Rosso come il cielo: com’erano gli istituti per ciechi.

Una scena del film

“I grandi musicisti quando suonano chiudono gli occhi per sentire la musica più intensamente”.

Realizzato su un soggetto dello stesso regista, Cristiano Bortone – che ne è anche il produttore -, coautore inoltre della sceneggiatura assieme a Monica Zapelli e Paolo Sassanelli, tra le particolrità registra le musiche del compianto Maestro Ezio Bosso. Questa pellicola è stata presentata come Evento speciale UNICEF nella sezione per ragazzi “Alice nella città” della Festa del Cinema di Roma 2006, uscito poi nelle sale italiane il 9 marzo 2007; nel cast c’è un gruppo di ragazzini di dieci anni di cui alcuni realmente ciechi.

Il film

Rosso come il cielo, Italia, 2005, regia di Cristiano Bortone, Durata 95 min., drammatico

Cast

Luca Capriotti (Mirco), Paolo Sassanelli (don Giulio), Marco Cocci (Ettore), Francesca Maturanza (Francesca), Simone Colombari (padre), Simone Gullì (Felice), Rosanna Gentili (madre di Mirco), Norman Mozzato (direttore della scuola),

Trama

Mirco, un bambino che nel 1970 ha dieci anni, in seguito ad un incidente col fucile del padre perde la vista. I genitori sono costretti a fargli frequentare un istituto per ciechi a Genova, dove inizia un particolare percorso di consapevolezza di sé e del mondo. Lì, non riuscendo ad usare il braille, trova stimolo in un vecchio registratore e riesce a inventare delle favole fatte solo di rumori e narrazione. Nel frattempo, il piccolo protagonista, conosce Francesca, la figlia della portinaia della casa accanto all’istituto, cominciando così un’amicizia nonostante non potessero incontrarsi. Mirco coinvolgerà sempre di più tutti gli altri bambini ciechi nella sua passione delle favole sonore, facendo capire a loro quanto valgono e quanto siano simili a tutti gli altri ragazzini. Alla fine il maestro organizza una recita creata dagli allievi e tutti i genitori ne rimangono colpiti. Il film è tratto da una storia vera: infatti, prima dello scorrere dei titoli di coda, si legge: “Mirco è uscito dal collegio a 16 anni. Nonostante non abbia più recuperato la vista, oggi è uno dei più riconosciuti montatori del suono del cinema italiano”, alludendo alla possibilità di riuscita anche quando tutto è apparentemente perso, come insegna la storia di Mirco Mencacci.

Recensione

La visione di questo film, magistralmente diretto da Bortone e con una capacità di interpretazione dei ragazzi del cast da pelle d’oca, per chi come me ha frequentato (anche se in epoca differente) gli istituti speciali per ciechi comporta un grande trasporto emotivo. Anche un ex interno tra i più induriti nel cuore e nello spirito, non può non rivedersi nelle vicende e nelle dinamiche raccontate nella pellicola. Non nascondo di aver pianto, cosa che mi capita raramente davanti ad un film. La prima volta che l’ho visto ero senz’altro in una situazione di estrema sensibilità per vicende personali, ma il riemergere dopo anni di tante sensazioni, frustrazioni e successi, dinamiche e racconti vissuti in prima persona nella frequenza degli istituti mi ha riportato indietro nel tempo, ad un’infanzia particolare, dove assieme all’Amore di una famiglia c’è stata la necessità di affrontare una separazione da essa, per la questione legata all’educazione e alla formazione che, nei luoghi di origine, allora non era possibile. Solo molto dopo è arrivata l’integrazione scolastica, ma proprio a partire da vicende come quelle di Mirco. Infatti siamo agli inizi degli anni Settanta, dove istanze sociali e rivendicazioni sindacali si toccano e la spinta del cambiamento di questa insolita commistione (all’epoca molto più forte, fatemelo dire) porta ad una serie di riflessioni generali che dall’anno successivo inducono le istituzioni a rivedere quel modello indubbiamente ghettizzante. Infatti in un decennio, partendo da alcuni Decreti del Presidente della Repubblica del 1971, si giunge alla legge sull’integrazione scolastica del 1977 e all’istituzione della figura dell’insegnante di sostegno, che porterà nel periodo 1980-2000 ad affermare definitivamente i processi di inclusione socio-scolastica e alla definitiva chiusura degli istituti speciali come luogo deputato alla formazione dei ciechi e degli ipovedenti. Bene, tutto quanto si vede nel film è autentico, anche la domanda, scioccante in apparenza, che apre l’esperienza di Mirco in istituto: “Ma tu, quanto ci vedi?”, domanda che in apertura di anno scolastico oppure in presenza di un uovo arrivo ho fatto e mi sono sentito rivolgere molte volte.

Consiglio a chiunque, soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, la visione di questo film, sia per assimilare l’importanza della formazione e dell’istruzione, sia per capire fino in fondo la necessità di abbattere lo stigma che accompagna ognuno di noi in prossimità di esperienze aliene dalla presunta “normalità”, come è appunto l’handicap visivo.

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Energy Family Project: tra accoglienza e innovazione.

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Premessa

Riprendiamo il percorso di Opposte Visioni tra le tante realtà che si occupano di disabilità, dove essa è intesa, vissuta e promossa nella sua componente “attiva”, o dinamica, se preferite.

Ho sentito negli scorsi mesi per il Disability Pride Network Samuela Fronteddu, Presidentessa, ispiratrice e anima di Energy Family Project. Potete leggere il suo intervento per intero Qui. Di seguito una sintesi di quell’intervento, il quale apre spazi di riflessione che vanno ben al di là della disabilità, perché i presupposti e le modalità hanno una profondità tale da riguardare l’approccio verso una “nuova comunità umana”. Buona lettura.

L’associazione

Energy Family Project APS è un’organizzazione nazionale nata nel 2019 con sedi e gruppi attivi in tutta Italia. L’associazione supporta famiglie con bambini e singoli individui affetti da Agenesia degli arti, gravi amputazioni e malformazioni. Conosciamo questa realtà attraverso la testimonianza di Samuela Fronteddu, fondatrice e Presidentessa dell’associazione, coinvolta dall’Agenesia degli arti perché madre di Giulio, bambino menomato del braccio destro.

L’intervista

Samuela, raccontaci un po’ di Energy Family Project…

L’associazione ha trovato spazio ideale già dopo la nascita di mio figlio, ma è nata ufficialmente un anno fa. Ci occupiamo di sostenere le famiglie che affrontano queste patologie, che al contrario di ciò che si potrebbe pensare, sono tante. Uno dei nostri obiettivi è quello di creare rete tra loro. Attualmente sosteniamo 500 famiglie in tutta Italia, sia a livello morale, burocratico e terapico e registriamo ogni settimana uno o due nuovi contatti di famiglie.

Quali le problematiche più importanti che affrontate?

Ce ne sono tante. Mi preme sottolineare, ad esempio, come in Italia non sono state mai adottate linee guida fisioterapiche pediatriche per bambini con amputazione. Se nessuno le scrive, nessun bambino riuscirà , di conseguenza, a iniziare un percorso di riabilitazione, perché il personale medico non saprà come agire. In altre realtà europee si lavora con queste linee guida fisioterapiche, studiate anche dai nostri professionisti. Siamo fortemente impegnati affinché vengano adottate anche in Italia, consapevoli che ci vorranno anni.

Con quali realtà collaborate?

Nonostante l’associazione sia nata da poco, basiamo il nostro operato su una grande concretezza. Ad oggi, tra le più significative, collaboriamo con la Fondazione “Santa Lucia” (centro europeo per la neuro-riabilitazione) e il distaccamento di Palidoro dell’Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù”, con il quale abbiamo avuto un accredito recentissimo per una partnership finalizzata alla costituzione di un nuovo polo di chirurgia della mano e del piede.

Samuela, cosa rappresenta per te la diversità?

Ho dovuto confrontarmi con questo termine quando è nato Giulio. Ho imparato a comprendere che mio figlio è una persona unica, che non si è mai sentito diverso dagli altri. Il mio impegno di madre è quello di farlo sentire come tutti gli altri. Da mamma vedo oggi Giulio come un bambino e il mio impegno è farlo diventare un uomo. Quando è nata l’associazione e ho iniziato a conoscere altre madri, al di là della loro provenienza geografica o di ogni differenza etnica e culturale, ho scoperto che il dolore e la paura di quelle madri erano come le mie. Qui è nata una scintilla che mi ha spinto a sostenere e affiancare altre madri.

L’accoglienza cos’è per te?

L’accoglienza per me è tutto. Incidono sicuramente le mie origini sarde, dove abbracciare le persone vicine a me è un gesto che mi viene naturale e rappresenta l’accoglienza dell’altro. Con l’associazione cerchiamo un contatto con le persone (anche se spesso ci cercano loro) in maniera delicata, per poi farle entrare nel gruppo, sempre con gradualità e volontariamente. Alcune persone sono affamate di vicinanza. Altri si sento no protetti, ma sono diffidenti. Per noi accoglienza significa dare loro un punto di riferimento e un conforto.

Quali gli obiettivi per Energy Family Project nel il 2021?

Visti i grandi impegni che portiamo avanti, alla luce delle restrizioni che stiamo vivendo, dichiarare oggi questi obiettivi ci dà fiducia per il futuro, perché consapevoli di costruire i pilastri di un lavoro buono. Per noi gli obiettivi sono chiari e limpidi:L’adozione di un protocollo nascite per le famiglie; questo per garantire l’accoglienza della famiglia, favorendo i processi di socializzazione con altre famiglie già coinvolte, fornire assistenza burocratica e indirizzare verso soluzioni terapiche idonee. Scrittura delle linee guida fisioterapiche e terapiche pediatriche. L’introduzione nel sistema di protesi low coast.

Puoi approfondire quest’ultimo aspetto?

A proposito di quest’ultimo punto volevo segnalare che siamo chapter italiana di E-nable, comunità mondiale, e forniamo device ai bambini stampati in 3D. Grazie alle competenze di molti nostri associati, abbiamo vari laboratori sul territorio nazionale. A tal proposito segnalo il sito dedicato a questa specifica attività di supporto per le protesi a basso costo.

Samuela, un auspicio per concludere…

Per concludere ribadisco la volontà affinché mio figlio non cresca disabile, perché lo Stato e il corpo sociale devono assumersi le loro responsabilità verso coloro che hanno delle fragilità.

Anna Fusco, una delle testimonial EnergyFamilyProject

Grazie a Samuela Fronteddu per il suo intervento e per l’operato di Energy Family Project., realtà che indica una tendenza ben precisa da seguire: quando le soluzioni sembrano lontane per volontà di pochi, esse sono a portata di mano e realizzabili grazie all’impegno di tanti, quindi occorre sempre agire.

Spunti didattici per combattere il cyberbullismo e il sessismo in rete

Giunti quasi all’inizio di un nuovo anno scolastico, alcune riflessioni e strumenti operativi per tentare di ricondurre le nuove generazioni ad un livello di consapevolezza, attraverso la didattica, rispetto all’uso consono degli strumenti web. Pur non essendo un operatore della formazione, trovo utile e molto interessante è il percorso proposto da Sara Marsico nell’articolo che segue e mi auguro che molti insegnanti attingano al manifesto di ParoleOstili per raggiungere un livello di comunicazione tale con le ragazze e i ragazzi al fine di instaurare un dialogo finalizzato al recupero del contatto con la realtà, che li ponga nella posizione di essere, prima ancora che buoni ed accorti utilizzatori delle parole e degli strumenti di internet, delle buone e dei buoni cittadini.

Continua il nostro Viaggio all’interno del Manifesto della comunicazione non ostile ed inclusiva, presentato al Quarto Convegno Nazionale di Parole_ …

Spunti didattici per combattere il cyberbullismo e il sessismo in rete

La Ghisolfa di Giuseppina Pizzigoni: da Rocco e i suoi fratelli all’outdoor education

Scopo il vero, tempio la natura, metodo l’esperienza.

Confesso, pur avendo frequentato l’Istituto Magistrale negli anni Novanta e approfondito in varie fasi i temi della scuola e della formazione, non mi sono mai imbattuto nella figura di Giuseppina Pizzigoni che, invece, si dimostra lungimirante nelle sue idee a distanza di più di 110 anni dalla loro formulazione. Pienezza alla biografia di questa donna ed educatrice ci viene fornita dall’articolo che segue a firma di Modesta Abbandonato, che restituisce tra l’altro una fotografia della Milano di un tempo, sia nella dimensione urbanistica come in quella sociale, richiamando alla mente immagini già plastiche forniteci dalla filmografia neorealista degli anni Sessanta,. Buona lettura.

Il toponimo Ghisolfa evoca nei cinefili e nelle cinefile lucani/e, e non solo, il capolavoro viscontiano del 1960 ispirato dai racconti contenuti in …

La Ghisolfa di Giuseppina Pizzigoni: da Rocco e i suoi fratelli all’outdoor education

L’alfabeto del Coronavirus

Cosa potrebbe accomunare ricercatrici precarie, cape di Stato e di governo, donne dello spettacolo, economiste, anonime operatrici sanitarie? …

L’alfabeto del Coronavirus

Consiglio la lettura di questo alfabeto che declina caratteristica, storia e vicende del momento difficile che stiamo attraversando, ovviamente al femminile.

Bambini, disabili ed anziani: cittadinanza a metà.

@pixabay

Esistono molti aspetti considerabili per descrivere lo stato di profonda crisi che ha creato l’emergenza del Coronavirus, ad ogni livello: dalle difficoltà del mondo della comunicazione al ruolo diminuito del Parlamento, dalla magra figura dei detentori del potere politico nella gestione della crisi alle gravi conseguenze per l’economia. Mi preme ora soffermarmi su un’osservazione di queste settimane di lockdown per una delle sue conseguenze più nefaste.

Premessa

Nella progressiva diminuzione della garanzia dei diritti costituzionali, si sono palesati con forza molti divari; tra questi, più evidente di altri, ne esiste uno tra cittadini che hanno un potere di contrattazione con la politica e coloro che invece, per varie cause, ne sono succubi. Sostanzialmente si tratta di un’amplificazione di storture presenti prima della crisi Covid, ma che ora si configura come una carenza nel diritto di cittadinanza per alcune categorie, evidentemente non considerate nella loro pienezza di cittadini: bambini, disabili ed anziani stanno subendo le conseguenze peggiori e pagheranno il conto più salato, dal punto di vista sociale alla fine di essa; e, già da oggi, registrano una forte diminuzione dei diritti di cittadinanza. Oltretutto la politica e le istituzioni stanno mal rispondendo alle loro difficoltà e toccherà da ora in avanti riconsiderare i modelli dei servizi dedicati per l’inclusione nella comunità come cittadini pienamente titolari di diritti e di dignità. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di analizzare al meglio gli aspetti emersi nella lettura di numerosi contributi, tutti segnalati nella sitografia in fondo a quest’articolo.

Divario economico e digital divide

@LaRepubblica

Tra i vari livelli di diseguaglianza creata dal COVID risulta evidente quella tra chi possiede delle garanzie economiche e chi non ha la possibilità di affrontare il costo che questa crisi comporta; tale iniquità, considerando gli strumenti necessari per affrontare la quarantena generalizzata e continuare ad avere un orizzonte esistenziale soddisfacente, si riscontra nel e digital divide, come diminuzione di cittadinanza appunto. Questo è importante soprattutto per chi ha dei figli, alle prese con la DAD (Didattica a distanza, NDA), che non sempre riesce a garantire adeguatamente le esigenze educative con i nuovi strumenti digitali, a causa anche della diminuita capacità del reddito per via della crisi. Ciò emerge chiaramente da un articolo di Vincenzo Galasso dalle pagine de’ “Il Sole 24 ore”, dove l’autore rimarca come “Il Covid-19 rischia di aumentare la disuguaglianza di reddito ampliata dalla crisi economica e di accentuare la povertà educativa dei più fragili”, auspicando una ripartenza proprio dalla scuola per ricostruire un Paese meno diviso anche dal punto di vista tecnologico.

DAD ed infanzia

@Corriere.it

Le difficoltà sopra descritte sono presenti nella cronaca di queste settimane, registrando la cattiva gestione (da parte di tutti, per inciso) della DAD, emersa persino durante il concertone del I° maggio scorso, anch’esso in formato “distanziato”. Queste difficoltà non sono vissute solo dalla scuola, ma anche lo sviluppo e la crescita delle bambine e dei bambini ne risentono, ponendo criticità anche nel rapporto tra genitori e figli. A tal proposito, Francesca Mannocchi dalle pagine web de’ “L’espresso”, rimanda una serie di testimonianze di madri che vedono regredire i propri figli per un malfunzionamento dell’apparato educativo nell’impostare adeguati percorsi formativi; chi ha figli inseriti in contesti scolastici tecnologicamente avanzati o, in generale, i ragazzi delle secondarie riescono in un certo qual modo a porre una pezza a tali difficoltà. Ma per la maggior parte invece risulta un’esperienza negativa, soprattutto con famiglie che hanno bambini delle primarie; in ogni caso, lì dove il divario digitale è maggiore, anche e soprattutto per cause economiche, la scuola pare essere assente o incapace nel fornire risposte alle esigenze di bambine e bambini che, è bene ricordarlo, sono cittadini con loro specifici diritti, tra i quali quello all’educazione. Pare quasi che l’agenzia educativa, dove si formano i cittadini del domani, stia abdicando al proprio ruolo, registrando molto spesso una latitanza ingiustificabile che destabilizza del tutto giovani vite non sufficientemente supportate nell’affrontare queste nuove sfide. Questo disagio è amplificato nel caso di nuclei familiari che hanno ragazze e ragazzi con disabilità gravissime e che stanno osservando una vera e propria regressione dei loro figli, un ritorno da posizioni che in alcuni casi hanno messo anni a raggiungere. In quest’ultimo caso, a premessa per ciò che segue, si registra la mancanza di indicazioni sulle attività socio-educative specifiche, impossibili da gestire con il distanziamento sociale.

Cosa faremo domani?

@Makerfairerome.eu

Parlando di disabilità sono tante le omissioni emerse in questa crisi caratterizzata dal lockdown, ma inevase sono anche tante istanze per la fase 2 e la ripartenza e viene da chiedersi se ad un “prima” costellato da difficoltà possa seguire un “dopo” che restituisca maggiore dignità di cittadini a milioni di donne ed uomini, milioni di famiglie. Tra le varie voci che lamentano tale mancanza in tutta Italia, ad esempio, Luca Nicolino – presidente dell’associazione “I buffoni di corte”, organizzazione attiva sul territorio del torinese e che opera con disabilità intellettive e cognitive – osserva: “realtà come la nostra che, non avendo indicazioni dal Governo, non sanno come programmare un piano di intervento adeguato, a breve-medio termine”; in maniera molto simbolica, questa associazione, assieme ad altre, ha lanciato una campagna di protesta dall’emblematico titolo “Cosa farò domani ?”.

La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, NDA) è giunta all’elaborazione di un documento che propone tutte le misure necessarie per costruire una nuova visione di società, che restituisca, come dichiara il presidente Vincenzo Falabella, “cittadinanza piena e integrale alle persone con disabilità e alle loro famiglie”; Falabella ricorda inoltre “Il richiamo forte, chiaro e ineludibile all’eguaglianza e alle pari opportunità delle persone con disabilità con il resto della popolazione impone di avere una nuova visione che riduca tutte le forme di diseguaglianza aggiuntive e, tra queste, quelle di genere e di età.”. Salute, riabilitazione e abilitazione, Lavoro, Politiche e servizi per la vita indipendente, Inclusione socio-scolastica e processi formativi. Tanti gli aspetti, le sfide alle quali il governo e le istituzioni di ogni livello dovranno rispondere, ora più che mai, per superare questa crisi con la restituzione, dovuta, della dignità a cittadini della Repubblica. A tal proposito, dalle pagine di Superando, Carla Volpe (madre di una bambina con sindrome di Down, NDA), scrive che ora l’obiettivo dev’essere quello di rinascere dalle “macerie” del Covid-19, tutti, anche i soggetti più deboli, che devono avere il loro posto nella vita della comunità e concorrere al benessere dell’umanità”. Auspicio che condivido pienamente.

Gli anziani e le RSA

@Corriere.it

Il profondo senso di solitudine che vivono le persone disabili e le loro famiglie è condiviso da una categoria che ha ad oggi pagato il prezzo più caro al Coronavirus, ovvero gli anziani. Dalle pagine de’ “Il Riformista” si legge una storia emblematica di solitudine esistenziale di una donna fiorentina che si porta addosso un doppio dramma: il suo personale, di un’anziana non considerata nel contesto dove vive; quello del marito, ospite di una RSA e con sindrome di Alzaimer. Questa vicenda rimarca l’assoluta inadeguatezza alla cura e alla tutela di cittadini che hanno speso un’intera vita come tali, lavorando, contribuendo e costruendo questa nazione, ma che una volta soli (e la solitudine può avere varie origini) non hanno avuto gli strumenti per affrontare una crisi sanitaria durissima come questa. Come osserva Alberto Cisterna dalle pagine de’ “Il Riformista”, “forse dobbiamo chiederci se a pagare il prezzo di tutto ciò siano stati quelli con le pensioni minime, quelli che non potevano permettersi le case di riposo di lusso, quelli che i familiari hanno derelitto perché le pensioni non erano appetibili, quelli soli e senza un aiuto”. Ciò denota anche un profondo scollamento generazionale con gli anziani, problema non di poco conto, considerando che si tratta di coloro che nel bene e nel male hanno costruito l’Italia che viviamo oggi. Sempre Cisterna conclude che “toccherà all’intero Paese ricostruire, senza inganni e senza retorica, una relazione sincera e profonda con la generazione mietuta dal male nascosto”.

Se gli anziani, con evidenza, sono quei cittadini privati della loro cittadinanza perché non protetti e tutelati alle origini della pandemia, occorre anche indagare i luoghi che hanno visto questa moria della nostra memoria storica, le Residenze Sanitarie Assistenziali, un modello di welfare che in Italia ha mostrato tutta la sua debolezza, come raccontato da Simona Ravizza sulle pagine del “Corriere della Sera”. Le case di riposo, già fortemente in crisi prima dell’epidemia a causa di un sistema di welfare basato sul modello di ospitalità sanitaria (ovvero con utenti che entrano nel sistema di RSA già in una fase avanzata della terza età), sono sostanzialmente rimaste sole nella gestione degli anziani contagiati e nella prevenzione; ciò si è verificato anche per la distribuzione di dispositivi di protezione individuale. I singoli gestori hanno dovuto attrezzarsi in autonomia, cercando fornitori di Dpi su mercati esteri, andando incontro a enormi difficoltà, con ritardi nella distribuzione e inefficienze. Considerando le relazioni delle RSA con il tessuto territoriale, i rapporti con la rete ospedaliera e i servizi sanitari di prossimità sono stati bloccati per proteggere gli ospedali da un eccesso di ricoveri. Inoltre, le relazioni con i medici di famiglia sono state sporadiche. Ma la mancanza che ritengo più grave è che, sin dagli inizi dell’emergenza, l’attività di screening tramite i tamponi non è stata prevista in modo sistematico ed omogeneo per le Rsa sull’intero territorio nazionale, né sui casi sospetti tra gli ospiti né tra gli operatori». Capite benissimo che si tratta di una disfatta totale del sistema delle residenze per anziani e dell’intero sistema sanitario.

Auspici

Auspico che quanto prima, a seguito della crisi che viviamo senza precedenti, queste tre fasce di popolazione possano rivedere assegnata loro la dignità di cittadini con pienezza di diritti; a tal proposito chiediamoci tutti, sin da oggi – e chiediamolo alla politica -, se non sia il caso di rivedere i modelli dei servizi loro dedicati, volti al recupero del senso di comunità, organo complesso dove tutti i soggetti sono integrati e chiamati alla creazione del benessere collettivo, in cui tutti i soggetti sono portatori di legittimi interessi ed aspettative.

NB: Per approfondire i temi sopra esposti, leggi nell’ordine:

* Per i divari economici e il digital divide:

https://www.ilsole24ore.com/art/la-via-dell-equita-passa-scuola-e-digitalizzazione-ADFLFRN

* Per le difficoltà della scuola e dell’infanzia:

https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/04/28/news/lettere-mamme-bambini-lockdown-1.347669

https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/04/29/news/siamo-mamme-di-bambini-con-disabilita-gravi-per-i-nostri-figli-la-fase-2-non-esiste-1.347828

* Per il mondo delle disabilità:

Cosa farò domani? La domanda di tante persone con disabilità

Cittadinanza piena e integrale alle persone con disabilità e alle loro famiglie

Rinascere più umani, tutti insieme

* Per gli anziani e le RSA:

Solitudine e coronavirus. Liliana, 83 anni: “Piango tutto il giorno, nel mio condominio nessuno mi aiuta”

Anziani morti in abbandono, ricostruire relazione con la generazione mietuta dal male nascosto

https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_23/coronavirus-strage-rsa-sette-cose-che-non-hanno-funzionato-8f5864c6-8594-11ea-b71d-7609e1287c32.shtml