Ci sono ancora dei porti…

Il mare di Tricase porto con il profilo della costa

“Il sapere ha un piede in mare e l’altro in terra”, anonimo.
Quercia vallonea di Tricase , esemplare ultracentenario detta dei cento cavalieri

Nel Capo di Leuca

Il proverbio citato rende l’idea di ciò che rappresenta un luogo emblematico dell’incontro tra cultura marinara e civiltà contadina. Il Capo di Leuca ospita un suggestivo scenario che evoca la vita in tutti i suoi aspetti, Tricase Porto. Non finis terrae, ma centro del Mediterraneo, è il grande insegnamento che si coglie dal visitare questi luoghi, dove il mare è importante come la campagna, dove la saggezza di popolazioni miti ha arricchito una profonda cultura locale, basata sull’accoglienza.

L’iniziativa

Gruppo di lavoro presso la sede del chieam di Tricase porto

«Infondo, cosa vuol dire autentico se viviamo un luogo basato sul meticciato?», questa è la domanda che si pone al principio della tre giorni organizzata a Tricase Porto dal CIHEAM Antonio Errico, Presidente di Magna Grecia Mare, Associazione che con la Cooperativa Terrarossa Presieduta da Daniele Sperti ha curato un Educational Tour per presentare in chiave di responsabilità un luogo non tanto e non solo vocato in via esclusiva al turismo, quanto intimamente fondato sul principio dell’accoglienza.

L’esperienza

Gruppo di lavoro in visita alla quercia dei cento cavalieri

Con Sonia Gioia di Cucinabili Visioni Ho partecipato dal 22 al 24 ottobre 2021 in rappresentanza del Disability Pride Network all’iniziativa, che porta il titolo di questo post, per testare anche la capacità di rendre accessibile le offerte di fruizione lenta e sostenibile del territorio tricasino, già vocato alla tolleranza e all’apertura delle braccia per accogliere in grembo chiunque voglia sostare. «Ci sono ancora dei porti» è una frase tratta da uno scritto del giornalista Gabriele Romagnoli, nel più ampio ragionamento e testimonianza da Tricase Porto. Su SinapsiMag E sulla stessa pagina del Disability Pride Network troverete testimonianza nei prossimi giorni di ciò che è stata l’esperienza, ma anche delle suggestioni che ci portiamo dentro al ritorno a Roma, interiorizzando l’importanza che ha per la crescita della persona un porto vero, come appunto suggerisce lo stesso Romagnoli.

Tricase comunità accogliente

Il porto di Tricase visto dall’alto con varie imbarcazioni ormeggiate

Per i lettori di Opposte Visioni vorrei sottolineare in anteprima degli aspetti di quella comunità che mi hanno molto colpito, punto di partenza per tutte le riflessioni e i contributi che seguiranno. Traendo spunto dallo Statuto comunale di Tricase, possiamo ricavare delle informazioni preziose per comprendere anche il tentativo che il territorio esprime in chiave concreta di quegli stessi principi, filo conduttore che seguirò per le testimonianze future.

Leggiamo dunque al secondo comma dell’articolo 2 dello Statuto di Tricase, dedicato ai  Principi generali, che: «La comunità locale è costituita: Dai residenti. Dai residenti anche se domiciliati all’estero e/o fuori del Comune di Tricase. Da tutti coloro che hanno un rapporto qualificato per ragioni di lavoro, di studio, di utenza dei servizi, o che scelgano di soggiornarvi anche temporaneamente/periodicamente». Quest’ultimo aspetto è molto significativo, perché nella comunità ospite viene data pari dignità anche a quei cittadini che soggiornano periodicamente, ovvero ai turisti/visitatori di Tricase. Tale dignità viene ribadita poi nella lettera D dello stesso comma, dove leggiamo che: «Primo dovere del Comune è il governo della città a misura d’uomo(…) ».
Dunque l’umanità è posta al centro della carta fondamentale di Tricase, a prescindere dalla provenienza o dal motivo che spinge la persona a vivere la comunità; risulta subito chiaro come questo tratto sia evidentemente ispirato da una cultura marinaresca dove il porto è luogo di accoglienza per chiunque lo necessiti.

Tale visione è rafforzata leggendo l’Articolo 3, dedicato agli Obiettivi fondamentali, che riporto di seguito in sintesi: «Il Comune di TRICASE informa il proprio ordinamento ai seguenti principi: la centralità della persona umana; l’affermazione della cultura dell’accoglienza, quale condivisione dei bisogni degli altri, senza distinzione di razza o provenienza; la partecipazione sostanziale alla vita della comunità, perché il cittadino sia parte consapevole dei processi decisionali; la solidarietà, il volontariato e la gratuità dell’impegno sociale come valori di convivenza civile; la valorizzazione della cultura originaria e della memoria storica della comunità; (…) il raggiungimento della piena integrazione delle realtà del mezzogiorno in quella più ampia e strutturata del Continente europeo e del bacino del Mediterraneo; (…) superare gli squilibri sociali, garantire i diritti dei soggetti svantaggiati, riconoscere il ruolo sociale delle donne, sostenere le libere forme associative; (…) tutelare e recuperare l’ambiente e il patrimonio storico/culturale; (…) qualificare i servizi erogati, elevandone gli standard anche mediante il metodo delle “carte dei servizi”, basate su criteri di trasparenza, accessibilità, responsabilità e sul principio della collaborazione tra cittadini-utenti ed operatori pubblici».

Le parole chiave contenute in questi due articoli dello Statuto si respirano nelle atmosfere vissute nella tre giorni, con un grande impegno di Terrarossa, Magna Grecia Mare e dello stesso ente promotore, di respiro internazionale, quale il Ciham. Occorre però che tutto venga supportato da un maggiore impegno degli operatori privati e delle istituzioni pubbliche locali affinchè lo stesso documento comunale si tramuti in una piena affermazione non tanto di diritti, diretta conseguenza, ma di un modello equo di integrazione nel tessuto della comunità di chiunque voglia vivere e visitare Tricase, con le proprie specificità.

Sessione finale con consegna di brochure braille nella sede del ciheam. Nella foto Massimo Zuccaro, Daniele Sperti e Antonio Errico pronti a ricevere il plico da me

In conclusione Tricase, il suo porto e tutto il territorio si presta alla piena accessibilità di luoghi e servizi, occorre solo gettare il cuore oltre l’ostacolo e realizzare con un modello concreto e vivo tutti quegli elementi che si leggono nella Carta tricasina. Chissà che questo messaggio non venga colto a pieno da imprenditori ed amministratori, perché le manca poco per divenire una comunità pienamente inclusiva, anche nel turismo.

Buon vento alle tricasine e ai tricasini, lo auguro di cuore.

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#IoColtivo appunto 3: considerazioni dopo il raccolto.

Io che m’accendo una canna

Premesse

Questo post di chiusura dell’adesione Estiva” alla campagna #IoColtivo ha in sé una serie di note sugli esiti della coltivazione, oltre a valere come coming out di consumatori. Questa premessa per dire che siamo giunti alla fase conclusiva del ciclo di coltivazione delle nostre due piantine, una per me e una per la cara consorte, che ci hanno fatto compagnia in salotto per circa 10 settimane. Qui avevo dato le informazioni della varietà scelta, anche in funzione dell’adesione alla disobbedienza civile, con una serie articolata di ragionamenti che ci hanno indotto ad optare per una auto, ovvero una genetica che in tempi determinati giunge a fioritura.

Com’è andata?

Nel corso dell’esperienza sono intervenuti piccoli e grandi imprevisti, evento non raro per chi coltiva cannabis ad uso personale in maniera artigianale e domestica. Il livello di difficoltà è paragonabile a quello di tenuta della vigna, dove sono moltissimi gli aspetti da dover considerare affinché esca fuori prima dell’uva sana, poi di conseguenza un buon vino. Ma volendo restare sul livello domestico, è come se una pianta di peperoncini ad un certo punto ha bisogno di un livello di attenzioni particolari, cosa non rara, se si considerano ad esempio alcune genetiche che badano si al frutto, ma anche alla sua qualità. Una pianta di Habanero o un Carolina Reaper ha bisogno di certi accorgimenti affinché frutti secondo quella data genetica del cultivar. altrimenti fruttano poco, non fruttano proprio o i frutti non sono all’altezza della qualità che ci si aspetta, come è capitato a noi. Bene, per la cannabis è uguale. Nel video presente alla fine di questo contributo do una sorta di motivazione “politica” alla disobbedienza civile, ma di seguito vorrei precisare gli effetti della coltivazione domestica.

Le piantine ormai fiorite prima del raccolto

Il problema da stress di calore è stato l’inaspettato fuori programma del quale non abbiamo avuto prontezza, anche perché inizialmente non si è manifestato come problema, bensì come virtù, con un’esplosione della biomassa del tutto inaspettata. Questo però, nonostante gli sforzi di arieggiare il piccolo box usato e l’aver inserito due sole piantine, una a testa, non ci ha comunque messo al riparo dai più nefasti effetti della problematica più banale. Tante le considerazioni e le scelte per il futuro che deriveranno da quest’esperienza, ma sui tecnicismi ritornerò più dettagliatamente nella prossima disobbedienza civile, ovvero il box autunno-inverno!

Un fiore essiccato

Dalla foto potete vedere come i fiori secchi non siano compatti, problema caratterizzato dalla presenza di piccolo fogliame nella spiga dell’inflorescenza, circostanza che non permette una perfetta compattezza della resina, oltre che uno stato di generale sofferenza della pianta nella fase finale della vegetazione e in tutto il periodo di fioritura. L’effetto è tutto nel raccolto esiguo. La qualità della resina, i profumi e gli effetti terapeutici/psicotropi non sono compromessi, ne è compromesso solo l’aspetto quantitativo e un po’ la forma dell’inflorescenza, non soda e compatta. ma da consumatori di grande modestia diciamo che ci accontentiamo dei 15 grammi circa di fiore secco che le piante ci hanno complessivamente reso dopo 8 settimane di ciclo vitale più 8 giorni di essiccazione e alcuni giorni di concia per far risaltare profumi e gusto.

Mai avere fretta

Per concia, rivolgendomi ai meno abituati a certe terminologie, si intende una fase di riposo dei fiori in un vasetto di vetro, al buio, di tanto in tanto da aprire e smuovere delicatamente per evitare la formazione di muffe e dare ai fiori essiccati la possibilità di recuperare un minimo di umidità, utile alla maturazione della resina e alla degradazione delle varie sostanze, processo chimico che rende più efficace la relazione tra CBD e THC.

Che ne è venuto fuori?

L’effetto, già dalle “primizie” rubate, è assolutamente gradevole, molto rilassante e distensivo e concilia non poco il sonno notturno. Molto del merito di ciò che abbiamo raccolto è dei prodotti usati, biologici, che ci hanno permesso di aver dei fiori seppur scarsi e bruttini, comunque gustosi. Come certi frutti minori dell’orto del vecchio nonno di una volta, che non erano bellissimi da vedere, ma poi una volta mangiati e assaporati restituiscono sensazioni piene e godimento sin nell’anima, oltre che delle papille gustative. Da salentino penso ad alcune varietà di perette o melette che spesso tradivano l’estetica a vantaggio della bontà.

Ci siamo concessi anche un recupero di parte del fogliame per un uso alimentare e Nel blog di Sonia potrete trovare alcuni esempi, come un gustoso Risotto

Risotto zafferano e foglie di cannabis

Messaggio alla nazione!

Nel video di coming aut che segue altre riflessioni in merito e una piccola dimostrazione dell’assoluta domesticità, tranquillità e placidità di un consumatore di cannabis, trasformatosi per l’occasione in modesto coltivatore domestico per soddisfare fini terapeutici in assenza di una normativa che consenta il libero commercio della pianta più innocente e odiata al mondo. Scusate strafalcioni e imparpagliamenti!

Videomessaggio di un fumatore di ganja

Per concludere

Con questo ciclo contiamo di stare a posto un paio di mesi, ma presto ci riproporremo. Ad ora cos’altro dire, buona cannabis a tutti…

…e buona disobbedienza civile! 😄

Cannabis al marito 80enne con patologia neurodegenerativa: “Ho gridato al miracolo”

Nel mio percorso antiproibizionista ho attraversato il dubbio in prima persona. Non e facile sicuramente credere agli aspetti positivi di questa pianta. La natura umana spesso deve appoggiarsi all’esperienza diretta per credere che qualcosa sia possibile.da storico consumatore per scopi ricreativi, quando ho visto una cara persona a me vicina con sclerosi multipla avere degli effetti benefici dalla cura con cannabis terapeutica sono rimasto senza parole. Dalla sedia a rotelle con spasmi alla posizione eretta e con i nervi rilassati. Non parlo sicuramente della mia mutazione nel consumo, i problemi non sono così gravi. Anche se ad esempio ho risolto quelli di sonno. Comunque, vi invito a leggere questa storia emblematica, che insegna tante cose. Prima di tutto che non ci sono limiti culturali, anagrafici o concettuali per ammettere gli enormi vantaggi di cura a base di questa pianta. La seconda cosa importante è l’alternativa che rappresenta rispetto ai farmaci o piace i, veramente pericolosi. Veramente dannosi. Veramente velenosi. Che soprattutto, per esperienza diretta, non servono assolutamente a nulla. Il terzo insegnamento, il più importante, è l’assoluta malafede di buona parte della classe medico-scientifica, non guidata dall’amore per la scienza e dalla missione di cura verso i pazienti, bensì spesso soverchiata da allo Stigma. Quale sarebbe? Medicine a base di oppio, naturale o sintetico, si.medicine a base di cannabis, naturale ed efficace, no. Questa, dalle mie parti, quelle dell’intelletto, si chiama malafede. Buona lettura

“Gli ho dato la cannabis quando il badante se ne era appena andato e per non lasciare mio marito sulla carrozzina da solo, l’ho portato sulla …

Cannabis al marito 80enne con patologia neurodegenerativa: “Ho gridato al miracolo”

Voce alle guardie naturalistiche di Macchiatonda.

Tratto di costa di Macchiatonda

Lavorare con i sensi per tutelare la natura

Questo post merita un sottotitolo. L’esigenza di rimandare al lettore l’umanità e la dedizione di questi operatori non poteva esaurirsi in una sola battuta. Perché si parla in primo luogo di persone che si dedicano alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente nell’esercizio delle loro funzioni. Ma per il lavoro che svolgono è parimenti la loro sensibilità a dover essere messa in risalto, perché si tratta di personale che usa per lavoro tutte le potenzialità del nostro corpo, al fine di assolvere al meglio al proprio dovere.

La tutela dell’ambiente passa anche dalla consapevolezza nella cittadinanza del patrimonio di biodiversità e degli ecosistemi presenti sul territorio. Questo mi sembra essere il pensiero che fa da sottofondo continuo alla visita del 27 giugno scorso alla riserva di Macchiatonda, nel comprensorio di Santa Marinella, zona nord della Città Metropolitana di Roma, durante la manifestazione “Natura Senza Barriere” voluta da FederTrek e la rete del Disability Pride e realizzata grazie all’organizzazione dell’associazione Il Paese che Vorrei.

Escursionisti di Natura Senza Barriere

Durante questo appuntamento dedicato principalmente al tema dell’accessibilità, che descrivo per linee generali Qui, il gruppo di visitatori è stato accompagnato nella visita alla riserva regionale di Macchiatonda da tre guide naturalistiche delle cinque in forze per la sua tutela. Sergio, Patrizio ed Ernesto, come i loro colleghi assenti in quel momento perché su altri turni, hanno messo a disposizione la loro competenza e voluto fortemente questo appuntamento, proprio per ripartire dall’accessibilità e dalla piena fruizione del bene comune Macchiatonda.

Per dare nuova linfa al sito e divulgare l’importanza della tutela della biodiversità, è loro convinzione, si deve partire proprio dalla sua conoscenza. I video che accompagnano questo post, infatti, raccontano di uomini in prima linea per il bene comune e la salvaguardia del patrimonio più importante che abbiamo, la biodiversità. Ma stimolati da me e da Sonia si raccontano anche non nascondendo la loro umanità. Le informazioni che emergono dai loro contributi sono tante, e molto interessanti. Non mi dedicherò in queste righe alla mera trascrizione dei video in testo, lasciandovi il piacere di godere della loro testimonianza diretta. Porrò invece, in premessa ad essi, alcune riflessioni frutto anche della chiacchierata a camera spenta avuta durante il percorso. Una prima cosa che emerge è come occorre investire di più in personale – e con più funzioni – nell’attività di salvaguardia, controllo e monitoraggio delle aree come Macchiatonda; qui, ad esempio, 5 persone dedicate alla sorveglianza mi sembrerebbero poche e, alla precisa domanda se il personale è sotto organico (come gran parte delle pubbliche amministrazioni), la risposta è scontata. La pianta organica dedicata sarebbe di otto, ma fanno i salti mortali per coprire adeguatamente i due turni previsti solo loro cinque. Ma non è polemico l’intento di questo post, anzi vuol essere elogiativo proprio di coloro che vi lavorano, quindi proseguiamo con la passeggiata.

Dalla finestrella di osservazione degli uccelli

Mi colpisce la consapevolezza degli operatori del concetto di fruibilità e accessibilità. Non lo si pretenderebbe da persone abituate a lavorare lontano dall’uomo e immerso nella natura, eppure loro sono i primi che in modo molto naturale, passatemi il termine, e consapevole sanno dell’importanza di rendere fruibile Macchiatonda. Un’altra cosa che mi ha impressionato positivamente è stata la capacità di comunicare la loro profonda natura umana. Nel senso che qui, come tassello della biodiversità, anche l’uomo usa le sue capacità sensoriali per adattarsi all’ambiente circostante. Proprio come le guardie naturalistiche, persone che usano tutti i loro sensi per monitorare, sorvegliare e salvaguardare la riserva, fondamentale per il patrimonio di vita dell’area costiera a nord di Roma.

Sergio e il canto degli uccelli

Sergio ci racconta dell’importanza del canto degli uccelli per monitorare lo stato di salute dell’ambiente e come la vista, in quest’attività, non serva quasi. “Sento tutti i giorni il canto di uccelli che poi vedo si e no un paio di volte all’anno”. Eppure Sergio conosce e sa precisamente dove trovare colonie di questo o quel volatile all’interno dell’area protetta. Dal suo racconto emergono poi tante altre informazioni, molto interessanti e che denotano anche delle contraddizioni. Ma il percorso in sua compagnia inizia con il farci assaggiare un frutto amarissimo, spontaneo, che è presente nel parco e nel circondario, anche se molto raro. Il Prugnolo è infatti una specie edule ormai in disuso, della quale l’uomo non si ciba più.

Il prugnolo

Grazie al supporto di Sonia, durante la chiacchierata con Patrizio nel secondo video viene fuori anche una ricetta per trattare questo frutto minore ed ottenere una confettura da questo dono della natura ormai disdegnato dal palato sgraziato di un’umanità che ha smarrito il rapporto privilegiato con i sensi e la natura circostante.

Pianta di prugnolo

Sempre con Sergio, durante il tratto di spiaggia al margine della riserva, emerge anche l’uso di un’altra pianta edule che da salentino ben conosco, il celebre “asparago di mare”, ormai riposto nella tradizione di pochissime comunità locali.

La spiaggia di Macchiatonda

Sulla biodiversità vegetale del parco e la loro struttura, Patrizio ci da un veloce accenno, proprio per riprendere parte del contenuto della passeggiata che, sia lui e sia Sergio, hanno divulgato nei due gruppi che componevano la platea di quel giorno, divisa appunto per rendere maggiormente fruibile il tempo a noi dedicato e rispettare le norme sul distanziamento fisico a causa del Covid19.

Patrizio ed Ernesto tra biodiversità e natura umana

Un altro aspetto emerso nel dialogo continuo con tutti gli operatori del parco coinvolti, del quale abbiamo parlato con Ernesto, è il ruolo dei sensi nello svolgimento del loro delicatissimo lavoro. Ad esempio, per comprendere lo stato di salute della natura circostante, un ruolo lo ricopre anche l’olfatto. Inebriati si dai profumi, esso restituisce anche un’importante sentinella in funzione di prevenzione degli incendi. Chiude poi Ernesto con una battuta, ovvero su come si ritorna alla vita sociale dopo un turno di lavoro in questo paradiso. Ebbene, non è facile!

Raccogliendo il loro appello, ribadito sia all’inizio della passeggiata che durante la pausa nell’area pic-nic, invito chiunque si trovi a visitare Macchiatonda a scrivere alla Direzione Ambiente della regione Lazio per segnalare ogni cosa possa migliorare e rende più fruibile quest’area naturalistica. Macchiatonda merita l’attenzione di tutti. E la merita anche per il lavoro di queste persone che dedicano un’intera vita professionale alla tutela di un bene che spesso ci dimentichiamo di avere sul territorio e che passa in silenzio accanto a noi ogni volta che lambiamo con l’auto la riserva di Macchiatonda percorrendo la via Aurelia.

Se non ora quando! Impressioni su #Iocoltivo a Montecitorio

Spinello con Montecitorio sullo sfondo

Nelle righe che seguono alcune riflessioni, ricordi, notizie, fotografie e video frutto della giornata del 25 giugno scorso, quando di fronte al parlamento italiano è arrivata la protesta di chi vuole la canapa legale.

Riccardo Magi con una pianta di canapa in mano.. Foto @facebook

“Arrivando in questa piazza sento il profumo, il buon profumo della libertà”. Così apre il suo intervento il deputato Riccardo Magi nella manifestazione di giovedì scorso a Montecitorio per chiedere una revisione della politica proibizionista sulla cannabis. In effetti in piazza un buon profumo si sentiva, di una cannabis coltivata per vari usi e che spandeva aromi piacevoli fra tutti i partecipanti, che seppur seguendo ogni norma prescritta, hanno superato le aspettative degli stessi organizzatori.

Panoramica della piazza

Parlamentari, malati, imprenditori, medici e semplici consumatori hanno ascoltato partecipi molti interventi che ribadivano la necessità di una netta politica antiproibizionista sulla cannabis per tante ragioni. In anticipo sulla presentazione del libro bianco sulle droghe al Parlamento di quella stessa mattina, sono intervenuti molti rappresentanti del network di Forum Droghe, che ha elaborato il libro bianco, ma anche associazioni, rappresentanti del mondo dei Cannabis social club, della canapa legale, gruppi di consumo e tantissime altre realtà.

La manifestazione si apre con la notizia diffusa da Marco Perduca del fermo di Matteo Mainardi dell’associazione Luca Coscioni per aver portato in piazza la sua pianta coltivata durante la campagna di disobbedienza civile.

Il fatto è conseguenza di ciò che sia in apertura in piazza che come preannunciato dalla stessa coordinatrice di #IoColtivo Antonella Soldo già dalla sera prima, comunicando che la questura aveva emesso una diffida in tal senso verso la sua persona, come potete sentire Qui..

MeglioLegale ha attivato una raccolta fondi, che consiglio di sostenere anche con una cifra simbolica, per fare fronte alle spese legali per Matteo e tutti coloro che avranno conseguenze per aver aderito alla disobbedienza civile coltivando una piantina di cannabis in casa.

Antonella Soldo

Tornando alla piazza, Antonella Soldo apre la manifestazione ricordando come la questura di Roma, come era suo compito fare per avere ricevuto la notizia che volevamo portare delle piante e procedendo al fermo di Matteo Mainardi, da ironicamente la notizia che ci sono più di 2000 persone autodenunciate sui social come coltivatori e sono stimati più di 100000 persone che ogni hanno si autoproducono cannabis in forma domestica, invitando le forze dell’ordine a venire a cercarci a casa. Sono le 10:30 del mattino circa e l’entusiasmo già è alto.

Intervento di Antonella Soldo
Filomena Gallo

Interviene poi Filomena Gallo, segretaria della Luca Coscioni, ricordando la proposta di legge Legalizziamo Afferma come la maggioranza di adesso avrebbe i numeri per approvare questa o altra legge in merito. Ricordando poi il proprio timore verso le sostanze stupefacenti, per sottolineare che nessuno stigma deve giustificare il proibizionismo, ribadisce anche come pur non essendoci una regolamentazione sulla cannabis ne esiste un mercato che, in sostanza, è giunto il momento di definire con regole certe, oltre a denotare il fatto che l’Italia comunque ne è produttrice. Segnalo una simpatica risposta a Filomena da Benedetto della Vedova, segretario di +EUROPA, che ricordando nel suo intervento anche le trascorse battaglie antiproibizioniste con Marco Pannella, ha rivendicato un proprio passato da consumatore.

Intervento di Filomena Gallo
Emma Bonino

Un altro intervento molto atteso è quello di Emma Bonino, parlamentare di +EUROPA e memoria storica delle battaglie antiproibizioniste. Più di un momento è stato dedicato al ricordo appassionato della figura di Marco Pannella e di altri storici attivisti per l’antiproibizionismo sulla cannabis nel nostro paese. La senatrice ha affermato con forza il concetto che “il mio non voglio, non deve trasformarsi in un tu non puoi”, scatenando un applauso accalorato da tutta la piazza, generalmente commossa per l’accorato appello alla pazienza nela battaglia per la cannabis, “perché prevedo che sarà ancora lunga”, afferma la storica rappresentante radicale, affidando alle nuove generazioni questa lotta per le libertà personali.

Un intervento che mi ha entusiasmato è quello del rappresentante di DolceVita che ha racchiuso in una battuta molto semplice tutto il discorso: “la cannabis, per quello che ci vorrà per adeguarsi anche in Italia, ha già vinto”.

Molto efficace e diretto è stato Franco Corleone del Forum Droghe, andando a presentare il documento alla camera dei Deputati, ha ricordato ai parlamentari presenti che non è il momento di attendere, richiamando alla responsabilità anche loro stessi dell’intergruppo,, perché si assumano il peso su ogni ritardo, e all’Intero Parlamento, che voti e si esprima in merito prendendosi ovviamente la responsabilità della decisione, in qualsiasi direzione vada.

Per brevità non cito tutti gli interventi e le realtà, ricordando che il network legato alla campagna IoColtivo è molto ampio e, nonostante la defezione del Partito Radicale di Rita Bernardini, compatto e presente in piazza, una piazza comunque pacifica, aperta al dialogo e ad accogliere chiunque voglia sostenere questa battaglia di libertà e di affermazione dello stato di diritto; Marco Cappato, a tal proposito, nel suo intervento ha richiamato all’unità e compattezza del fronte antiproibizionista e molti assieme a lui hanno ricordato come il fronte proibizionista invece è unito e accecato dall’unica volontà di discriminare una pianta che invece è la soluzione di molti problemi.

Tutti hanno espresso comunque la necessità di adeguare le politiche sulla cannabis al trend internazionale, fortemente orientato su posizioni di revisione della politica di repressione al narcotraffico riferita alla cannabis.

Spero di non dover attendere ancora a lungo, considerando la presenza della proposta di iniziativa popolare già da quattro anni in Parlamento e che numerose sono le iniziative sul tema, a partire dall’emendamento ai decreti economici a prima firma di Riccardo Magi per la normazione definitiva della Cannabis Light, vero paradosso del proibizionismo all’italiana, che come ricordava Perduca ed altri tocca per fissazione anche la non droga pur di colpire una presunta droga.

Se la assumo senza THC è canapazzo, se la fumo per curarmi è cannabis, se la compro per strada è Marijhuana, ad ogni modo la canapa è l’unica pianta concretamente perseguitata nel nostro paese, come emerge dal Libro bianco del Forum droghe che registra come il 94% dei sequestri di polizia di sostanze droganti riguarda la cannabis.

E ad ogni modo, anche quando la fumo per un mal di testa, mi ricordano le rappresentanti di Canapè la sto assumendo a fini terapeutici. I confini tra gli usi sono labili e il proibizionismo tenta solo di definirne di nuovi su nessun presupposto.

In verità però è il proibizionismo ad essere nocivo e deve essere abolito, questo emerge e questo ribadiamo costantemente anche con la disobbedienza civile.

La piazza di giovedì 25 era colorata, determinata, pacifica, profumata e allegra, soprattutto allegra, perché l’auspicio di vedere con i propri occhi il cambiamento del mondo grazie alla cannabis, anche in senso di economia green, riaccende gli entusiasmi e la speranza per un mondo migliore.

Risulta ormai chiaro a tutti, è il momento di legalizzare la cannabis. Se non ora, quando?

#IoColtivo appunto 2: l’esperienza e il perché la cannabis è #MeglioLegale

Premessa

Giunti al giorno della manifestazione in piazza Montecitorio, mi sembra il caso di aggiornare anche sulla Personale esperienza di disobbedienza civile con #IoColtivo e fare il punto da qui in avanti anche degli esiti fattuali della campagna antiproibizionista. Ma in apertura di giornata vediamo una serie di informazioni che non avevo esplicitato sinora, tenendo conto che si tratta di una parte importante del mio personale modo di aderire alla disobbedienza, ovvero rendere palese ogni particolare e ricondurre ad una logica conseguenza ogni singola scelta, raccontando effetti ed esperienza della coltivazione. Al margine di queste premesse volevo sottolineare il fatto che mi sono preso la libertà di inserire un corredo musicale.

L’esperienza

Per sciogliere il nodo problematico del ritardo dovuto ai disagi del lockdown, abbiamo seriamente dovuto riflettere su come aderire alla campagna. Nel mentre è intervenuta il deposito della Sentenza della cassazione e c’è stato l’avvio della campagna #IoColtivo La primavera incedeva e noi non si partiva. Però il ritardo ci ha dato la possibilità di osservare il soleggiamento del balcone e, notando che non si prestava per quantità di luce per la coltivazione outdoor, abbiamo optato per una coltivazione all’interno. Già orientati verso l’indoor per motivi pratici, non abbiamo esitato oltremodo. Rispetto alla situazione abitativa inoltre abbiamo optato per uno spazio piccolissimo, in modo da agire in sicurezza e controllare pienamente lo sviluppo della pianta, dovendo usare prioritariamente – per ragioni di handicap – mani e tatto per la sua gestione, comportamenti comunque sconsigliati dai coltivatori più esperti. Rispetto all’aoutdoor, cioè all’aperto, l’indoor, ovvero all’interno in uno spazio controllato, c’è il vantaggio di evitare il grosso dei rischi infestazione per la pianta, dove un controllo visuale sarebbe stato importante. E noi non si vede però, quindi gioco forza si spiega perché all’interno.

La scelta

Per #IoColtivo 2020 abbiamo scelto una tipologia di cannabis che tendiamo ad evitare, ovvero una pianta automatica, che di solito ha le caratteristiche di essere programmate per produrre un elevato contenuto dei componenti psicoattivi e in generale sono scarse in termini di resa, tutto comunque in dei tempi limitati. A causa del Coronavirus siamo ripartiti in terribile ritardo e dovevamo in qualche maniera recuperare. Ad ogni modo la genetica è la BlackBerry Auto di origine canadese e con un’impronta della Ruderalis, la genetica principale che rende le piante piccole e compatte e veloci da coltivare. Promette aromi fruttati, vi farò sapere.

Come Io coltivo

Visto che in Italia siamo messi ancora al livello in cui la giurisprudenza deve cercare di creare degli squarci interpretativi per le fattispecie di coltivazione, nella sentenza della cassazione citata, come emerso anche in un webinar di Fuoriluogo da me seguito, viene richiamato esplicitamente il modo di coltivare, mi sento in dovere di sottolineare che non è facile, come spiegato, adattarsi ad una coltivazione domestica di cannabis, sia per motivi urbani sia per condizioni personali. Per ovviare a queste problematiche abbiamo optato per un box molto piccolo, 60X60X158 CM, illuminando con una lampada con tecnologia Agro, utile per tutte le fasi di sviluppo e maturazione delle piante, da 400 Watt. Correlando il tutto con un impianto di areazione interna e di estrazione dal box. Di che si tratta? Un ventilatore e una ventola… Null’altro. Più rudimentale di così!

A che punto siamo

Nel corso di queste prime cinque settimane abbiamo anche affrontato tutta una serie di difficoltà per tipologia di cultivare e ci è capitato, oltre che per specifiche peculiarità della cannabis e delle sue specifiche genetiche, di dover intervenire sulle attrezzature, ma alla fine nulla di grave e per fortuna il recupero delle difficoltà sono rientrate facilmente. Ad oggi siamo a metà del periodo di maturazione. La più grande, la mia, misura 80 cm. La più piccola, di Sonia, 60.La più grande, la mia, misura 80 cm. La più piccola, di Sonia, 60.

Le aspettative

Ci aspettiamo un raccolto esiguo, ma sufficiente per affrontare il tempo di un’altra piccola coltivazione invernale. Speriamo che venga fuori buona qualitativamente, anche se è una speranza auspicabile perché tendenzialmente usiamo semplici tecniche e prodotti biologici, senza esagerare e senza lasciare al caso. Ma gli esiti, per queste genetiche create in laboratorio e adatte all’indoor, ma molto delicate e bisognose di molta specialità e attenzioni. Gli effetti ad oggi non sono cattivi, ma sino all’ultimo sono incerti e non si può mai dire con sicurezza come andrà, oltre che adottare la necessaria pazienza, la quale induce ad una smisurata prudenza. La BlackBerry Auto promette fiori profumati, non eccessivamente carichi di thc, ma abbastanza per l’effetto analgesico e per aiutare il sonno notturno.

Il perchè

Tutto questo, care lettrici e cari lettori di OpposteVisioni, l’ho voluto raccontare per rendere palese i particolari di una precisa volontà: autoprodurre cannabis per il mio personale fabbisogno. Credo nelle sue proprietà, non nuoccio ad altri, non nuoce a me, anzi. Lo Stato potrebbe guadagnarne, la società ne guadagnerebbe tantissimo. Evidente anche questo e spero di riuscire a raccontarvelo attraverso gli altri contributi della campagna #IoColtivo e il tag #Cannabis. Mi preme sottolineare l’ottusità di una classe politica che, consapevolmente io credo, aiuta la criminalità con il proibizionismo, quando è da essa che dovremmo difenderci, partendo proprio dall’indebolirla e spezzare la sua capacità di occupare il mercato delle sostanze psicotrope. Grazie per l’attenzione e ai prossimi appunti.

Vecchi approfondimenti

Cara lettrice e Caro lettore del blog un po’ più giovane d’età, ti consiglio di guardare questo documentario di quasi vent’anni fa. Lo consiglio anche a chi mastica l’antiproibizionismo da un po’ di tempo, per ricordarci a che punto siamo.

Giornata della biodiversità

All’inizio era sorprendente, per me, verificare come una foto di cibi e pietanze varie riscuotesse sempre un grande successo sui social, addirittura …

Giornata della biodiversità

Vi ripubblico, per la categoria Il fatto, questo interessante articolo propedeutico alla celebrazione, il 22 maggio, della giornata per la Biodiversità, a firma di Virginia Mariani e pubblicato qualche giorno fa su VitamineVaganti.

L’occasione è utile per ricordare, a proposito di questo tema legato alla tutela ambientale, a pochi giorni dall’anniversario della sua nascita (18 maggio) e ad un mese dalla commemorazione della sua scomparsa (22 aprile 2014, proprio nel giorno della Terra) la figura dell’amico Roberto Malerba. Sconosciuto a tutti coloro che o non fossero salentini o non fossero appassionati di gelsi.

Roberto era soprattutto un amico. Una persona che ho conosciuto per caso, durante un corso di formazione che mi ha saputo conquistare con il dialogo. Un vulcano, questo era Roberto. Umile di umili origini, autodidatta e colto, esperto di biodiversità, specializzato nella gelsicultura (del Salento in particolare) e bachicultura. Un luminare in Italia nel suo settore di interesse; è un caso che non abbia scritto un libro o un compendio scientifico, anche se faceva da consulente ad alcuni docenti universitari di Lecce. Sempre impegnato, dava una grande importanza alla sua formazione continua, preso da tanti progetti, sognava la possibilità di introdurre nuovamente questo cultivar nel panorama agricolo del Salento (Collepasso per la precisione), pianta che per decenni era quasi del tutto scomparso dal paesaggio rurale salentino; inoltre stava iniziando a lavorare all’opera di catalogazione (con buona parte del materiale già raccolto) degli alberi monumentali di gelso nel Salento. Operazione che abbiamo cercato, indegnamente, di riprendere dopo la sua morte.

Con la calma nell’approccio alle cose, la profondità di veduta e l’ostinata capacità di credere fino in fondo in ciò che faceva, Roberto Malerba è stato un esempio di dedizione. Per me un onore avere condiviso parte, veramente piccola, dei suoi progetti; peccato che la creatura che tanto desiderò e per la quale lavorò alacremente cucendo rapporti tra le persone, un’associazione che si facesse carico di queste tematiche (i Custodi del Salento), poi, nei fatti, non sia sfociata in qualcosa di più. La biodiversità, questo era il suo punto di partenza; la sua tutela considerata fondamentale per il territorio, per custodirlo appunto, per trasferirlo alle generazioni successive nella maniera migliore possibile.

Oggi sorrido ricordando le discussioni, ad esempio, sul ruolo del fico d’India nel panorama della biodiversità salentina. Da lui ho imparato cos’è una pianta aliena.

Roberto il 22 aprile del 2014, giornata mondiale per la terra, due anni esatti dopo la piantumazione di un gelso nel giardino della scuola elementare del mio paese (Alliste, NDA) ed un piccolo seminario tenuto ad alcune quinte classi (prima attività associativa svolta assieme), a poco più di due anni dalla fondazione dell’associazione, è stato stroncato da un infarto mentre tornava a casa da uno degli innumerevoli seminari o attività di formazione alle quali partecipava instancabilmente.

Appassionatevi, appassioniamoci alla biodiversità e attuiamo ogni gesto per la sua tutela. Conosciamola per proteggerla. Personalmente, come motivazione in più, lo farò in memoria di Roberto, che mi manca tanto, anche oggi, a distanza di sei anni dalla sua scomparsa.