“Una giusta Causa”: storia di un concreto attivismo per i diritti delle donne in America.

Locandina del film con la protagonista Felicity Gones

Giovedì 8 aprile 2021, su RAI3, la programmazione serale è stata dedicata ad un recente film che racconta la storia vera di Ruth Bader Ginsburg, Prima docente universitaria, poi avvocatessa, magistrato e infine giudice della Corte suprema degli Stati Uniti d’America, che ha dedicato la propria vita a favore dei diritti delle donne e della parità di genere

Il film

“Una giusta causa” (titolo originale: “On the Basis of Sex”), regia di Mimi Leder, prodotto da Participant Media, Robert Cort Productions, USA, 2018, 120 minuti.

Cast

Felicity Jones: Ruth Bader Ginsburg; Armie Hammer: Marty Ginsburg; Justin Theroux: Mel Wulf; Sam Waterston: Erwin Griswold; Kathy Bates: Dorothy Kenyon; Cailee Spaeny: Jane Ginsburg; Jack Reynor: Jim Bozarth; Stephen Root: professor Brown; Callum Shoniker: James Steven Ginsburg; Chris Mulkey: Charles Moritz; Gary Wentz: giudice William Edward Doyle; Ben Carlson: giudice William Hudson Holloway Jr.

Trama

A metà degli anni Cinquanta, Ruth Bader Ginsburg è una delle 9 studentesse ammesse alla prestigiosa Harvard Law School, nella quale si trasferisce per seguire il marito che aveva iniziato a lavorare a New York. Ruth prosegue poi gli studi presso la Columbia University, dove consegue la laurea in legge nel 1959. Nonostante i brillanti risultati, Ruth incontra enormi difficoltà a trovare lavoro presso uno studio legale, a causa del suo esser donna. Pertanto, è costretta ad accettare un’occupazione come insegnante presso la Rutger Law School. Nel 1970, il marito le propone di rappresentare un cliente per una piccola evasione fiscale. Apparentemente si tratta di un caso modesto, che però presenta una discriminazione di genere: l’accusato deve pagare soltanto perché appartenente al sesso maschile. Ruth si presenta dinanzi alla corte d’appello e convince i magistrati dell’assurdità della legge, aprendo la strada per una maggiore eguaglianza sostanziale nella legislazione statunitense.

Recensione

Due cose mi hanno colpito profondamente di questo film, storia molto interessante che mette in risalto una personalità americana da noi quasi del tutto sconosciuta, che è stata si donna di legge, ma anche grande esempio di persona impegnata nella difesa dei diritti civili; bene, dicevo, le cose che mi colpiscono sono la caparbietà della figlia della protagonista nel sostenere la madre, pur partendo dal tipico conflitto dell’età adolescenziale tra madre e figlia, e il supporto alla causa dato dalla segretaria della stessa protagonista, che riesce a far cadere l’accento su un termine che poi condiziona oggi in tutto il mondo l’approccio verso le tematiche della parità: ovvero passare dall’assunzione nella battaglia del termine “sesso” al termine “genere”, concetto molto più moderno che nei decenni a seguire ha determinato il filo conduttore di una serie di altre battaglie che ancora proseguono, sia per la parità tra i generi che per l’affermazione dei diritti dell’identità sessuale. Ad ogni modo, questa pellicola – molto americana – racconta uno spaccato di vari decenni di battaglie per l’affermazione di principi che sembrerebbero agli occhi degli europei, e non lo sono nemmeno per noi (vedi Polonia), molto scontati. Incredibile è apprendere come nella costituzione americana siano assenti le parole “Libertà” e “Donna”, ma come di contro è presente la possibilità concreta di possedere un’arma, questione che proprio in questi giorni sta monopolizzando la cronaca e il dibattito politico d’oltreoceano. Consiglio vivamente, specie alle ragazze, la visione di questo film perchè si apprende come le rivoluzioni più efficaci sono quelle silenziose e perduranti nel tempo.

Potete rivedere il film su raiPlay a Questo link.

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Settimana molto intensa. State in campana! Update 25-26-27 giugno 😉

Care lettrici e cari lettori di OpposteVisioni, la settimana che si apre oggi è molto importante per alcuni appuntamenti che cercherò di seguire dal blog con considerazioni e, dove possibile, testimonianza diretta. Il grosso degli appuntamenti che seguirò saranno concentrati nella seconda parte ella settimana, ma andiamo per ordine.

Giovedì 25 giugno

Rilanciata qui dal blog e dal mio profilo twitter, la settimana per le battaglie sui diritti civili si apre con la manifestazione del 25 giugno in Piazza Montecitorio quando tra le 10:00 e le 13:00 porteremo germogli di legalità e ribadiremo con la campagna di disobbedienza civile #IoColtivo che la cannabis è Meglio Legale per tanti motivi, e chi segue il blog sa che sono abbastanza meticoloso nel passare informazioni e spesso ho articolato ragionamenti in merito.

Venerdì 26 giugno

Anche quest’anno c’è il classico appuntamento, come da undici edizioni, di FuoriLuogo che presenta il libro bianco di forum droghe sul consumo delle varie sostanze stupefacenti in Italia, importante strumento che da più di un decennio restituisce il focus sul consumo delle droghe nella popolazione, strumento che sarebbe utile per attuare delle corrette policy nel settore, se la politica nostrana si occupasse più della società e meno delle boiate di questo o quella leader sparate a destra o manca.

Sabato 27 giugno

L’associazione Luca Coscioni invita ad un appuntamento sul tema delle barriere architettoniche. Tra le 09:30 e le 13:30 si terrà un webinar dal titolo “no barriere, in ogni senso”, momento di approfondimento e rilancio delle iniative dell’associazione in materia di diritti delle persone con disabilità, in particolr modo riferiti alla mobilità personale. Programma, informazioni e modalità per iscriversi al convegno li trovate Qui.

Sul territorio

Inoltre sabato io e Sonia saremo impegnati in attività collaterali e riferite al Disability Pride come rete, più che come appuntamento. Saremo immersi nel contesto di Santa Severa, prima con una passeggiata accessibile alla scoperta di bellezze architettoniche e naturalistiche, ma poi coinvolti nel ragionamento della Coscioni ed usare questo appuntamento come strumenti di lancio per il più ampio tema dell’accessibilità del territorio, che comprende gli aspetti del godimento di beni artistici e naturalistici (art. 30 della convenzione ONU del 2006, NDA), fino ala rete della mobilità e alla previsione del PEBA (Piano per l’abbattimento delle barriere architettoniche), battaglia viva e attiva in molte comunità grazie alla Coscioni e ad altri soggetti della rete Disability Pride.

Quindi state in campana, non mancheranno contenuti e testimonianze su questi appuntamenti ed altri aspetti.

Buona settimana a voi tutte/i!

La coltivazione ad uso personale tra assenza della politica e supplenza della giurisprudenza

Per la campagna #IoColtivo, o almeno per le azioni concrete della mia personale adesione, ritengo importante informare, anche puntualmente, riportando la voce degli attori principali in ambito antiproibizionista, come quello del Forum Droghe. Pertanto mi sembrava importante dare conto di un appuntamento molto importante dal punto di vista del dibattito in merito alla recente sentenza della Cassazione.

Lunedì 8 giugno si è svolto un webinar dal titolo “Coltivazione di cannabis ad uso personale. Dalla Cassazione alle aule dei tribunali”, seminario online introdotto da Leonardo Fiorentini, direttore di FuoriLogo, Che ne è stato l’organizzatore. I relatori, gli avvocati Elia De caro (associazione Antigone), Fabio Valcanover, il Presidente di Magistratura Democratica e giudice di Sorveglianza Riccardo De Vito e il Direttore di Forum Droghe, già sottosegretario alla Giustizia, Franco Corleone, si sono confrontati sugli scenari aperti con la sulla sentenza della cassazione sulla coltivazione domestica di cannabis. Tutti gli ospiti hanno chiosato sull’assenza della politica in materia, quindi la mancanza dell’attività parlamentare nella produzione di leggi che diano una norma certa, ad oggi orientata, se non dettata, dalla giurisprudenza. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio, seppur per veloci schizzi, gli aspetti principali emersi durante il seminario e che denotano un rischio per lo stato di diritto per migliaia di persone, rischio aumentato dalla genericità delle norme in materia di coltivazione delle piante di cannabis.

L’avvocato Fabio Valcanover fa una lettura analitica della sentenza, evidenziando i tratti di maggior interesse per rimarcare l’indeterminatezza dettata dall’assenza di una norma che stabilisca dei parametri di valutazione. Ad esempio, egli si chiede, come si può oggi definire in senso univoco il concetto di minime dimensioni, domandandosi appunto se siano di “minime dimensioni” delle piante con la portata della sentenza in oggetto, rilevando pertanto già che non si legge una uniformità di valutazione nella stessa sentenza. La seconda questione rilevata da Valcanover si apre con la considerazione che la Cassazione potrebbe aver aperto ad una estensione di diritto sulla coltivazione ad uso domestico, anche se altri giudici potrebbero non tener conto della giurisprudenza ed appellarsi esclusivamente alla normativa vigente, comunque repressiva. Il problema consiste di fatto nel rilevare la tipicità della condotta, ovvero se sussista l’ipotesi di coltivazione di piante per la destinazione costituente reato (ovvero lo spaccio). Ma in senso positivo verso la presenza di una norma chiara, che aiuti anche il difficile ruolo del giudice nel dover valutare individualmente ogni volta, vi è anche buona parte della magistratura.

Riccardo De Vito, Presidente del sindacato delle toghe Magistratura Democratica e giudice del tribunale di sorveglianza, nel suo intervento parte dal quesito che il giudice si è posto sull’”offensività”, ovvero sulla capacità del coltivatore ad uso personale di ledere le sfere di altri diritti. Per giungere ad una soluzione vi sono due sentieri: la verifica della conformità della pianta al tipo botanico o la necessaria valutazione della lesione della salute pubblica tramite circolazione della sostanza che se ne derivi. De vito afferma che da questo bivio non se ne è mai usciti perché i criteri sono variabili, cioè non dettati per legge, ma totalmente lasciati alla singola decisione del giudice. Per questo ne vediamo alcuni propensi a spostare il discorso sulla parte dell’ordine pubblico ed altri sugli aspetti della salute pubblica. Il presidente di Magistratura Democratica rileva poi come le sezioni unite della Corte di Cassazione, in questa sentenza, hanno fatto una sorta di “mossa del cavallo”. Infatti, il reato di coltivazione si può determinare al di là della quantità e presenza del principio attivo, ma tutto questo è vero se parliamo dell’effettivo verificarsi del reato di coltivazione; infatti alcune condotte riferite all’uso personale non si possono determinare come coltivazione rilevante dal punto di vista penale. Mossa importante questa, rileva De Vito, da parte della Cassazione, perché tende a riempire i solchi lasciati dall’attività della Corte Costituzionale, che in una sentenza del 2016 afferma che è irragionevole punire chi coltiva ad uso personale e non punire chi detiene ad uso personale, che potrebbe il più delle volte essere la stessa persona, individuando in un certo senso la tipicità della coltivazione ad uso personale. Le maggiori difficoltà, rileva il giudice De Vito, stanno proprio nell’identificare con certezza la fattispecie e cita per questo alcuni passaggi della sentenza, sopratutto quelli riferiti ai “mezzi rudimentali”, “domestico”, “modestissime quantità”, che risultano essere dei concetti elastici. Inoltre, continua a chiedersi il giudice, a proposito della rudimentalità, la tecnica agraria usata per una sola pianta fa cadere il concetto di coltivazione domestica, evento tale da rendere la condotta offensiva? L’ostacolo sta proprio nel fatto che questa situazione comporta la frizione con il principio di legalità, per l’assenza della norma che ne determini i parametri; la sua personale previsione è che nell’incertezza, l’attività di polizia giudiziaria continuerà a vedere il sequestro delle coltivazioni domestiche; ma continuerà ad esserci anche una disparità di trattamento a seconda dei vari tribunali.

Franco Corleone, già sottosegretario del Ministero di Giustizia e direttore del Forum Droghe, nel suo intervento si concentra sugli aspetti di tipo culturale e le valutazioni etiche, guardando ad esempio al ruolo della cannabis terapeutica, ormai dichiarata dalla scienza come medicina. Nel tempo ogni magistrato ha scelto delle vie per risolvere la questione della coltivazione domestica, ricordando che alcune sentenze affermano che la condotta non costituisce reato se, ad esempio, la pianta non ha effetto drogante, fatto impossibile con la cannabis se considerato il valore sempre presente del THC tra i suoi componenti, anche se sotto una certa soglia. Corleone loda le prese di posizione avanzate dal punto di vista della cultura giuridica quelle della magistratura, assieme a quelle della scienza, sulla coltivazione domestica e il consumo personale di cannabis, ricordando che l’attuale ministra Lamorgese, come l’ex ministro degli interni Salvini, condivideva recentemente l’idea di eliminazione della previsione di “lieve entità”, rischio anche per questa sentenza della Cassazione, che riceverebbe così un duro colpo rispetto a future applicazioni. Corleone auspica che il Parlamento valorizzi la sentenza della Cassazione, al fine di mantenere la previsione dei fatti di lieve entità e che affronti quanto prima la discussione su una norma che legittimi la coltivazione ad uso personale.

Ad un certo punto mi sono chiesto una cosa semplice, prendendo spunto dalla situazione personale . Rispetto a questa indeterminatezza, considerando che comunque potrebbero restare da un procedimento le sanzioni amministrative, come quelle sulla patente di guida; nello specifico facevo presente che come persona non vedente non ho molte altre possibilità di riuscita nella coltivazione ad uso personale se non con l’impiego di qualche piccolo mezzo, necessario per lo sviluppo di una biomassa vegetale (box e lampada) considerando la doppia caratteristica di contesto urbano e necessità di utilizzare spazi ridotti. Sulla mia domanda, l’avvocato Elia De Caro osserva che è difficile, appunto, dare risposte certe, proprio perché dipende dagli operatori che si possono incontrare; egli rileva il mutare della coltivazione, anche per la contingenza del contesto urbano, dove essa praticata in esterno non è possibile. Un consiglio pratico che deriva dalla mia domanda è quello di cercare di evidenziare sin da subito la finalizzazione della coltivazione per il consumo personale e determinare pertanto l’assenza dell’indice di cessione. Concretamente, consiglia De Caro, dichiarare sin da subito nel controllo di polizia che si tratta di coltivazione ad uso personale, legando questa dichiarazione a quella di essere un consumatore e, dove possibile, indicare anche un quantitativo giornaliero e il perché del consumo.

Per concludere brevemente, occorre sempre più una presa di posizione di responsabilità della politica e il Parlamento deve intervenire per colmare il vuoto normativo, visto che c’è una proposta di legge di iniziativa popolare in merito depositata a Montecitorio dal 2016 e che dagli inizi degli anni Novanta sono stati segnalati alle prefetture più di novecentomila cittadini come consumatori.

Sarebbe il caso e il tempo di intervenire per garantire lo Stato di diritto e la certezza della norma, proprio per tutelare quelle centinaia di migliaia di persone che scelgono di consumare e coltivare la pianta di cannabis ad uso personale, se non proprio consumarla ad uso sanitario.