Rosso come il cielo: com’erano gli istituti per ciechi.

Una scena del film

“I grandi musicisti quando suonano chiudono gli occhi per sentire la musica più intensamente”.

Realizzato su un soggetto dello stesso regista, Cristiano Bortone – che ne è anche il produttore -, coautore inoltre della sceneggiatura assieme a Monica Zapelli e Paolo Sassanelli, tra le particolrità registra le musiche del compianto Maestro Ezio Bosso. Questa pellicola è stata presentata come Evento speciale UNICEF nella sezione per ragazzi “Alice nella città” della Festa del Cinema di Roma 2006, uscito poi nelle sale italiane il 9 marzo 2007; nel cast c’è un gruppo di ragazzini di dieci anni di cui alcuni realmente ciechi.

Il film

Rosso come il cielo, Italia, 2005, regia di Cristiano Bortone, Durata 95 min., drammatico

Cast

Luca Capriotti (Mirco), Paolo Sassanelli (don Giulio), Marco Cocci (Ettore), Francesca Maturanza (Francesca), Simone Colombari (padre), Simone Gullì (Felice), Rosanna Gentili (madre di Mirco), Norman Mozzato (direttore della scuola),

Trama

Mirco, un bambino che nel 1970 ha dieci anni, in seguito ad un incidente col fucile del padre perde la vista. I genitori sono costretti a fargli frequentare un istituto per ciechi a Genova, dove inizia un particolare percorso di consapevolezza di sé e del mondo. Lì, non riuscendo ad usare il braille, trova stimolo in un vecchio registratore e riesce a inventare delle favole fatte solo di rumori e narrazione. Nel frattempo, il piccolo protagonista, conosce Francesca, la figlia della portinaia della casa accanto all’istituto, cominciando così un’amicizia nonostante non potessero incontrarsi. Mirco coinvolgerà sempre di più tutti gli altri bambini ciechi nella sua passione delle favole sonore, facendo capire a loro quanto valgono e quanto siano simili a tutti gli altri ragazzini. Alla fine il maestro organizza una recita creata dagli allievi e tutti i genitori ne rimangono colpiti. Il film è tratto da una storia vera: infatti, prima dello scorrere dei titoli di coda, si legge: “Mirco è uscito dal collegio a 16 anni. Nonostante non abbia più recuperato la vista, oggi è uno dei più riconosciuti montatori del suono del cinema italiano”, alludendo alla possibilità di riuscita anche quando tutto è apparentemente perso, come insegna la storia di Mirco Mencacci.

Recensione

La visione di questo film, magistralmente diretto da Bortone e con una capacità di interpretazione dei ragazzi del cast da pelle d’oca, per chi come me ha frequentato (anche se in epoca differente) gli istituti speciali per ciechi comporta un grande trasporto emotivo. Anche un ex interno tra i più induriti nel cuore e nello spirito, non può non rivedersi nelle vicende e nelle dinamiche raccontate nella pellicola. Non nascondo di aver pianto, cosa che mi capita raramente davanti ad un film. La prima volta che l’ho visto ero senz’altro in una situazione di estrema sensibilità per vicende personali, ma il riemergere dopo anni di tante sensazioni, frustrazioni e successi, dinamiche e racconti vissuti in prima persona nella frequenza degli istituti mi ha riportato indietro nel tempo, ad un’infanzia particolare, dove assieme all’Amore di una famiglia c’è stata la necessità di affrontare una separazione da essa, per la questione legata all’educazione e alla formazione che, nei luoghi di origine, allora non era possibile. Solo molto dopo è arrivata l’integrazione scolastica, ma proprio a partire da vicende come quelle di Mirco. Infatti siamo agli inizi degli anni Settanta, dove istanze sociali e rivendicazioni sindacali si toccano e la spinta del cambiamento di questa insolita commistione (all’epoca molto più forte, fatemelo dire) porta ad una serie di riflessioni generali che dall’anno successivo inducono le istituzioni a rivedere quel modello indubbiamente ghettizzante. Infatti in un decennio, partendo da alcuni Decreti del Presidente della Repubblica del 1971, si giunge alla legge sull’integrazione scolastica del 1977 e all’istituzione della figura dell’insegnante di sostegno, che porterà nel periodo 1980-2000 ad affermare definitivamente i processi di inclusione socio-scolastica e alla definitiva chiusura degli istituti speciali come luogo deputato alla formazione dei ciechi e degli ipovedenti. Bene, tutto quanto si vede nel film è autentico, anche la domanda, scioccante in apparenza, che apre l’esperienza di Mirco in istituto: “Ma tu, quanto ci vedi?”, domanda che in apertura di anno scolastico oppure in presenza di un uovo arrivo ho fatto e mi sono sentito rivolgere molte volte.

Consiglio a chiunque, soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, la visione di questo film, sia per assimilare l’importanza della formazione e dell’istruzione, sia per capire fino in fondo la necessità di abbattere lo stigma che accompagna ognuno di noi in prossimità di esperienze aliene dalla presunta “normalità”, come è appunto l’handicap visivo.

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