Inopportunità del proibizionismo. Parte 1: esempi di impiego della cannabis

Continuiamo da Memoria futura il percorso di rilancio degli articoli dedicati alla questione cannabis e alla sua legalizzazione; oggi vi propongo il primo di due articoli del periodo 2013-2014, nei quali riportavo l’esemplificazione sotto vari aspetti dell’opportunità di depenalizzare e liberalizzare completamente la coltivazione e l’uso della Cannabis, in tutte le sue sfaccettature, ricreativa compresa. Nel primo del 2013, in un articolo dallo stesso titolo dato a questo, e da me usato anche per il prossimo, ponevo l’accento sugli esempi concreti che rendono evidente la necessità, l’opportunità se volete, di una piena legalizzazione. Questo umile contributo aveva il compito di aggiungere ulteriore delazione al proibizionismo verso una delle piante più bistrattate al mondo. Nel lontano 2013 erano queste le osservazioni:

“Sorprende che, ad eccezione di alcuni paesi europei di cultura protestante, è dagli Stati Uniti che proviene in questi ultimi mesi la maggiore spinta antiproibizionista, proprio da dove nel 1937 iniziò la campagna denigratoria con il Marijuana Tax Act, che condizionò anche politiche di singoli stati durante i periodi di occupazione militare americana a seguito del secondo conflitto mondiale, come in Giappone (legge proibizionista imposta nel 1948). Dagli anni Cinquanta in poi, a causa anche dell’intervento dell’ONU, la pianta trovò pieno posto nelle politiche proibizioniste di quasi tutto il pianeta. Questo atteggiamento “scorretto” dell’ONU verso la Canapa si concretizzò definitivamente nel 1961 con la convenzione unica sulla proibizione dei narcotici. Avverto i lettori che l’articolo è una sintesi di varie letture effettuate sulla rete, non è imprecisa, ma costituisce appunto un lavoro di sintesi. Ma cerchiamo di descrivere una sorta di percorso dei suoi utilizzi contemporanei.

La Canapa indiana o cannabis è una delle piante che ha inizialmente visto la sua piena utilizzazione nello sfruttamento della biomassa, ovvero capacità di creare energia a partire dalla struttura vegetale. Non è leggenda. Da molto si parla di introdurre sul mercato dei carburanti il biodisel e il metanolo, che però spesso sono tratti da piante che dovrebbero essere di uso esclusivo della produzione alimentare, come la barbabietola da zucchero e il mais. Inoltre la resa di queste piante resta comunque bassa, tant’è vero che il biocarburante prodotto viene utilizzato come miscela per alimentazione mista. Inoltre spesso viene impiegato materiale derivante dalla silvicultura o da scarti della lavorazione del legno o della carta. La cannabis permetterebbe alte rese e produzione di olio altamente combustibile, che potrebbe sostituire combustibili fossili in toto per piccoli motori, e per motori più importanti dal punto di vista della resa sarebbe il combustibile fossile ad essere usato come taglio, per garantire la quantità di ottani necessari al funzionamento di quelle determinate tecnologie di motori. Tutto questo non incidendo minimamente sulle altre biodiversità e riducendo, quasi annullando, l’emissione di quelle sostanze inquinanti tipiche della combustione di carburanti fossili. Se fu addirittura lo stesso Rudolph Diesel a suggerirne, nel 1895, l’utilizzo come propulsore energetico del motore da egli progettato, è tutto dire. La motivazione?Illimitato approvvigionamento a livello mondiale! Perché non tornare al progetto di Harry Ford degli anni Trenta del Novecento, ovvero costruire un’autovettura completamente derivante dalla canapa compreso il , combustibile? I semi di canapa decorticati inoltre contengono numerose sostanze nutritive, che garantiscono al nostro organismo amminoacidi e acidi grassi essenziali. Per millenni è stata usata nella produzione di farine alimentari, ma dall’avvento del proibizionismo su scala mondiale si è privata l’umanità di uno dei nutrimenti vegetali più abbondanti e salutari. Gli esseri umani utilizzano la cannabis fin dal Neolitico. Da allora ad oggi questa pianta ha conosciuto una grande varietà di utilizzi, incluso quello terapeutico legato alle sue proprietà analgesiche, sedative e miorilassanti. I suoi principi attivi più noti, THC e CBC, causa delle politiche proibizioniste, facilmente isolabili dalle piante, presenti in caso di inflorescenza e resinatura, hanno note proprietà di cura per molti fastidi, come insonnia, dolori e inappetenza,; negli ultimi decenni, grazie a pioneristiche e sempre più avallate ricerche scientifiche, risulta anche curativa di alcune patologie, tra le quali la Sclerosi Multipla, il glaucoma, l’epilessia, oltre a poter essere usata come sostitutivo degli oppiacei nella terapia del non dolore, grazie anche ad una loro maggiore tolleranza del nostro organismo rispetto a questi ultimi. Di fatto la canapa è da sempre – in tutte le culture, quella meridionale d’Italia compresa – usata come fibra tessile, risultando il nostro paese secondo produttore mondiale fino al 1970. A seconda dei tempi di macerazione e dalle tecniche di lavorazione sitraggono fuori tessuti grezzi o fini, adatti per la produzione di sacchi, teli, cordame e vestiti e, di recente, con lo sviluppo di nuove metodiche, si possono trarre fibre che superano per qualità quelli maggiormente diffusi e di derivazione chimica, come il nylon, i tessuti felpati, ecc.; la resistenza della fibra di canapa è nota a pochi, e non solo ad uso tessile. Occorre sottointendere che si possa sviluppare un tessuto produttivo in grado di trasformarla. Ma aziende pioneristiche anche in Italia ne hanno tratto materiale utilizzabile nelle differenti fasi della catena edile, in sostituzione quando del cemento, quando dei collanti, quando delle vernici,quando degli isolanti, e combinato, con moderne tecniche di assemblamento,assieme all’acciaio soppianterebbe di netto il bitume e il cemento nella costruzione di edifici e opere pubbliche, garantendo alta resa, resistenza,elasticità. Quanti sanno lo sviluppo della massa di una pianta di canapa indiana di quant’è? Alcune stime scientifiche la attestano attorno a 4 volte superiore a quello di una pianta arborea come il pioppo. Questo significa che in pochi mesi noi possiamo avere delle piante che possono raggiungere 5 metrid’altezza, quindi con il corrispettivo in radici. Le radici della pianta di canapa sono filamentose, fitte, con una trama che compatta il volume di terra che le ospita. Cosa trattiene il terreno dalle frane? Cosa fa evitare lo straripamento dei fiumi? Se il problema dell’assetto del territorio italiano è il disboscamento e la cementificazione, trovate le risposte alle due domande e avrete qual è la soluzione. Quindi, se gli usi censiti per questa pianta sono circa, per abbondante difetto, 25.000, sicuramente molti di più di ciò che si credeva ai tempi del proibizionismo, e le sfide alla quale può rispondere sono altrettante, elaborando sapienti piani industriali dedicati e misti si possono rilanciare interi settori economici e di decine di paesi, considerando inoltre la facilità nella sua coltivazione; si può prevedere un abbassamentovertiginoso del costo di taluni prodotti, rendendo più equa l’economia derivante dal suo uso. Come? Garantendo una maggiore ricaduta dei benefici rispetto ai costi di produzione. Chiaramente stiamo parlando di una pianta. Dio santo, una pianta. Quindi si tratta di una pianta che ha un ciclo di vita, che può ricevere facilmente variazioni produttive ed innesti per adattarla ai differenti usi, oltre a risultare facile da produrre perché resistente. Qual migliore occasione per rilanciare il settore agricolo? Si accennava sopra al fatto che la canapa è stata screditata per evidenti ragioni economiche, ma tutte le campagne di discredito si sono basate su quei principi psicotropi che l’hanno fatta entrare suo malgrado tra “i flaggelli dell’umanità”. In verità sitratta principalmente del THC, sostanza presente nelle inflorescenze delle piante femmina, che crea effetti di alterazione delle percezioni. La tipologia, la quantità di THCassunto, lo stato d’animo di chi l’assume sono parametri effettivamente applicabili alla cannabis, come all’alcool, il caffè e altre droghe, ma al contrario di alcool, caffè, eroina, cocaina e tabacco non provoca dipendenza proprio per la buona capacità di smaltimento del nostro organismo e lo scarso livello di assuefazione. Si, si tratta di una droga, come il vino d’altronde. Si, è tossica, ma ad elevate quantità d’altronde. Si, può essere dannosa, ma mancano studi che ne certifichino la pericolosità e comunque dipende dal livello di THC assunto. D’altronde, tra un bicchiere di 200 ML di vino e la medesima quantità di vodka c’è una certa differenza. Alcool è uno, alcool è l’altro. Ma è ilprocesso di creazione che rende quei due liquidi differenti. La differenza nel considerare il THC sta in primis se si tratta di cannabis indica o sativa,distinzione non del tutto legittima; in secondo luogo, soprattutto, se di selezione naturale o di laboratorio. L’elevato consumo giovanile in quanto droga sta nel fatto che il proibizionismo l’ha resa oggetto di sfruttamento commerciale, proprio conservando quelle, sino a ieri ristrette, sacche di tollerata legalità della sostanza che ne hanno mitizzato il consumo (olanda),dove però si è sviluppato (per certi versi legittimamente) il mercato della qualità più sballona. Stortura questa rispetto al mercato del Vino, dove invece si badaa quello più buono. Tenendo conto del paragone, forse al mondo fa più morti direttamente e indirettamente il vino, che l’erba. Riportarla ad uno stato di legalità per usi ludico-ricreativi, oltre a garantire introiti per lo stato, mediante l’assoggettamento a monopolio di vendita e licenza di produzione, garantirebbeanche un progressivo recupero di naturalità consentendo l’autoproduzione,facendo scendere nei ceppi familiari il livello di THC, potendo altresì fissare per le qualità ad uso ludico-ricreativo un limite di percentuale di THC tale da recare il minor scompenso possibile ai suoi consumatori. Scompenso, badate,uguale sballo. Dopo una dormita, un panino con la mortadella e una doccia passa tutto! Quanto detto sinora, nel caso italico, peculiare di per sé, vuol dire una sola cosa: far morire di fame la criminalità. Tre motivi alla base di quest’assunto: il primo, semplice, è sottrarre moneta fresca. Se posso produrmela, chi me la fa fare ad andare in strada a compralra dal potere criminale? Se per completare l’opera si creano luoghi e programmi di terapia gestita dal pubblico anche per tossicodipendenti della cocaina e dell’eroina,siamo a cavallo, le cosche si fanno leteralmente in quel posto. Il secondo aspetto è l’indiretta caduta di potere economico dall’impiego negli altri settori. Stolti voi che credete che camorra, mafia, ndragheta e compagnie simili trattano solo droga. Trattano tessile, edile, industriale, carburanti. Terzo motivo, si spingerebbe ad un risanamento dell’economia nel senso green. La dico così, perché così è: i criminali non è che smetterebbero di esserlo. Ma i loro soldi smetterebbero di essere sporchi. Se vogliono continuare a maneggiare cannabis,lo farebbero con le regole dello Stato. Poi magari quei soldi si ripulirebbero,non costituendo così motivo di guerra criminale. Se vogliono continuare a fare i camorristi, i ndranghetisti e i mafiosi devono farlo con la corruzione, il traffico di uomini e di armi, tutte attività che, sganciando il controllo delle forze di polizia dalla cannabis e dalle altre droghe, rientrerebbero maggiormente nel focus persecutorio degli inquirenti. Mi sembra tutto chiaro, o no? Il proibizionismo è quel tipico atteggiamento che vuole fortemente l’arretratezza culturale,economica ed antropologica del Bel Paese. La Canapa non è un’alternativa su come passare la serata, la canapa è la soluzione alle defezioni sistemiche italiane.”.

NB: articolo scritto il 13-05-2013.

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