Tra fornelli e forno Sonia mi racconta la sua passione e altre cose.

Una tazzina di caffè

Mi smonto da solo: è facile, pur di metter contenuti sul blog, “intervistare”, poi sul divano dico…, la propria moglie! Pubblicando questo papiello la domenica mattina, a distanza di qualche ora dal tutto. Ebbene, in premessa pertanto mi tocca riabilitarmi, specificando che questo nostro dialogo nasce nel quotidiano, quindi in momenti dove ognuno è preso dal suo fare e spesso in una coppia il tutto converge nella condivisione con l’altro di domande, intuizioni ed affermazioni che fanno partire, fitto fitto, un dialogo in ogni tenore, spesso pacato e razionale, di tanto in tanto istintivo e frenetico, di rado un battibecco intellettuale.

Premessa

Lo dicevo anche nel post sul pane dove accennavo a questa “chiacchierata”, che in verità non si svolge solo sul divano, ma tra cucina e salotto, sino a proseguire davanti i fornelli e dilungarsi sino al giorno dopo, durante la panificazione settimanale. Quello che mi interessa far emergere di lei non è il ruolo di mia moglie, ma quello di una blogger, ma non solo, una panificatrice nata, ma non solo… Ma anche e soprattutto una donna, che entrando nella fase adulta della sua esistenza, esprime la sua condizione doppia di Donna e disabile nel suo modo, vivendo con angosce, prospettive e ambizioni il nostro tempo. Avendo iniziato assieme quest’avventura su WP, mi sembrava il caso anche di confrontarsi sui singoli progetti del nostro stare in internet. Piccola nota romantica. Nella plailist di venerdì ho inserito il brano di Pino Daniele che apre il post. Dicevo che è uno di quelli molto belli, che apprezza anche Sonia, che però non mi rimanda nell’immediato la sua immagine alla mente. Ma di questo ne riparliamo alla fine. Più che altro è idealmente con questo brano che comincio con le domande.

Facciamo due chiacchiere

La Canzone di Pino sopra citata in verità mi è servita per preparare l’atmosfera in una pausa caffè, con sigaretta annessa, momento in cui le annunciavo questa mia iniziativa, ben Accomodati sul divano a sorseggiare il nostro espresso. Creata l’atmosfera, dunque, iniziammo a parlare gradualmente del più e del meno, quando il dialogo si trasformò in questa che è, di fatto, un’intervista. E mi chiedo:

Qual è il tuo handicap? Per cominciare spieghi qual rapporto hai con esso? Spiega ai lettori di OpposteVisioni di cosa si tratta.

Sono una persona quasi cieca, ancora con una messa a fuoco che mi permette di muovermi agevolmente in casa e sopravvivere fuori, ma con un campo visivo molto limitato; vedo un minimo e da un solo occhio. Ho preso consapevolezza sin dall’infanzia; usando un termine proprio dei bambini, posso dire che “ho scoperto” di questo problema sin da piccola. Da bambina ti fai delle domande, come ad esempio perché un altro bambino può correre o giocare o fare cose diverse con tempi differenti dai tuoi. In casa non ho mai avvertito, almeno da bambina, questa differenza, “scoperta” per tanto nelle relazioni verso l’esterno. La presa di coscienza del mio problema è arrivata però verso i dieci anni.

Quanto ti senti disabile in casa? Ai lettori potrebbe interessare se hai difficoltà nelle mansioni domestiche e di vita quotidiana?

In casa personalmente non mi sento disabile. Questo perché ho imparato a cucinare, ad esempio, da persona matura, adulta diciamo, quindi avendo la consapevolezza di dover adattare la mia attrezzatura o la stessa cucina, dove possibile, alle mie esigenze. rispetto ad altre persone non ho bisogno di predisposizioni particolari, se non di piccoli dettagli, come una bilancia con numeri più grandi, maggiore illuminazione negli ambienti e sul pianale di cottura, maggiori piani d’appoggio, aiutandomi anche con dispositivi vocali e con il braille.

In ambito sociale e nelle relazioni con gli altri come va?

Per la mia esperienza, posso dire che rapportarmi con il mondo circostante in relazione al mio handicap non risulta un problema. Se però consideriamo il tessuto sociale invece la disabilità emerge con forza. IL problema di fondo è la percezione chele persone spesso hanno di un disabile, o meglio, della persona con handicap. Ad un certo punto un pregiudizio o un limite nella comprensione delle reali esigenze dell’altro, rende manifesta la disabilità. Proprio per questa poca attenzione la disabilità si manifesta, ad esempio, nei supermercati, dove non sempre raggiungo quell’autonomia nel leggere le etichette e scegliere tra la gamma dei prodotti. Pur registrando che vi sono delle marche di riso, i medicinali o tisane con l’indicazione in braille, ma toccare in genere non va bene o l’impossibilità di maneggiare a lungo una confezione comporta delle difficoltà. Per la mia esperienza, quindi, nei supermercati emerge la mia disabilità, ovvero l’handicap che ho vince sulla mia autonomia, proprio per l’assenza di un servizio, perchè non vengono abbattute quelle barriere di accesso alle informazioni, per me un ostacolo più che quelle fisiche.

Pizza regina Margherita su tagliere

Veniamo al tuo blog: da dove nasce la passione per la cucina e cos’è per te questa passione, cosa rappresenta? Forse non te l’ho chiesto mai, pur conscio che si va al di là del mero nutrirsi.

L’amore per la cucina è nato con l’amore per una persona. Indovina chi? Fino ad una certa età non ho avuto l’esigenza di mettermi ai fornelli, per il tipo di vita che conducevo. Una volta ci ho provato, attorno ai 19 anni, cucinando un pessimo ragù di carne. Un’esperienza che mi disgustò e mi reputai immediatamente incapace di cucinare, che mi confermava il perché in famiglia non avessi l’autorizzazione ad avvicinarmi ai fornelli; Ricordo che quando mi mandarono a fare il caffè, la prima volta che ho avuto lo stimolo per provare a fare qualcosa in ambito domestico, mi è riuscito bene; la seconda volta ho trovato la moca sporca e, credendo che non occorreva altro caffè, ho semplicemente tolto l’imbuto con la posa e dopo aver messo l’acqua ho rimesso lo stesso imbuto. Ovviamente la macchinetta è scoppiata! Da quest’episodio, che risale agli otto o nove anni, non mi hanno mai più fatto fare il caffè o qualsiasi altra cosa riguardasse i fornelli. E poi… sei arrivato tu e la nostra vita. La passione è venuta cucinando, come anche la voglia di comunicare questa passione dalla prospettiva dell’handicap visivo. Devo aggiungere però che spesso in cucina si riflette il mio umore; lo stato d’animo o la sintonia con le persone che sono in casa. Con ciò si determina un differente approccio ad ogni esperienza. Un giorno puoi essere ispirata per stupire la persona che vive con te, altre volte vuoi cucinare la ricetta vista altrove per riproporla. A volte si sperimenta con fantasia, altre volte magari prevale la svogliatezza, quindi ti accontenti di fare una crudaiola, perché in quel momento cucini per nutrirti, senza tanta ispirazione. Nella comunicazione quello che durante il quotidiano può essere una cosa fatta di fretta, invece sul web può prendere la sua importanza, anche nel dettaglio. Se nel quotidiano una crudaiola risulta semplice, nel comunicarla sui social, ad esempio, può acquistare un suo significato per una foto o un impiattamento particolare, o per dare l’idea a chi magari in quel giorno è più svogliato o a corto di fantasia di me. Cerco però sempre di comunicare più con dei piatti elaborati, per cercare di abbattere un muro, come comunicare agli altri che una persona con handicap visivo può cucinare, di conseguenza impiattare e può anche mostrare la preparazione ad altri e, magari, può fartelo degustare. Nella precedente esperienza lavorativa con il B&B una persona venne in struttura perché attratta da foto viste su twitter di varie mie ricette.

Risotto

Trasferiamoci in cucina, visto che è ora di pranzo, per proseguire questa chiacchierata durante la preparazione di un Risotto.

Ti gratifica più un semplice complimento o la consapevolezza di aver creato un piatto bello e buono?

Sicuramente ho una maggiore gratificazione quando mi accorgo di aver veramente cucinato bene, perché non tutti hanno lo stesso gusto e sentire l’apprezzamento piace, ma non sempre arriva. Non credo però di aver ricevuto complimenti solo per la mia condizione.

Prima di addentrarci un po’ più in avanti con le tematiche di maggior interesse, racconta ai lettori del blog un tuo piatto veramente “bomba” e uno che non ti da mai soddisfazioni.

Una ricetta che mi esalta, che presto riproporrò sul blog, è il pollo con le patate al forno. Già presente in una versione d’archivio, Pollo con patate e peperoni. Non credo ci sia però un piatto che non mi da soddisfazioni; ad esempio, però, la pasta col pomodoro fresco non mi piace, perché a me non piace il pomodoro cotto a pezzi. Mi esce buona, ma non mi da soddisfazione.

Nel corso della quotidianità poi capitano tante cose. Le domande riprendono il giorno dopo, di venerdì, dedicato alla panificazione.

In un recente post ho parlato di pizza, pane ed impasti lievitati vari nella nostra cultura e nelle tradizioni familiari. Quale il tuo rapporto con questi alimenti?

Pani

Ci sarebbe da parlarne veramente a lungo, essendo il momento della panificazione ben presente nella mia famiglia d’origine e pertanto abituata ad osservare dalla mia infanzia. Sono cresciuta tra sacchi di farina in casa e il forno comune dove abitava nonna. Mi piace molto sperimentarmi con gli impasti di pizza e pane. Se esiste un’esperienza in casa che mi fa sentire massaia è proprio fare il pane, completa nella dimensione domestica, rapportandomi con l’immagine di mia mamma che impastava il pane per la famiglia e per lavoro e un po’ mi identifico con questa figura. Poi mi piace proprio vedere il risultato di questa creazione. Ad esempio, tanta la curiosità ogni volta, non lascio raffreddare il pane e lo taglio ancora ben caldo per vedere com’è venuto. Per la pizza invece mi piace sperimentare, anche se ho un rapporto particolare, mi esce diversa ogni volta. Tendenzialmente è sempre buona, ma non ho trovato ancora una ricetta o una modalità particolare. Per fare il pane comunque mi attengo alla tradizione e, quando possibile, uso il lievito madre che io stessa preparo.

A proposito, in alcuni territori si trattava il lievito madre come un tesoro di famiglia da tramandare di generazione in generazione, almeno la sua ricetta. Il tuo quanto tempo ha?

Meno di due mesi, perché non lo facevo da tempo e c’è stato un trasloco nel mentre; se non si usa il lievito con una certa cadenza, diciamo settimanale, ammuffisce; in verità avrebbe anche un po’ di più se non fosse stato disperso, ma su questo taccio!

Ma parliamo di cose un po’ più profonde, della tua vita intendo. Dal punto di vista della tua passione, come pensi di poter soddisfare l’esigenza di un lavoro? hai dei progetti?

Più che progetti, fantasie. Non credo ad oggi di riuscire a conciliare questa mia passione con una progettualità di lavoro. I tempi non sono maturi, non per me, ma per la percezione degli altri nei confronti delle disabilità visive e del lavoro in ambito della ristorazione. .

Abbiamo per tutta la vita dei sogni nel cassetto che ci portiamo dietro: il tuo qual è, se pensi alla tua passione?

Non cucino nel senso compatibile con la grande ristorazione ed inoltre, pur sperimentandomi, amo la tradizione. Il mio piccolo e grande sogno è quello di avere una minuscola osteria, dove si possono servire piatti della tradizione italiana e meridionale, ma ogni tanto innestare delle creazioni culinarie per gli affezionati.

Andiamo oltre. Molto importante, anche in ambito domestico e culinario, è la salvaguardia di una certa sostenibilità, anche minima. Come ti senti resiliente?

Credo di dimostrarlo anche nelle ricette che propongo sul blog. Gli alimenti che potrebbero deperire si possono sempre reinventare. La spesa che tendo a fare è comunque una spesa, in particolare per il fresco, con razioni determinate e distribuite nel tempo. Difficilmente butto verdura o frutta. Quando si vede l’”invecchiamento” su di un alimento o resta a lungo in dispensa parte subito la fantasia per utilizzarlo in maniera gustosa.

Usi alimenti esotici rispetto alla tradizione italiana nella tua cucina?

Ho usato l’avocado per delle salse, ma è un alimento che poco si abbina al mio palato. Amo molto un po’ tutte le spezie. Il curry, in particolare.

Una domanda che apparentemente non c’entra nulla con la cucina: cosa pensi del proibizionismo sulla canapa? hai mai usato prodotti di canapa per le tue ricette?

Si, ho cucinato delle cene a base di canapa. Dal risotto con le foglie, ai dolci o biscotti con infiorescenze. Per l’uso della farina ancora non mi è capitata l’occasione. Sul proibizionismo, in generale, non mi esprimo. Sarebbero solo brutte parole. Ricordo quando ero ragazza del proliferare dei cartelli del vietato fumare ovunque e proprio quel divieto mi istigava a fumare. Credo che i divieti senza informazione non servono.

Secondo te quali sono gli ostacoli che rendono difficile a livello sociale, politico ed economico l’affermazione di una donna, ancora di più se disabile?

La mentalità italiana costituisce un grande ostacolo. L’assenza di cultura alla quale siamo tutti soggetti, cui siamo tutti sottoposti senza possibilità di “ribellione”. Il problema è grande per le donne, per questi motivi ancor più grave per una donna con disabilità.

Che vita vive oggi Sonia Gioia rispetto alle aspettative della stessa Sonia di vent’anni?

Ci troviamo di fronte a due epoche differenti, nnon solo dal punto di vista personale, ma anche sociale. Sono cambiate tantissime cose. Dovrei pensare a ieri con la società di ieri. A vent’anni si hanno altre aspettative e prospettive, vissuti differenti, è difficile valutarle per il proprio futuro. Non credo che molte persone si ritrovano ad aver realizzato a quarant’anni quello che desideravano a vent’anni. Quelle aspettative lo ho quasi dimenticate. Ero pessimista, cupa. Oggi magari mantengo queste visioni, ma ho imparato a limarle e moderarle nel tempo.

Dal punto di vista personale cos’è che ti manca, se c’è una mancanza, per la piena realizzazione di un tuo progetto, tutto al femminile?

Esser guardata dagli altri per quello che sono e non per quello che mi porto addosso. Sono una persona con tutte le sue peculiarità, non l’handicap che vivo. Fino a quando una qualsiasi persona che mi è vicina, amica o parente, vede l’handicap come un mio reale limite (spesso frutto della percezione dell’altro), avrò fallito nel comunicare che sono altro al di là di questo.

Cara lettrice e caro lettore concludo questa bizzarra intervista domestica articolata in due giorni invitandoti a seguire il blog CucinabiliVisioni curato da Sonia per ispirazione sul piatto del giorno o per semplice curiosità. A questo punto ti svelo qual è la canzone del grande Pino Daniele che mi fa pensare a Lei e che a Lei lascio come momento musicale per la riflessione dopo questo scambio di pensieri che come risultato ha avuto questa intervista.

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Per i diritti delle persone con disabilità c’è ancora tanto da fare. Carmelo Comisi sul divano di OpposteVisioni.

Premesse

Durante le passeggiate accessibili organizzate dal network del Disability Pride per Natura Senza Barriere a Macchiatonda ho avuto la possibilità di incontrare e chiacchierare con il presidente nazionale del Disability Pride Italia. Mi è sembrata la migliore occasione per spostare idealmente il divano dal salotto di casa in aperta natura e, successivamente, nel complesso architettonico di Santa Severa, e con Carmelo Comisi mi sono soffermato per alcune domande che hanno portato a riflessioni e notizie che vi propongo di seguito. In premessa mi sembra necessario sottolineare che, seppur a distanza di un mese da quell’iniziativa, gli argomenti emersi dalla chiacchierata con Carmelo siano sempre interessanti. Inoltre da quella giornata si sono sviluppate delle riflessioni profonde che mi hanno portato a considerare seriamente l’adesione di questo blog al network, e per questo sto lavorando al momento. Ciò comporta piccole e grandi novità, ma a quest’aspetto dedicherò un contributo a sé. Ora parola a Carmelo.

Parole in movimento

Per OpposteVisioni ho il piacere di fare spazio idealmente sul divano a Carmelo Comisi, personaggio molto interessante e vivace, attivo come pochi, Presidente dell’associazione Disability Pride Italia, importante componente del più ampio movimento internazionale del Disability Pride Network, una delle realtà più impegnate sul fronte della comunicazione e delle battaglie per i diritti delle persone con disabilità. La nostra chiacchierata, come ricordato sopra, risale alla giornata del 27 giugno, svolta a metà tra la riserva di Macchiatonda e il castello di Santa Severa, un po’ registrata e un po’ no.

Abbiamo iniziato questa giornata con l’adesione ad un’iniziativa che vede centrale il discorso dell’accessibilità di spazi culturali e naturalistici. Qual è l’importanza dell’accessibilità nel nostro tessuto sociale, oggi, nel 2020?

Potrei dirti che siamo giunti al 2020 e per l’accessibilità non è ancora stato fatto questo o quell’altro. l’Italia, come sappiamo, è il Paese delle norme, abbiamo da trentacinque anni le norme più stringenti, più importanti se vuoi, sull’abbattimento delle barriere architettoniche, ma non sono applicate nemmeno sul patrimonio immobiliare degli ultimi trentacinque anni, per garantire diritti di cittadinanza alle persone disabili come a tutti gli altri, appunto con fondamenti basilari, adeguando con l’accessibilità tutto il patrimonio immobiliare. Ci sono però dei luoghi, come quelli visitati oggi e altri che ci riproponiamo con realtà del network, come l’associazione “Radici” o l’associazione delle guide turistiche italiane, di renderli fruibili per i mesi e gli anni a venire, per stimolare gli altri a fare altrettanto, perchè tentiamo di promuovere queste strutture e questi spazi, cercando di realizzare attività come network del Disability Pride al fine di portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’importanza di questi luoghi e queste eccellenze e per ribadire che le persone con disabilità ci sono, esistono anche come fruitori di spazi culturali. Ed è importante che vi siano luoghi accessibili riferiti al patrimonio culturale, che è sicuramente un aspetto legato alla civiltà, ma rendere accessibile il grande patrimonio culturale italiano è anche una questione economica. Come rete italiana del Disability Pride stiamo cercando di far compiere passi in avanti per le condizioni delle persone con disabilità, guardando all’aspetto dell’inclusione. Lasciami aggiungere che per fortuna non siamo gli unici ad andare in questa direzione.

Come va con le grandi organizzazioni di disabili?

Voglio in primo luogo registrare che la rete va ampliandosi. Ci sono delle relazioni, ad esempio, con l’Unione Italiana dei Ciechi, che sino ad ora non aveva aderito ufficialmente al network. Credo che con l’attuale presidente Barbuto vi siano buoni spazi di dialogo. Sono ottimista, quanto lui entusiasta.

Nelle strade di Roma durante la manifestazione del 2019 girava lo slogan “non è l’elemosina ciò che vogliamo, maAa i nostri diritti “. A che punto siamo con l’affermazione dei diritti delle persone con disabilità in Italia?

Diciamo che a conti fatti non ci hanno dato al momento nemmeno l’elemosina, e sarebbe stato già qualcosa! Scherzi a parte, dal punto di vista dell’affermazione dei diritti c’è tanto da fare. Il nostro faro sono i cinquanta articoli della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, che ricordo sempre essere legge dello stato dal 2009, che mostrano la direzione da seguire per l’inclusione nella società dei disabili. Però, per seguire questa direzione occorrono molti servizi e molti di essi, se consideriamo le molteplici forme di disabilità, sono carenti, da qualsiasi punto di vista li si guardi. Si, C’è molto da fare.

Quali le prossime iniziative del Disability Pride alla luce del cambiamento di programma per il Coronavirus?

Per il 2020 ci stiamo organizzando perché la nostra tradizionale manifestazione del Pride venga fatta non in presenza, ma in maniera mediatica. Si terrà tra settembre ed ottobre; non posso dirti con precisione ancora su quali canali, forse in rete, ma ci sono delle trattative aperte perché la manifestazione si tenga in TV. Ma non posso ancora svelare nulla.

Salutando Carmelo è forte la convinzione a voler dare un modestissimo contributo ponendo a disposizione del network le competenze acquisite in tanti anni di esperienza diretta sul campo in vari settori. A presto ulteriori notizie ed approfondimenti dal mondo del Disability Pride network, di cui mi sento pienamente parte.

Il Coronavirus, l’informazione e la psiche. Ne parlo con lo psicologo Michele Di Bella.

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Ed eccoci al primo appuntamento dal mio divano dedicato ad uno spazio di approfondimento in compagnia – virtuale – di un ospite, che in questo caso mi ha raggiunto davvero a casa per parlare un po’ di un argomento che negli ultimi mesi è stato al centro dell’attenzione di tutti. Prima di iniziare una piccola nota metodologica per chi legge: in altri articoli ero abituato ad indicare alla fine del pezzo la sitografia presa come spunto o approfondimento. Da questo post in avanti invece troverete linkato nel testo tutto quel materiale che mi è servito per scriverlo, in modo da poter avere un immediato rimando alle fonti, senza per questo perdere il filo della lettura.

L’argomento

Dunque, iniziamo a ragionare. Oggi riprendiamo il discorso dell’eccesso di notizie e dati come problema di distorsione dell’informazione, argomento non nuovo od esclusivo, ma ritengo utile parlarne a più di tre mesi dall’inizio della crisi per la pandemia. Molto spesso girano contenuti, dai siti web ai socialnetwork, da Youtube alle catene mediante messaggi SMS o WhatsApp, che non vogliono sempre creare vera e propria controinformazione, ma che piuttosto danno vita ad informazione inutile, superflua, dannosa perché inesatta, come nel caso dei presunti consigli dell’università americana. La questione non è di poco conto e ce ne siamo accorti proprio durante la crisi del Covid19, scenario che ha visto il proliferare della disinformazione; questione che non è passata inosservata, sin dalla metà di marzo, nemmeno ai colossi del web.

In questi tre mesi ed oltre di crisi per la pandemia se ne sono lette di tutti i colori, dalla vitamina C Che curerebbe ogni male, alla certezza assoluta della creazione in laboratorio del Covid19 perché ne ha parlato la RAI alcuni anni fa, a quella più esilarante (se non vogliamo perdere il buonumore) sugli immigrati immuni al Coronavirus. Sinora ho citato non solo esempi dove la notizia è stata creata dal nulla, senza basi scientifiche o riscontri giornalistici, bensì anche casi in cui l’informazione è stata più o meno manipolata allo scopo di creare ridondanza; una sorta di cassa di risonanza di notizie non verificate, appena manipolate o inventate di sana pianta utili solo ad ingenerare confusione, nell’ipotesi più cauta, anche se non è difficile intuire che vi siano soggetti interessati alle possibili speculazioni in condizioni di panico o allarmismo diffuso. Ma questo è un altro discorso, da approfondire in separata sede; restiamo agli effetti causati dalla disinformazione e dall’eccesso di notizie cui siamo stati, e siamo ancora adesso, tutti esposti.

L’OMS ha infatti, a tal proposito, lanciato uno specifico allarme legato all’Infodemia, ovvero proprio all’eccessiva presenza di notizie false, tendenziose, inesatte e ridondanti, fenomeno che si è diffuso altrettanto velocemente come il Covid19, creando più di qualche preoccupazione alle autorità sanitarie internazionali sulla salute mentale della popolazione, ant’è vero che la stessa agenzia delle Nazioni Unite per la salute si è posto il problema se non fosse epidemica anche questa particolare caratteristica che accompagna l’evolversi della pandemia legata al Coronavirus, e come questo dagli effetti imprevedibili.

Di fronte a questa problematica, infatti, non tutti abbiamo gli strumenti e la capacità, la forza psicologica se volete, di reagire, ponendo delle difese tra noi e il flusso sterminato di informazione, che sin dagli inizi della crisi sembrava un problema serio da gestire per ognuno di noi. Sin dal 24 febbraio, infatti, l’Ordine degli Psicologi del Lazio (seguendo linee guida nazionali), ad esempio, scrive a proposito degli effetti legati alla spasmodica ricerca di informazioni, di “Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate”.

Domande dal divano

Ma quali effetti ha avuto realmente sulle persone tutto ciò? E sopratutto come possiamo proteggerci? Mi sono chiesto queste ed altre cose in compagnia del Dott. Michele Di Bella, Psicologo clinico e di comunità che esercita a Roma nord, abilitato ed iscritto all’albo professionale del Lazio. Una volta accomodati sul divano con un bicchiere di succo e la distanza consigliate, iniziamo a parlarne.

Quali sono le persone che maggiormente hanno sofferto la sovraesposizione mediatica della crisi legata al Coronavirus? Ne esiste una categoria colpita in particolare?

Come segnala l’ordine degli psicologi del Lazio, al quale sono iscritto, si è rilevato che le persone più giovani riferiscono di frequenti reazioni ansiose. Gli adulti fra i 20 e i 39 anni evidenziano maggiori preoccupazioni accompagnate da sentimenti di rabbia; nella fascia di età successiva (40-59 anni) le preoccupazioni diventano più rilevanti per le proprie relazioni, mentre per la fascia d’età che va dai sessant’anni in su si intensificano le preoccupazioni legate all’isolamento e al senso di solitudine. Per rispondere alla seconda parte della domanda, personalmente non rilevo l’esistenza di categorie particolarmente soggette, ma tutto è riconducibile alla situazione che ognuno vive. Persone che, ad esempio, attraversano ristrettezze economiche vivono maggiori difficoltà anche dal punto di vista psicologico, come anche le persone adulte perchè sentono addosso maggiormente il senso della morte.

Quanto ha pesato su questa sofferenza delle persone la sovraesposizione mediatica cui tutti siamo soggetti?

Molto, soprattutto perché agli inizi della crisi le notizie davano un gran numero di decessi tra gli anziani, evidenziando i rischi per questa fascia d’età. La mia esperienza personale mi restituisce che più le persone crescono e più questa preoccupazione aumenta, anche se risulta meno evidente perché fa parte di ognuno di noi, del nostro silenzioso vissuto. Ciò è evidenziato per persone di una certa età o con patologie, proprio perché quelle persone sono portate a pensare “se muoiono tanti miei coetanei, posso morire anche io”.

Hai notato nell’esperienza di terapeuta, in questo periodo, situazioni di stress legate ad un eccesso o alla circolazione di cattiva informazione?

Si, legate ad alcune relazioni professionali. Ma soprattutto l’ho vissuto in prima persona, e volendo essere sinceri sono scivolato nella preoccupazione dovuta ad un eccesso di informazioni. Il tentativo di controllare un atteggiamento spasmodico in una condizione del genere è stato difficile, anche per chi è preparato come uno psicologo.

Tutto questo eccesso di notizie, secondo te, ha creato una reale consapevolezza nelle persone?

Se le notizie sono provenienti da fonti sicure o certificate all’interno di organizzazioni internazionali, statali o da istituti di ricerca, si. Ma spesso sono manipolate da altri soggetti, come siti web che sfruttano la notizia e la manipolano per fini che non sono puri – legati al commercio di prodotti -; o ancora da persone che godono nel far girare una notizia fake, sia per fini di puro sadismo o per propaganda terrorizzante.

Considerato il ruolo dei socialnetwork, anche nella circolazione delle fake news, come si possono creare gli anticorpi per secernere le informazioni?

I primi anticorpi sono quelli che si creano andando a ricercare, al di là del covid19 e per ogni notizia sul web, l’attendibilità certificata. Il web siamo noi, quindi chiunque può mettere una cattiva notizia.

Pochi giorni fa, l’OMS ha lanciato un allarme per le conseguenze psicologiche delle persone a causa degli effetti del Coronavirus. Lo condividi?

Si. Si sta spargendo nelle persone un senso persecutorio e molti tendono ad assumere un certo tipo di atteggiamento fobico verso gli altri. C’è una grande paura, anche eccessiva in molti tratti.

Quindi cosa consigli per affrontare lo stress causato da questa crisi?

Mi sento di consigliare, in primo luogo, di cercare sempre di mantenere in questo periodo i ritmi che si avevano prima. Il rischio è quello di invertire il giorno con la notte o entrare in una rete più fitta di isolamento e di non mantenere i contatti con la realtà. Se si ravvisa un disagio emotivo o una certa forma di emarginazione sociale, richiedere un aiuto o sostegno psicologico che può risultare molto efficace, soprattutto in un momento come questo, quando c’è un timore relazionale di base a condividere la quotidianità. Il rischio non cala con l’allentamento del lockdown, anche e perché il pericolo di un ritorno pende su tutti come una spada di Damocle, quindi occorre prestare molta attenzione ai segnali che la nostra mente ci invia.

Cosa dovrebbe fare secondo te il mondo dell’informazione per correggere questa esposizione eccessiva delle persone?

Un conto è l’informazione, un conto è l’esubero di informazioni, dove l’obiettivo non è più informare le persone, ma terrorizzare. Bene i messaggi sulle indicazioni del rispetto delle regole, ma mettere in risalto tutto ciò sottopone ognuno di noi, sempre più, ad un senso di persecuzione, di angoscia, di ansia. L’informazione in questa fase non contribuisce a creare un sistema migliore per salvaguardare la propria salute e quella altrui, bensì l’effetto è frequentemente quello di aggravarla. Ribadisco che è utile seguire l’informazione, certificata e controllata, che da notizie giuste per la cittadinanza, ma invito ad evitare quella che da cattiva informazione, che bombarda mediaticamente, attegiamento che non salvaguarda la salute delle persone. Il rischio è quello di scivolare in un ritmo deleterio, dove la coercizione del tempo è diventato un nuovo ssistema di relazioni, rischiando di normalizzare una forma di relazione coercitiva. Occorre tornare a delle forme relazionali più sane.

Ringrazio Michele Di Bella per avermi aiutato a comprendere meglio e a guardare tra le maglie di una questione molto fitta, dove spesso sfuggono motivi e dinamiche di tanto eccesso di notizie, dove non si trova l’impianto razionale nell’inventare delle castronerie tanto pericolose.

Alla prossima intervista dal Divano di Alessandro.