredo Li Bassi (Salvatore Palazzolo),

Trama: il film racconta la vita di Felicia Bartolotta dopo l’uccisione del figlio Peppino Impastato, avvenuta il 9 maggio 1978 a Cinisi per opera della cosca mafiosa di Gaetano Badalamenti. La prima ricostruzione dei Carabinieri lascia pensare a un attentato messo in atto dallo stesso Peppino, poi rimasto egli stesso vittima. La madre Felicia, il fratello Giovanni e i vari amici del giovane non si arrendono a questa versione ufficiale dei fatti, sostenendo che l’attivista è stato ucciso dalla mafia per la sua attività politica di denuncia. Iniziano così a cercare le prove del coinvolgimento di don Tano Badalamenti e solo dopo tempo e con magistrati come Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto, disposti a credere alla loro versione dei fatti, riescono ad ottenere giustizia. Il film è andato in onda su Rai 1 il 10 maggio 2016 totalizzando 6.871.000 telespettatori e il 26.98% di share.

Recensione: questo film televisivo presenta dei buoni elementi tecnici di produzione, come la fotografia di Andrea Locatelli, la scenografia di Alfonso Rastelli o il montaggio di Gino Bartolini. Anche la stessa regia di Albano restituisce un racconto molto profondo dell’ostinata coerenza della protagonista a ricercare la verità per la morte violenta del figlio ad opera dei mafiosi. Considerato il format, anche le allegorie, le immagini descrittive di un contesto se volete, sono molto ben rappresentate in vari passaggi, come, ad esempio, l’omertà della cittadinanza di Cinisi quando Felicia trasmette le puntate radiofoniche di denuncia del figlio dalla finestra, con la chiusura delle imposte a rappresentare emblematicamente la chiusura di una comunità in atteggiamento omertoso. Quello che colpisce, cosa nota alle cronache, è la caparbietà con la quale un’intera parte, quella sana – che Peppino lo conosceva – con la madre in testa, non si accontenta delle verità di comodo, ma sfidando il pregiudizio e la discriminazione porta avanti con civismo la verità sui fatti della notte dell’uccisione di Peppino. Emblematico, di tanto coraggio, è che dal 2016 Felicia Bartolotta è onorata come Giusta al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano. Un film che andrebbe, spero che lo sia, sempre mostrato, assieme al film sulla vita di Peppino, I cento passi alle giovani generazioni, in vari cicli di studi, affinché rappresenti loro l’esempio per rafforzare il rispetto per la legalità e il senso civico, non sempre stabili nel nostro Paese. Menzione particolare anche per le musiche degli Agricantus, celebre band siciliana che con la worldmusic e il folk d’ambiente dona pienezza all’intero prodotto, con la chiusura affidata al brano “Sentu”.

Il film si può vedere sul sito e App RaiPlay